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Pier Paolo Pasolini: i lungometraggi
Prima parte
Pier Paolo Pasolini's feature films
Part 1

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Introduzione

Poeta, romanziere, saggista, sceneggiatore, regista, pittore ... Pier Paolo Pasolini (1922-1975) è stato una delle figure più illuminanti e controverse della cultura italiana del Novecento. Intellettuale "scomodo", come fu subito percepito, e come tuttora viene spesso considerato (anche, e sempre più spesso, in senso positivo), Pasolini mise le sue convinzioni e la sua passione, da militante marxista, anticlericale e omosessuale, al servizio di una visione lucida, disincantata e spesso crudele, di quella che riteneva una progressiva e rapida omologazione culturale delle classi proletarie e sottoproletarie da parte delle classi dominanti (piccolo)borghesi.

Le sue attività culturali e politiche coincisero con un trentennio (dalla fine della Seconda guerra mondiale all'anno della sua morte, il 1975), cruciale per le trasformazioni economiche e sociali di un'Italia che, da paese sostanzialmente agricolo, si avviava ad una rivoluzione industriale che portava con sè lo sviluppo delle grandi aree urbane, soprattutto al Settentrione, un generico (ma non generale) miglioramento (miracolo?) socio-economico, coincidente con il "baby boom" dei primi anni Sessanta e con il dilagante consumismo e l'affannosa corsa al benessere, e un parallelo affermarsi di una cultura "di massa", totalmente conformista, simbolicamente rappresentata da due fattori che Pasolini criticò ferocemente, la nuova "scuola media" unificata (1962) e la rapida diffusione della televisione, destinata a cambiare in modo rapido e sostanziale i gusti e le abitudini di tutta la popolazione.

Pasolini colse subito i pericoli insiti in mutamenti così profondi e vorticosi della società italiana, e, più in generale, occidentale, soprattutto la perdita dell'identità, per quanto labile e magari nascosta, da parte delle classi "subalterne", private di una visione "rivoluzionaria" da una progressiva massificazione ed omologazione ai valori borghesi, e che nemmeno i movimenti operai e studenteschi del '68 avrebbero potuto recuperare. Alla fine di questo trentennio, e pochi giorni prima di morire assassinato a Ostia, sul litorale romano, da un "ragazzo di vita" come i tanti descritti nelle sue opere, Pasolini ebbe a scrivere:

"Tra il 1961 e il 1975 qualcosa di essenziale è cambiato: si è avuto un genocidio. Si è distrutta culturalmente una popolazione. E si tratta precisamente di uno di quei genocidi fisici di Hitler. Se io avessi fatto un lungo viaggio, e fossi tornato dopo alcuni anni, andando in giro per la 'grandiosa metropoli plebea', avrei avuto l'impressione che tutti i suoi abitanti fossero stati deportati e sterminati, sostituiti, per le strade e nei lotti, da slavati, feroci, infelici fantasmi. Le SS di Hitler, appunto. I giovani - svuotati dei loro valori e dei loro modelli come del loro sangue - e divenuti larvali calchi di un altro modo di essere e di concepire l'essere: quello piccolo borghese." (Nota 1)

Il cinema di Pasolini

Una parabola personale e artistica

Non a caso, le due date citate (1961 e 1975) nella citazione qui sopra coincisero con la produzione cinematografica di Pasolini, tra Accattone (1961) e Salò o le 120 giornate di Sodoma (1975). In pochi anni, ma in molte opere, Pasolini testimoniò via via le profonde trasformazioni della società italiana, e, in parallelo, la sua parabola personale di intellettuale e di artista impegnato:

- da una (ri)scoperta del sottoproletariato come forza ancora vitale, poco intaccata dai mutamenti già in atto, e per questo carica di un valore morale quasi epico e sacro, all'espressione di una religiosità tutta interiore e anti-ecclesiale, vista come l'ultima (ma ormai perduta) affermazione della dignità della vita e della morte dell'uomo;
- dalla crisi del marxismo e dei valori della Resistenza, minati dall'omologazione del linguaggio (per cui tutti devono parlare allo stesso modo per non sentirsi esclusi) al conformismo e al consumismo di massa di prodotti del neo-capitalismo;
- dall'alienazione massmediatica alla visione di un'unica possibilità di rinnovamento dello spirito, attraverso l'abbandono della guerra e della violenza ("risacralizzando" così il mondo, anche con una cultura non superficiale contro la volgarizzazione del neocapitalismo);
- dalla feroce critica della borghesia, la cui dissoluzione morale trascinava con sè tutto il resto dell'umanità, all'affermazione del valore della sessualità, come simbolo (anch'esso ormai perduto) di una vitalità arcaica, sacra e leggera perchè libera di esprimersi nella sua autenticità più profonda e umana, svincolata dalle costrizioni culturali e sociali;
- dall'allargamento della visione della crisi occidentale alle popolazioni del Terzo Mondo, che andavano affacciandosi alla Storia con i loro valori primordiali ma già preda, anch'esse, dello sfruttamento del colonialismo e del razzismo e dell'omologazione delle classi dominanti occidentali, alla totale e definitiva perdita di ogni fiducia e speranza in un mondo che non fosse regolato dalla forza e dalla violenza di poteri costituiti, del tutto estranei all'etica di uno sviluppo individuale e collettivo rispettoso della sacralità della persona.

Il cinema di Pasolini è parte integrante di tutta la sua opera artistica - non c'è soluzione di continuità tra le sue poesie, i suoi romanzi, i suoi saggi e i suoi film. Per tutta la vita, Pasolini continuò a produrre alacremente, quasi ossessivamente, opere in tutti questi settori, e la sua scoperta del cinema come ulteriore modo di espressione artistica e personale non intaccò minimamente il suo impegno "a tutto campo" nel panorama culturale italiano.

Realismo, non naturalismo

Specialmente nei suoi primi film, come Accattone e Mamma Roma, Pasolini parte da un approccio che certamente ricorda l'ormai estinto neo-realismo italiano, con la sua messa in scena di persone ed ambienti proletari, attanagliati dalla povertà e da una atavica disperazione, e rappresentati tramite scenari reali, attori non professionisti, e un uso semplice, quasi primitivo, dei mezzi cinematografici, in particolare della macchina da presa "a spalla". Ma è subito chiaro che a Pasolini non interessa la semplice riproduzione di un mondo ormai votato alla sparizione, ma il significato di questo mondo in quanto testimonianza ancora vivente del mito, della dimensione sacra, religiosa dell'essere umano: "una profonda e straordinaria compenetrazione di sacro e profano, di spietato realismo e altrettanto intensa religiosità" (Nota 2). La storia come motore di cambiamento non viene per questo dimenticata o sottovalutata, anzi: la sua visione strutturalista e marxista della storia si intreccia con il recupero di un cristianesimo filtrato attraverso le lenti della cultura occidentale, in modo da risalire alle forme più profonde, mitologiche, della condizione umana.

Cinema come poesia, arte come conoscenza

L'anima più profonda di Pasolini è quella di un poeta, e nel cinema porta la ricchezza della poesia, che in lui è tutt'uno con la consapevolezza della realtà e con l'impegno civile: non dunque poesia (e cinema) come illusione, come fuga dal mondo reale, ma come riflessione, fonte di conoscenza dei misteri della vita e della morte - una poesia e un cinema che fanno pensare, che scuotono le coscienze, che si distaccano dal mondo per ritornarvi con maggiore impegno: "La sua opera non è solo una messa in questione delle responsabilità della classe dominante ma è anche un'accusa contro l'indifferenza e la passività degli spettatori." (Nota 3). Un cinema, in particolare, proprio per questo così lontano dai prodotti spesso standardizzati dell'industria hollywoodiana, e proprio per questo anche, spesso, di non facile comprensione, interpretazione, apprezzamento da parte del pubblico e della critica.

Cinema della diversità

Le posizioni politiche e le scelte stilistiche di Pasolini lo posero subito in contrasto con le ideologie correnti, e del resto la sua battaglia contro l'omologazione culturale poggiava proprio sulla difesa e l'espressione della diversità: una battaglia per la tolleranza e il rispetto ancora tutta da combattere nell'Italia post-fascista ancora permeata da pregiudizi e moralismi antichi, riaffermati dalle (nuove) classi dirigenti così come dall'istituzione-chiesa. Le violente reazioni e contestazioni che segnarono quasi sempre la pubblicazione delle sue opere e l'uscita in sala dei suoi film erano il segno di quanto le sue denuncie colpissero i suoi destinatari. Le denunce e i processi per oscenità vertevano sempre sulle provocazioni (omo)sessuali - proprio perchè Pasolini utilizzava anche, e spesso, la diversità sessuale per sollevare il tema più vasto delle differenze e dell'intolleranza verso l'"altro" e il "diverso", cui viene negata la propria coscienza e la propria identità come persona.

Cinema come scelta espressiva politica

"L'esigenza di confrontarsi con un mondo che conosceva lateralmente e la cui logica gli era completamente estranea nasceva in realtà da una profonda riformulazione del proprio ruolo di intellettuale: confrontarsi con l'immediatezza di uno degli allora principali mezzi di comunicazione di massa, molto meno "aulico" e gravato dal cliché borghese della solipsistica inaccessibilità alle masse dell'espressione letteraria, significava, in qualche modo, "scendere in campo" ... Utilizzare quello che negli anni Sessanta era il mezzo di comunicazione dell'etica borghese per eccellenza significava accettare la sfida aperta da quella cultura, falsamente permissiva (in realtà neppure semplicemente tollerante, nei suoi confronti), sfruttando i suoi mezzi di produzione di cultura di massa per cercare di mettere in contraddizione la logica falsamente democratica di quella che ne
La ricotta definirà "la borghesia più ignorante d'Europa'." (Nota 4)

1. Introduction

Poet, novelist, essayist, screenwriter, director, painter ... Pier Paolo Pasolini (1922-1975) was one of the most enlightening and controversial figures of the Italian culture of the twentieth century. An "uncomfortable" intellectual, as he was immediately perceived, and as he is still often considered (also, and increasingly often, in a positive sense), Pasolini put his convictions and his passion, as a Marxist, anticlerical and homosexual militant, at the service of a lucid, disenchanted and often cruel vision of what he considered to be a progressive and rapid cultural homologation of the proletarian and working class by the ruling bourgeois classes.

His cultural and political activities coincided with thirty years (from the end of the Second World War to the year of his death, 1975), which were crucial for the economic and social transformations of Italy which, from a substantially agricultural country, was heading for an industrial revolution that brought with it the development of large urban areas, especially in the North, a generic (but not general) socio-economic improvement (miracle?), coinciding with the "baby boom" of the early 1960s and with the rampant consumerism and the frantic race for well-being, and a parallel affirmation of a "mass" culture, totally conformist, symbolically represented by two factors that Pasolini fiercely criticized, the newly reformed "middle school" (1962) and the rapid spread of television, which was destined to quickly and substantially change the tastes and habits of the entire population.

Pasolini immediately grasped the dangers inherent in such profound and swirling changes in Italian society, and, more generally, in the West, above all the loss of identity, however fleeting and perhaps hidden, by the "subordinate" classes, deprived of a "revolutionary" vision by a progressive standardization and homologation to bourgeois values, and that not even the workers' and students' movements of '68 would recovered. At the end of these thirty years, and a few days before he died, murdered in Ostia, on the Roman coast, by a "boy on the street" like the many ones described in his works, Pasolini wrote:


"Between 1961 and 1975 something essential changed: there was a genocide. A population was culturally destroyed. And it is precisely one of those Hitler's physical genocides. If I had made a long journey, and I was back after a few years, going around the 'great plebeian metropolis', I would have had the impression that all its inhabitants had been deported and exterminated, replaced, in the streets and in the buildings, by washed-out, ferocious, unhappy ghosts. Hitler's SS, in fact. Young people - emptied of their values ​​and their models as well as of their blood - turned into larval casts of another way of being and of conceiving life: the petty bourgeois." (Note 1)

Pasolini's cinema

A personal and artistic parable

Not surprisingly, the two dates (1961 and 1975) in the above quotation coincided with Pasolini's film production, between Accattone (1961) and Salò or the 120 days of Sodoma (1975). Within a few years, but in so many works, Pasolini gradually witnessed the profound transformations of Italian society, and, in parallel, his personal parable as an intellectual and a committed artist:

- from a (re) discovery of the proletarian class as a still vital force, hardly affected by the changes already underway, and for this reason charged with an almost epic and sacred moral value, to the expression of an entirely interior and anti-ecclesial religiosity, seen as the last (but now lost) affirmation of the dignity of human life and death;
- from the crisis of Marxism and the values ​​of the Resistance, undermined by the homologation of language (whereby everyone must speak in the same way in order not to feel excluded) to the conformity and mass consumerism of neo-capitalism products;
- from mass media alienation to the vision of a possibility of spiritual renewal, through the abandonment of war and violence (thus "resacralizing" the world, through a non-superficial culture against the vulgarization of neo-capitalism);
- from the ferocious criticism of the bourgeoisie, whose moral dissolution dragged the rest of humanity with it, to the affirmation of the value of sexuality, as a symbol (also now lost) of an archaic vitality, sacred and joyous in its being free to express itself in its deepest and most human authenticity - free from cultural and social constraints;
- from the expansion of the vision of the Western crisis to the populations of the Third World, who were approaching history with their primordial values ​​but already prey to the exploitation of colonialism and racism and to the homologation of the Western ruling classes, to a total and definitive loss of all trust and hope in a world that was not governed by force and by violence of established powers, completely unrelated to the ethics of individual and collective development respectful of the sacredness of the person.

Pasolini's cinema is an integral part of his entire artistic work - there is no break in continuity between his poems, his novels, his essays and his films. Throughout his life, Pasolini continued to busily, almost obsessively, produce works in all these sectors, and his discovery of cinema as a further way of artistic and personal expression did not in the least affect his "all-round" commitment in the Italian cultural panorama.

Realism, not naturalism

Especially in his early films, such as
Accattone and Mamma Roma, Pasolini starts from an approach that certainly recalls the already extinct Italian neo-realism, through his staging of proletarian people and environments, gripped by poverty and an atavistic desperation, and represented through real scenarios, non-professional actors, and a simple, almost primitive, use of cinematographic means, in particular the "shoulder" camera. But it is immediately clear that Pasolini is not interested in the simple reproduction of a world now doomed to disappearance, but in the meaning of this world as a still living testimony of the myth, of the sacred, religious dimension of the human being: "a profound and extraordinary interpenetration of sacred and profane, of ruthless realism and equally intense religiosity "(Note 2). History as an engine of change is not therefore forgotten or underestimated, on the contrary: its structuralist and Marxist vision of history is intertwined with the recovery of Christianity filtered through the lenses of Western culture, in order to go back to the deepest, mythological forms of  human condition.

Cinema as poetry, art as knowledge

Pasolini's deepest soul is that of a poet, and in his cinema he brings the richness of poetry, which in him is one with the awareness of reality and with civil commitment: not therefore poetry (and cinema) as illusion , as an escape from the real world, but as reflection, a source of knowledge of the mysteries of life and death - a poetry and a cinema that make us think, that shake our conscience, that detach themselves from the world only to return to it with greater commitment:
"His work is not only a questioning of the responsibilities of the ruling class but it is also an accusation against the indifference and passivity of the spectators." (Note 3). A cinema, in particular and for this very reason, so far from the often standardized products of the Hollywood industry, and for this same reason often, not easy to understand, interpret, appreciate both by audienc es and by critics.

A cinema of diversity

Paasolini's political stances and stylistic choices immediately put him in contrast with current ideologies, and his battle against cultural homologation was based precisely on the defense and expression of diversity: a battle for tolerance and respect which was still to be fought in post-fascist Italy, still permeated by ancient prejudices and moralisms, reaffirmed by the (new) ruling classes as well as by the church as an institution. The violent reactions and protests that almost always marked the publication of his works and the theatrical release of his films were a sign of how much his criticisms struck its recipients. The complaints and trials for obscenities always centered on (homo) sexual provocations - precisely because Pasolini also, and often, used sexual diversity to raise the broader theme of difference and intolerance towards the "other" and the "different", who is denied his own conscience and identity as a person.

Cinema as a politically expressive choice

"The need to deal with a world that he knew relatively little of, and whose logic was completely alien to him, actually arose from a profound reformulation of his role as an intellectual: confronting himself with the immediacy of one of the then most popular means of mass communication, very much less "courtly" and less burdened by the bourgeois cliché of solipsistic inaccessibility to the masses than literary expression, meant, in a way, "taking the field" ... Using what in the 1960s was the most important means of expression of bougeois ethics meant accepting the challenge of that same culture, which was falsely permissive (in reality not even simply tolerant towards him), exploiting its means of mass culture production to try to contradict the falsely democratic logic of 'the most ignorant bourgeoisie in Europe', as he defined it in La ricotta" (Note 4)


Accattone (1961)
(Il film completo è visibile qui.)
Accattone (1961)
(The complete film with subtitles is available here.)
"Quando Pasolini decideva di fare un campo lungo o un primissimo piano, avevo l'impressione di assistere all'invenzione del campo lungo o del primissimo piano. La prima volta della storia del cinema." Bernardo Bertolucci (Nota 5)
"When Pasolini decided to take a long shot or a very close-up shot, I had the impression of witnessing the invention of the long shot or the very close-up. The first time in the history of cinema." Bernardo Bertolucci (Note 5)

Pasolini arrivava al cinema come poeta, scrittore, e saggista-polemista già affermato, ma con una totale mancanza di conoscenze tecniche (anche se da subito affiancato da valenti professionisti come Tonino Delli Colli come direttore della fotografia e Bernardo Bertolucci come assistente alla regia). Tuttavia questa lacuna era funzionale alla sua esigenza di semplificare la messa in scena e la ripresa:

"Ora la mia mancanza di conoscenze tecniche elementari - che poi son pochissime e in pochi giorni si imparano tra l'altro - ha fatto sì che io semplificassi al massimo la tecnica cinematografica. Ora, anche dopo aver imparato, ho continuato con molta semplicità, e il risultato è stato un risultato abbastanza positivo. Cioè non è stato il disastro, il film disastroso di uno che non conosce la tecnica e quindi non riesce a mettere insieme un film. Il che significa che questa semplificazione tecnica non era un fatto puramente pratico, o per lo meno il fatto pratico ha coinciso con un fatto più importante e profondo. Cioè, io comunque sarei arrivato a questa semplificazione, anche se avessi conosciuto meglio la tecnica cinematografica." Pier Paolo Pasolini (Nota 5)

Ed in effetti questo approccio così semplice e diretto era funzionale alla descrizione di un mondo ridotto ai suoi minimi termini: il mondo del sottoproletariato romano delle periferie, che solo allora cominciavano ad essere trasformate, dalle squallide baracche e casupole fatiscenti agli enormi quartieri popolari fatti di anonimi casermoni, che infatti compaiono solo sullo sfondo delle scene del film. Questo mondo ancora intatto, quasi arcaico, seppur assediato dalla modernità, è popolato dagli "ultimi", dai reietti, da "ragazzi di vita" innocenti nella loro inconsapevole miseria quanto disperati, lontanissimi sia dal mondo borghese che dal proletariato industriale che pure stava emergendo in quegli anni. E' un mondo crudo e crudele, fatto di disoccupati a vita (e in parte anche per scelta), di perdigiorno, di piccoli delinquenti che passano le giornate al bar ad osservare il mondo che passa di fronte a loro, tra sbronze, risse, furtarelli, bravate (vedi il Video 1, dove, per scommessa, Accattone (Franco Citti) si butta nel fiume subito dopo aver mangiato un piattone di patate). Accattone è, in più, un "pappone", un "magnaccia", protettore e sfruttatore di prostitute (l'inevitabile destino femminile), un po' sbruffone, un po' insofferente di ogni legame e imposizione, un po' persino romantico nel suo maldestro tentativo di recuperare l'affetto di un figlioletto e di una moglie abbandonata. Perfettamente inserito nelle bande del quartiere, eppure "diverso" nella sua disperata vitalità, nella sua cupa, anche se altalenante, coscienza del nulla che lo circonda nel presente e lo attende nel futuro, e con un tragico presentimento di morte. Incapace di relazioni profonde e di scelte costruttive, non regge neppure un giorno di lavoro, e quando incontra una ragazza, Stella, che desta subito la sua attenzione (vedi i Video 2 e 3), la indurrà a prostituirsi per lui. E finirà per morire in un incidente, subito dopo aver rubato una motocicletta per sfuggire alla polizia (vedi il Video 4) - una morte che è quasi una liberazione e il raggiungimento della serenità: "Ah ... Mo' sto bene", saranno le sue ultime parole. Con la morte di Accattone si chiude un film che è tutto, comunque, all'insegna della provvisorietà di esistenze vissute solo giorno per giorno.

"Ciò che all'epoca spingeva Pasolini a dipingere l'epos del sottoproletariato romano era l'utopia, di origine marxiana, del supporre in chi fosse intatto dalla logica dominante il germe di una storia futura, di là da venire, basata sui valori di una spontaneità anche vicina a quella predicata da Cristo nel Vangelo, ma soprattutto intesa come rottura di quella 'seconda natura' sociale che è il modello comportamentale imposto dalla classe dirigente." (Nota 6)

Il mondo di Accattone è ritratto con realismo, così lontano però, come abbiamo già osservato, dal neo-realismo, come pure da ogni naturalismo: è un mondo trasfigurato, in cui i paesaggi arcaici sembrano fuori dal tempo e dallo spazio - borgate romane che diventano sfondo per personaggi e vicende dipinti con un'aura sacrale, sottolineata da scelte musicali (la "Passione secondo Matteo" di Bach, volutamente alternata con stornelli romaneschi e canzoni popolari), spiazzanti ma che elevano immediatamente l'azione ad un livello religioso, epico, capace di suggerire lo spirito ancora innocente, primitivo, quasi mitologico, che pervade questa umanità derelitta eppure così viva nella sua autenticità.

"Il primo elemento strutturale dal punto di vista descrittivo è questo: in Accattone mancano i piani-sequenza. E che quindi in Accattone ha una estrema importanza il montaggio. Accattone è quindi formato da una serie di immagini molto brevi, di frammenti brevissimi, ognuno dei quali corrisponde a un momento della realtà dalla durata breve e intensa ... Il piano-sequenza [ha] la stessa durata temporale dell'azione stessa, dell'azione della realtà. E quindi questo è un momento naturalistico del cinema. Ora, la mancanza totale di piani-sequenza in Accattone esclude dunque il momento naturalistico. E invece la presenza di tante inquadrature staccate una dall'altra significa che io ho visto la realtà momento per momento, frammento per frammento, oggetto per oggetto, viso per viso. E quindi in ogni oggetto e in ogni viso, visto frontalmente, ieraticamente, è venuta fuori quella che dicevamo prima: sacralità." Pier Paolo Pasolini (Nota 7)

Ma, anche se manca di piani-sequenza, in aggiunta ai tanti primi e primissimi piani Accattone comprende molte "carrellate a seguire", movimenti lineari della macchina da presa che precedono l'incedere dei personaggi, come nell'"inseguimento" della moglie che non ne vuole più sapere di lui (Video 2, al minuto 03:38) e nella "passeggiata" di Accattone e di Stella (Video 2, al minuto 05:35), come pure "panoramiche" su un paesaggio immobile, che a volte si tinge di desolazione e di morte (come il funerale all'inizio del Video 2).

Il debutto cinematografico di Pasolini è fulminante: acclamato dalla critica, fa subito scandalo e per questo film viene addirittura introdotto per la prima volta il divieto ai minori di 18 anni.


Pasolini started working as a director when he was already an established poet, writer, and essayist-polemicist, but with a total lack of technical knowledge (even if immediately joined by talented professionals such as Tonino Delli Colli as director of photography and Bernando Bertolucci as assistant director). However, this gap was functional to his need to simplify the staging and shooting:

"Now, my lack of elementary technical knowledge - which is very limited and can anyway be learned in a few days - meant that I simplified the cinematographic technique as much as possible. However, even after learning the technique, I continued filming with great simplicity, and the result was quite positive. That is, it was not the disaster, the disastrous film of someone who does not know the technique and therefore cannot put together a film. Which means that this technical simplification was not a purely practical fact, or at least the practical fact coincided with a more important and profound issue. That is, in any case I would arrive at this simplification, even if I had had a better knowledge of technology." Pier Paolo Pasolini (Note 5)

This simple and direct approach was functional to the description of a world reduced to its minimum terms: the world of the Roman proletariat of the suburbs, which only then began to be transformed, from squalid shacks and crumbling hovels to enormous popular neighborhoods made of anonymous buildings, which  appear only in the background of the scenes of the film. This world, still intact, almost archaic, albeit besieged by modernity, is populated by the outcasts, by "boys in the street", innocent in their unconscious and desperate misery, very distant both from the bourgeois world and from the industrial proletariat that was also emerging in those years. It is a raw and cruel world, made up of  unemployed youths (partly also by choice), of idlers, of petty criminals who spend their days at the bar, watching the world go by in front of them, between drinks, fights, thefts, bravadoes (see Video 1, where, as a wager, Accattone (Franco Citti) throws himself into the river immediately after eating a large plate of potatoes). Accattone is, moreover, a "pimp", a protector and exploiter of prostitutes (the inevitable female destiny), a braggart, intolerant of every bond and imposition, even a little romantic in his clumsy attempt to recover the affection of his little son and his abandoned wife. Perfectly inserted in the bands of the neighborhood, yet "different" in its desperate vitality, in its dark, even if fluctuating, awareness of the nothing that surrounds him in the present and awaits him in the future, and with a tragic presentiment of death. Incapable of deep relationships and constructive choices, he can't stand a day's work, and when he meets a girl, Stella, who immediately arouses his attention (see Videos 2 and 3), he will induce her to prostitute herself for him. And he will end up dying in an accident, immediately after stealing a motorcycle to escape the police (see Video 4) - a death that is almost a liberation and the achievement of serenity: "Ah ... Now I'm fine", will be his last words. With the death of Accattone, the film ends - a film that is all under the banner of the provisional nature of existence, a life lived only day by day.

"What at the time pushed Pasolini to paint the epos of the Roman proletariat was the (Marx-based) utopia of identifying, in those who were untouched by the dominant logic, the germ of a future history, still to come, based on the values ​​of a spontaneity close to that preached by Christ in the Gospel, but above all understood as a break with that social 'second nature' which is the behavioral model imposed by the ruling class." (Note 6)

Accattone's world is portrayed with realism, so far away, however, as we have already observed, from neo-realism, as well as from any naturalism: it is a transfigured world, in which archaic landscapes seem out of time and space - Roman villages that become the background for characters and events painted with a sacred aura, underlined by musical choices (Bach's "Passion according to Matthew", deliberately alternated with Romanesque jokes and popular songs), unsettling but immediately elevating the action to a religious, epic level, capable of suggesting the still innocent, primitive, almost mythological spirit that pervades this derelict humanity - yet so alive in its authenticity.

"The first structural element from a descriptive point of view is this: in Accattone long takes are missing. And therefore in Accattone editing is extremely important. Accattone is therefore shaped by a series of very short images, of very short fragments, each of which corresponds to a moment of reality with a short and intense duration ... The long take [has] the same temporal duration as the action itself, as the action of reality. And so this is a naturalistic moment of cinema. Now, the total lack of long takes in Accattone therefore excludes the naturalistic moment. Instead, the presence of so many shots detached from each other means that I have seen reality moment by moment, fragment by fragment, object by object, face by face. And therefore in every object and in every face, seen from the front, hieratically, you can see sacredness emerge." Pier Paolo Pasolini (Note 7)

But, even if it lacks long takes, in addition to the many close-ups and very close-ups,
Accattone includes many "tracking shots to follow", linear camera movements that precede the walking characters, as in Accattone following his wife who would not hear about him anymore (Video 2, at 03:38) and in Accattone and Stella's walk (Video 2, at 05:35), as well as long shots of a silent landscape, which at times is tinged with desolation and death (like the funeral at the beginning of Video 2).

Pasolini's film debut was fulminating: acclaimed by critics, it immediately caused a scandal and the ban on minors under 18 was even introduced for the first time for this film.
 
Video 1
 
Video 2
 
Video 3
 
Video 4


Mamma Roma (1962)
(Il film completo è visibile qui.)

Con il suo secondo film Pasolini abbandona già l'ambiente sottoproletario delle borgate romane, dipinto in Accattone, per compiere un passo in avanti, verso quell'ambiente piccolo-borghese che costituisce l'inevitabile e "maledetta" evoluzione della società italiana di quegli anni. Mamma Roma (Anna Magnani) è una prostituta che, con grandi sacrifici, è riuscita a procurare, per sè e soprattutto per il figlio Ettore (Ettore Garofalo), una casa popolare nei nuovi quartieri di periferia, con cui vorrebbe poter accedere ad una minima "rispettabilità" piccolo-borghese. Allo stesso tempo, è riuscita anche a procurarsi la licenza per un banco di frutta e verdura al mercato del quartiere. Cerca anche, persino ricorrendo ad un ricatto, di ottenere un posto di lavoro come cameriere per il figlio, che nel frattempo ha stretto amicizia con un'altra ragazza "libera", Bruna (Silvana Corsini), con la quale vive i suoi primi tormenti d'amore. Ma i fantasmi del passato ritornano, quasi per riprendersi Mamma Roma, nelle vesti di un suo protettore, Carmine (Franco Citti) che le impone di tornare a battere i marciapiedi. Quando Ettore verrà a sapere il "mestiere" della mamma, sconvolto e disperato, cercherà di compiere un piccolo furto in un ospedale, e, arrestato, finirà per morire, lui già di costituzione debole, legato ad un letto di contenzione in un carcere, mentre Mamma Roma, fermata dai vicini ed amici nel suo tentativo di buttarsi dalla finestra di casa, fisserà con attonita disperazione quel paesaggio della "nuova" Roma di periferia in cui non sa più riconoscersi, e che anzi vede come un mondo ostile e ormai lontano da sé (Video 1).

Il mondo rappresentato in Mamma Roma è diverso da quello di Accattone, ma altrettanto spietato e crudele. Mamma Roma, però, è un personaggio complesso proprio per la sua volontà di abbandonare la condizione proletaria per "salire un gradino" verso la rispettabilità piccolo-borghese. In questo suo percorso, mostra una consapevolezza che i personaggi di Accattone non possedevano, incatenati nella loro arcaica, primitiva identificazione con un ambiente sottoproletario. Nei colloqui che ha con le "colleghe" e i "clienti", Mamma Roma ha modo di esprimere questa sua dolorosa coscienza (Video 2): da un lato, dichiara che "di quello che uno è, la colpa è solo sua", ma poi riconosce che se fosse nata in un mondo diverso, da un padre e una madre diversi, probabilmente sarebbe stata diversa anche lei. "L'elemento che differenzia questo film da Accattone, è una problematica morale che in Accattone non c'è, perchè Accattone è completamente solo in un mondo completamente solo. E questa tematica della responsabilità ha questi tre momenti: la responsabilità individuale, la responsabilità ambientale, la responsabilità della società ..." (Pier Paolo Pasolini, Nota 8). Ma, nel contempo, Mamma Roma non è in grado di assumersi questa responsabilità di cambiare, perchè scambia l'indifferenza e l'individualismo borghese, che alla fine la stritoleranno, con il desiderio di appartenere a questa stessa classe.

Tornano, in Mamma Roma, alcuni aspetti di linguaggio cinematografico che sono ormai diventati parte del patrimonio stilistico del regista Pasolini, a cominciare dalle lunghe carrellate, quasi sempre a precedere, con cui ritrae i personaggi che camminano, dialogando, lungo la strada (vedi un esempio nel Video 2, dove Mamma Roma dialoga con vari personaggi che emergono dal buio della notte ma con lo sguardo fisso in macchina, verso di noi spettatori,). Il paesaggio è spesso ripreso, all'inizio, in campo lungo, ma subito svela il suo ruolo di sfondo ai protagonisti, contrastando la campagna romana, con i suoi resti archeologici sparsi tra le erbacce, e la nuova periferia cementificata, fatta di grossi complessi popolari che sorgono disordinati e quasi invadenti nella loro mole massiccia. Lo sfondo è particolarmente significativo quando (come nel Video 3 dal minuto 02:11 in avanti) si alternano il campo di Bruna (con i palazzoni moderni sullo sfondo) e il controcampo dei ragazzi (con i resti archeologici sullo sfondo, simbolo di una mondo arcaico di cui si è persa la memoria). L'uso della musica è altrettanto significativo che in Accattone: questa volta si tratta della musica di Vivaldi (con il concerto in re minore per fagotto, archi e basso continuo - vedi il Video 3), che, introducendo per contrasto una musica "colta, alta", ha un effetto spiazzante ma finisce nel contempo per sottolineare il tono quasi elegiaco del paesaggio e dei personaggi che lo popolano. Ed infine, l'ispirazione pittorica, che Pasolini ha sempre sottolineato come parte costituiva della sua messa-in-scena, è particolarmente evidente in scene come il pranzo di matrimonio di Carmine (che appare quasi come un'"Ultima Cena" - Foto 1) e il corpo di Ettore sul letto di contenzione (che sembra ricordare il "Cristo morto" del Mantegna - Foto 2).

Mamma Roma (1962)
(The complete film with subtitles is available here.)

With his second film Pasolini already leaves the sub-proletarian environment of the Roman villages, as described in Accattone, and takes a step forward towards that petty-bourgeois environment which constitutes the inevitable and "cursed" evolution of Italian society in those years. Mamma Roma (Anna Magnani) is a prostitute who, with great sacrifices, has managed to secure, for herself and especially for her son Ettore (Ettore Garofalo), a council house in the new suburbs, with which she would like to have access to a minimum petty-bourgeois "respectability". At the same time, she has also managed to secure a license for a fruit and vegetable stand at the neighborhood street market. She also tries, even resorting to blackmail, to get a job as a waiter for her son, who in the meantime has made friends with another "free" girl, Bruna (Silvana Corsini), with whom he lives his first love pains. But the ghosts of Mamma Roma's past return, as if to take her back, in the guise of one of her protectors, Carmine (Franco Citti), who forces her to return to walk the streets. When Ettore learns about his mother's "job", upset and desperate, he will try to carry out a small theft in a hospital, and, arrested, will end up dying, tied to a restraint bed in a prison, while Mamma Roma, stopped by neighbors and friends in her attempt to throw herself out of the window of her flat, stares with astonished desperation at the landscape of the "new" Rome in the suburbs, in which she no longer knows how to recognize herself, and which she sees instead as a hostile and now distant world (Video 1).

The world represented in Mamma Roma is different from that of Accattone, but equally ruthless and cruel. Mamma Roma, however, is a complex character, precisely because of her desire to abandon the proletarian condition to "climb a step" towards petty-bourgeois respectability. In this journey, she shows an awareness that Accattone's characters did not possess, being chained in their archaic, primitive identification with a sub-proletarian environment. In the talks she has with her "colleagues" and "clients", Mamma Roma has the opportunity to express this painful conscience (Video 2): on the one hand, she declares that "what you are, the fault is only yours", but then she acknowledges that if she had been born in a different world, to a different father and mother, she would probably have been different too. "The element that differentiates this film from Accattone is a moral problem that does not exist in Accattone, because Accattone is completely alone in a completely lonely world. And this theme of responsibility has these three moments: individual responsibility, environmental responsibility, the responsibility of society ... " (Pier Paolo Pasolini, Note 8). But, at the same time, Mamma Roma is unable to take on this responsibility to change, because she trades the indifference and bourgeois individualism, which in the end will crush her, with the desire to belong to this same class.

In Mamma Roma we witness some aspects of film language that have now become part of Pasolini 's style, starting with the long tracking shots, with which he portrays the characters walking and talking along the road (see an example in Video 2, where Mamma Roma talks with various characters that emerge from the darkness of the night but with her gaze fixed on the camera, towards us, the spectators). The landscape is often filmed, at first, in a long shot, but it immediately reveals its role  as a background to the protagonists, contrasting the Roman countryside, with its archaeological remains scattered among the weeds, and the new cemented periphery, made up of large council blocks of flats that arise messy and almost intrusive in their massive bulk. The background is particularly significant when (as in Video 3 from 02:11 onwards) Bruna's shots (with the modern high-rise buildings in the background) alternate with the boys' reverse shots (with the archaeological remains in the background, symbol of an archaic world whose memory has been lost). The use of music is just as significant as in Accattone: this time it is Vivaldi's music (the concerto in D minor for bassoon, strings and continuo - see Video 3), which, introducing by contrast a "cultured" classical music,  has a surprising effect but at the same time ends up underlining the almost elegiac tone of the landscape and the characters that populate it. And finally, the pictorial inspiration, which Pasolini has always emphasized as a constituting part of his smise-en-scene, is particularly evident in scenes such as Carmine's wedding dinner (which appears almost like a "Last Supper" - Photo 1 ) and Ettore's body on the restraint bed (which seems to recall Mantegna's "Dead Christ" - Photo 2).

Video 1
 
Video 2
 
Video 3
 
Foto 1

Foto 2


Il Vangelo secondo Matteo (1964)
(Il film completo è visibile qui.)
The Gospel according to Matthew (1964)
(The complete film with subtitles is available here.)
"E' questa altezza poetica che così ansiosamente mi ispira. Ed è un'opera di poesia che voglio fare. Non un'opera religiosa nel senso corrente del termine, nè un'opera in qualche modo ideologica. In parole molto semplici e povere: io non redo che Cristo sia figlio di Dio, perchè non sono credente - almeno nella coscienza. Ma credo che Cristo sia divino: credo cioè che in lui l'umanità sia così alta, rigorosa, ideale da andare al di là dei comuni termini dell'umanità. Per questo dico 'poesia': strumento irrazionale per esprimere questo mio sentimento irrazionale per Cristo." Pier Paolo Pasolini (Nota 9)

"Io ho potuto fare il Vangelo così come l'ho fatto proprio perchè non sono cattolico, nel senso restrittivo e condizionante della parola: non ho cioè verso il Vangelo nè le inibizioni di un cattolico praticante (inibizioni come scrupolo, come terrore della mancanza di rispetto), nè le inibizioni di un cattolico inconscio (che teme il cattolicesimo come una ricaduta nella condizione conformistica e borghese da lui superata attraverso il marxismo)" Pier Paolo Pasolini (Nota 10)

"It is this poetic height that so eagerly inspires me. And it is a work of poetry that I want to do. Not a religious work in the current sense of the term, nor a work in some way ideological. In very simple words: I do not believe that Christ is the son of God, because I am not a believer - at least in my conscience. But I believe that Christ is divine: that is, I believe that in him humanity is so high, rigorous, ideal as to go beyond the common terms of'humanity. This is why I say 'poetry': an irrational instrument to express my irrational feeling for Christ." Pier Paolo Pasolini (Note 9)

"I was able to film the Gospel as I did it precisely because I am not a Catholic, in the restrictive and conditioning sense of the word: that is, I do not have towards the Gospel either the inhibitions of a practicing Catholic (inhibitions as a scruple, as terror of lack of respect), or the inhibitions of an unconscious Catholic (who fears Catholicism as a relapse into the conformist and bourgeois condition that he has overcame through Marxism)" Pier Paolo Pasolini (Note 10)

Con il successivo film Pasolini si lancia nell'espressione più vitale e quasi violenta del senso di sacralità e religiosità che era già affiorato sin dai suoi primi film: con il Vangelo secondo Matteo realizza la sua personale comprensione ed interpretazione della vita di Cristo, permeandola nel contempo della sua visione del mondo, della società e dell'uomo. Non si tratta certo di una ricostruzione storica, e tantomeno di un'agiografia, quanto della rivisitazione, ancor di più, della (ri)scoperta del messaggio evangelico legatissima alla sua poetica e alla sua visione storica. Si trattava, in fondo, ancora una volta, di riscoprire l'immagine più autentica, non solo della figura di Cristo, ma dell'umanità alla quale il suo messaggio era rivolto, specchio, a sua volta, della sparizione di una religiosità primordiale in una società desacralizzata come l'attuale.

L'anno precedente, Pasolini aveva compiuto un viaggio in Palestina (documentato da Sopralluoghi in Palestina), alla ricerca di ambientazioni adatte al film che intendeva girare. Questo viaggio fu, da questo punto di vista, un fallimento e una grande delusione: Pasolini dovette constatare che i luoghi storici del Vangelo erano ormai scomparsi, investiti dal vento di modernizzazione e di cambiamento radicale operato in Israele. Insieme all'aspetto dei luoghi, era scomparsa anche l'umanità che li aveva popolati e che aveva conferito loro l'immagine e il significato profondi del Vangelo. Tornato in Italia, Pasolini non rinunciò alla possibilità di far "rinascere" quei luoghi, e scelse così di girare il film nelle campagne laziali e nel sud Italia, soprattutto nei "sassi" di Matera - località dove ancora era possibile respirare un'aria di primitiva sacralità, incontaminate (anche se ancora per poco) dall'avanzare del "progresso". E insieme ai luoghi, furono scelti gli attori, tutti non professionisti, e le comparse, abitanti delle stesse località.

Il risultato fu che, ancor più che nei suoi film precedenti, paesaggi e volti si alternano e si integrano profondamente alla maestosità dei campi lunghi e lunghissimi, che riprendono zone desertiche, veramente ricche di un'aura mitica, e primi e primissimi piani dei personaggi, spesso "inseguiti" con la macchina da preso a spalla: volti reali, autentici, rappresentanti di quel popolo "proletario" cui si rivolgeva il messaggio di Cristo (vedi il "discorso della montagna" nel Video 1). E insieme ai volti, a rompere i lunghi silenzi, si sentono le cadenze dialettali, gli accenti meridionali che sottolineano le origini di questi volti. La colonna sonora, ancora una volta, è quanto mai varia, spaziano dalle musiche "alte" e "colte" di Bach, Mozart, Prokofiev e Webern agli spirituals, dai canti popolari russi alla messa cantata congolese - un modo, anche questo, per non dimenticare l'universalità del messaggio evangelicoe in particolare per renderne visibile e "udibile" la sua rilevanza per i popoli più dimenticati come quelli del Terzo Mondo, a cui Pasolini si stava sempre più avvicinando (vedi lo spiritual "Sometimes I feel like a motherless child", interpretato da Odetta, nella scena dell'adorazione dei pastori e dei Magi nel Video 2).

Il Cristo di Pasolini (interpretato da Enrique Irazoqui) non è certo quello tramandato dalla tradizione e dall'iconografia classica, nè tantomeno quello rappresentato ora dalla Chiesa ufficiale, dai suoi riti e dalle sue prediche. E' un Cristo che guarda innanzitutto all'uomo, alle sue sofferenze e alle sue speranze, in un afflato rivoluzionario che non consola, non rappacifica, ma, al contrario, si staglia come elemento di contraddizione, di denuncia, di riappropriazione di quanto c'è di più reale e autentico nella condizione umana: quasi una chiamata alle armi, da parte di Cristo che grida quasi furioso: "Non sono venuto a portare la pace, ma la spada!" E' un Cristo che si scaglia con collera implacabile contro la "razza di vipere" e "la generazione malvagia e adultera", come nel discorso contro i farisei (Video 3), metafora del potere moderno che sa manipolare il consenso delle masse e nel contempo agisce con la repressione politica e sociale; o come nella scena in cui, dopo l'ingresso trionfante e festoso in Gerusalemme, si scaglia contro i mercanti del tempio (Video 4). E tuttavia questo messaggio di ribellione e di ritorno alle origini, di violenza e di bellezza, di scandalo e di profonda umanità, pronunciato da un autore ateo e marxista, è espresso solo ed esclusivamente tramite le parole del Vangelo, con una fedeltà assoluta al testo, ma con una carica emotiva e politica affidata proprio al mezzo cinematografico, cioè alle immagini, al sonoro, ed anche al silenzio: "il silenzio 'cinematografico' quella commistione di rumori di fondo, quell'orizzonte sonoro puro, che non ha bisogno di parole, che d'ora in poi diverrà una caratteristica essenziale del cinema di Pasolini, il quale gradualmente rinuncerà all'uso 'drammatico' della parola a favore della drammaticità di per sè dell'immagine" (Nota 11).

Il Cristo di Pasolini è una figura che non ha nulla delle icone con cui è stato rappresentato attraverso i secoli, e in particolare dalla tradizione cattolica: è un uomo determinato, spesso arrabbiato, ma anche profondamente partecipe della condizione umana, immerso nel paesaggio terrestre quanto nei bagni di folla, vicino senza sentimentalismi ai suoi apostoli, e soprattutto ai bambini, a cui riserva i suoi rari sorrisi. E la carica rivoluzionaria del suo messaggio si riflette nei volti di chi lo circonda, il più delle volte attoniti, affascinati ma quasi terrorizzati dall'esplosione delle parole che, appunto, feriscono con la loro sincerità ed autenticità come e più della spada evocata. Non a caso, il film è dedicato "Alla cara, lieta, familiare memoria di Giovanni XXIII", a sottolineare la continuità di ispirazione tra il messaggio del film e quella stagione di rinnovamento spirituale incarnata, sia pure per un breve lasso di tempo, dal "papa buono", cui Pasolini rivolge un pensiero commosso, affettuoso, riconoscente.

Il Vangelo secondo Matteo vinse numerosi premi, in particolare il Premio Speciale della Giuria alla XXV Mostra di Venezia e il premio OCIC (Organisation Catholique Internationale du Cinéma).


With the following film Pasolini launches himself into the most vital and almost violent expression of the sense of sacredness and religiosity that had already surfaced in his early films: with the Gospel according to Matthew he accomplishes his personal understanding and interpretation of the life of Christ, permeating it at the same time with his vision of the world, of society and of man. It is certainly not a historical reconstruction, much less a hagiography, but a reinterpretation of the (re)discovery of the Gospel's message closely linked to his poetics and historical vision. Ultimately, once again, it was a question of rediscovering the most authentic image, not only of the figure of Christ, but of the humanity to whom his message was addressed - mirroring the disappearance of a primordial religiosity in a desacralized society like the present one.

The previous year, Pasolini had made a trip to Palestine (documented by Sopralluoghi in Palestina), in search of settings suitable for the film he intended to make. This trip was, from this point of view, a failure and a great disappointment: Pasolini soon realized that the historical places of the Gospel had now disappeared, hit by the wind of modernization and radical change sweeping Israel. Along with the disappearance of the places, the humanity that had populated them, and who had given them the Gospel's profound image and meaning, had also disappeared. Back in Italy, Pasolini did not give up the possibility of recreating those places elsewhere, and so he chose to shoot the film in the Lazio countryside and in southern Italy, especially in the "stones" of Matera - places where it was still possible to breathe an air of primitive sacredness, uncontaminated by the advance of "progress". And together with the places, he chose the actors (all non-professionals), and the extras, (inhabitants of the same localities).

The result was that, even more than in his previous films, landscapes and faces alternate with the majesty of long and very long shots, which capture desert areas, truly rich in a mythical aura, and with close-ups and  very close-ups of the characters, often "chased" with the a hand-held camera: authentic faces, representatives of that "proletarian" people to whom Christ's message was addressed (see the "Sermon on the Mountain" in Video 1). And together with the faces, breaking the long silences, you can hear the dialectal cadences, the southern accents that underline the origins of these faces. The soundtrack, once again, is extremely varied, ranging from "high" and "cultured" music by Bach, Mozart, Prokofiev and Webern to spirituals, from Russian folk songs to a Congolese sung mass - a way, too, not to forget the universality of the Gospel's message, and in particular to make its relevance visible and "audible" to the most forgotten peoples such as those of the Third World, to which Pasolini was getting closer and closer (see the spiritual "Sometimes I feel like a motherless child ", sung by Odetta, in the scene of the adoration of the shepherds and the Magi in Video 2).

Pasolini's Christ (played by Enrique Irazoqui) is certainly not the one handed down by tradition and classical iconography, nor is he the one now represented by the official Church, its rites and sermons. Pasolini's Christ looks first of all to man, to his sufferings and his hopes, in a revolutionary inspiration that does not console, does not pacify, but, on the contrary, stands out as an element of contradiction, of denunciation, of reappropriation of what is more real and authentic in the human condition: almost a call to arms, on the part of Christ who shouts almost furiously: "I did not come to bring peace, but the sword!" Pasolini's Christ lashes out with relentless anger against the "race of vipers" and "the evil and adulterous generation", as in the speech against the Pharisees (Video 3), a metaphor for modern power that knows how to manipulate the consent of the masses, acting at the same time through political and social repression; or as in the scene in which, after the triumphant and joyful entry into Jerusalem, he lashes out against the merchants of the temple (Video 4). And yet this message of rebellion and return to the origins, of violence and beauty, of scandal and profound humanity, uttered by an atheist and Marxist author, is expressed only and exclusively through the words of the Gospel, with absolute fidelity to the text, but with an emotional and political charge entrusted precisely to the cinematographic medium, that is to images, to sound, and also to silence: "'cinematic' silence, that mixture of background noises, that pure sonic horizon, which does not need any words, and which from now on will become an essential feature of Pasolini's cinema - gradually giving up the 'dramatic' use of words in favour of the drama embodied in the images themselves." (Note 11).

Pasolini's Christ is a figure who has nothing of the icons with which he has been represented over the centuries, and in particular by the Catholic tradition: he is a determined man, often angry, but also deeply involved in the human condition, immersed in the landscape as much as in the crowds, close without sentimentality to his apostles, and above all to the children, to whom he reserves his rare smiles. And the revolutionary charge of his message is reflected in the faces of those around him, most of the time astonished, fascinated but almost terrified by the explosion of words that hurt with their sincerity and authenticity more than the "sword". Not surprisingly, the film is dedicated "To the dear, happy, familiar memory of John XXIII", to underline the continuity of inspiration between the message of the film and that season of spiritual renewal embodied, albeit for a short period of time, fin the "good pope", to whom Pasolini addresses a moving, affectionate, grateful thought.

The Gospel according to Matthew won numerous prizes, in particular the Special Jury Prize at the 25th Venice Film Festival and the OCIC (Organization Catholique Internationale du Cinéma) prize.
 
Video 1
 
Video 2
 
Video 3
 
Video 4

Uccellacci e uccellini (1966)
(Il film completo è visibile qui.)
Uccellacci e uccellini (1966)
(The complete film with subtitles is available here.)
"Non ho mai «messo al mondo» un film così disarmato, 
fragile e delicato come
Uccellacci e uccellini. Non solo non
assomiglia ai miei film precedenti, ma non assomiglia a
nessun altro film. Non parlo della sua originalità, sarebbe
stupidamente presuntuoso, ma della sua formula, che è
quella della favola col suo senso nascosto. Il surrealismo
del mio film ha poco a che fare col surrealismo storico;
è fondamentalmente il surrealismo delle favole. Mai ho
scelto per tema di un film un soggetto così difficile: la crisi
del marxismo, della Resistenza e degli anni Cinquanta,
poeticamente situata prima della morte di Togliatti, subita
e vissuta, dall’interno, da un marxista, che non è tuttavia
disposto a credere che il marxismo sia finito (il buon corvo
dice: 'Io non piango sulla fine delle mie idee, perché verrà
di sicuro qualcun altro a prendere in mano la mia bandiera e
portarla avanti! E’ su me stesso che piango...'"
Pier Paolo Pasolini (Nota 12)

"I have never 'brought into the world' a film so unarmed,
fragile and delicate like Uccellacci e uccellini. Not only does it not look like my previous films, but it doesn't look like
any other movie. I'm not talking about its originality, it would be
stupidly presumptuous, but of his formula, that is,
that of the fable with its hidden meaning. My film has little to do with historical surrealism; it is fundamentally the surrealism of fairy tales. I have never
chosen such a difficult subject as the theme of a film: the crisis
of Marxism, of the Resistance and of the 1950s,
poetically situated before the death of Togliatti, as suffered
and lived, from the inside, by a Marxist, who is not however
willing to believe that Marxism is over (the good crow
says: 'I don't cry about the end of my ideas, because someone else will surely come to pick up my flag and
carry it on! It is about myself that I cry' ...) " Pier Paolo Pasolini (Note 12)
"La crisi politica in atto colpisce anche l'autore che vede allontanarsi sia il ricordo della Resistenza antifascista sia le peculiarità di un mondo contadino. Il continuo progredire di una cultura di massa, consumistica, piccolo borghese, appiattisce e ingloba qualsiasi confronto di senso, anche quello religioso. Pasolini vede sempre più recise le radici storiche e antropologiche di una società fatta di gente innocente e umile nella sua visione poetica del mondo che inesorabilmente è fagocitato dalla modernità." (Nota 13)

La rapida evoluzione politica e culturale della società italiana negli anni '60 spinge Pasolini verso un'esplicitazione più radicale delle sue posizioni politiche e, soprattutto, antropologiche e morali. Lo fa con un'opera anche formalmente e profondamente diversa dalle precedenti, adottando la formula di una "favola" picaresca, surreale, grottesca, umoristica, ironica e dai tratti a volte decisamente "sperimentali", che presenta i suoi contenuti sotto forma di apologhi, di metafore, ma anche di "didascalie" dirette. E chiama ad interpretarla uno dei massimi attori comici italiani, Totò, che spoglia di ogni potenziale comico puramente superficiale per farne invece una maschera quasi da clown felliniano, ora sorridente, ora dolente di un'umanità in crisi, che vive però in modo vitale questa sua condizione di sostanziale disperazione.

Il film si apre con la scritta "Dove va l'umanità? Boh!" e questa domanda di principio è la cifra che attraversa tutta l'opera. Infatti, Totò e suo figlio Ninetto (Ninetto Davoli) sono padre e figlio che camminano, camminano ... senza sapere perchè nè dove sono diretti. Totò richiama sin dall'inizio la figura di Charlot, con la sua giacchetta nera, i pantaloni larghi, la bombetta e un ombrello al posto del bastone - e anche in diversi momenti il film sembra adottare il linguaggio del cinema muto, con le sue improvvise accelerazioni, i suoi movimenti concitati ed il finale (Video 4) che vede i due protagonisti camminare verso il fondo dell'inquadratura, fino a diventare quasi due punti neri sullo schermo. L'ambiente è ancora quello della periferia romana, con i nuovi palazzi sullo sfondo, le baracche e le casupole sparse nella campagna, ma anche i simboli di un'Italia "in movimento", con le autostrade in costruzione, gli aerei che atterrano e decollano, i ragazzi che ballano il twist (Video 1) fianco a fianco di resti archeologici - come in Mamma Roma, ma qui la visione di tutto questo è decisamente più astratta e meno sociologicamente connotata.

A Totò e Ninetto si affianca presto un corvo parlante che, con il coro dell'armata rossa in sottofondo, è accompagnato da una didascalia, che riprende quella iniziale: "Il cammino incomincia e il viaggio è già finito". Questo corvo, che parla con una accentuata inflessione romagnola, insiste nel chiedere dove vanno i due, e Totò risponde sempre: "Laggiù", quindi si presenta subito: "Io vengo da lontano ... il mio paese si chiama ideologia, vivo nella capitale, la città del futuro, in via Carlo Marx al numero 70 volte 7" (le cifre che Cristo aveva usato nel Vangelo secondo Matteo per rispondere al discepolo che gli chiedeva quante volte è necessario perdonare chi ci ha offeso); poi, poco dopo: "I miei genitori sono il Signor Dubbio e la Signora Coscienza ... La vostra innocenza, las vostra semplicità e la vostra grazia sono religiose".

Il corvo racconta quindi una storia: "Siamo nel Mille e Duecento, ma il riferimento a fatti o persone dei nostri giorni non è affatto casuale". Vediamo dunque San Francesco che affida a due fraticelli, Fra Ciccillo e Fra Ninetto (ancora Totò e Ninetto Davoli), il compito di evangelizzare i falchi e i passerotti - compito che i due frati troveranno molto lungo e complicato. I falchi intavoleranno con loro un discorso (in sovrimpressione): "Chi siete?" - "Siamo creature di Dio, vogliamo parlare con voi, creature di Dio" - "Dio? Chi è Dio?" - "Il creatore delle creature" - E per quale ragione Dio ci ha creati?" - Voi perchè avete creato i vostri figli?" - "Allora ognuno di noi è Dio" - Esagerato!" - "E che cosa vuole da noi questo Dio? - "Amore! ... Amore! ... AMORE!". Altrettanto difficile si rivela l'evangelizzazione dei passerotti, finche Totò e Ninetto scoprono che, saltellando, possono comunicare con loro, e in sovrimpressione leggiamo il loro dialogo (Video 2): "Siamo venuti a portarvi la buona novella" - "La buona novella che ci annunci ... ammassi di miglio, di grano tenero ..." - "Ahi, ohi, quanta fatica dovrò durare per portare a voi la vera buona novella ... Il digiuno!" - "Che hai detto?" - "Il digiuno ... ma non proprio il digiuno digiuno, non vogliamo mica farvi morire di fame ... Insomma, l'amore ... amore ... AMORE!"." Senonchè, mentre tutto contento Totò recita delle buffe "laudi", un falco scende in picchiata ad afferrare un passerotto. Tornati da San Francesco, Totò spiega che "tra di loro, falchi e passerotti si sgrugnano, si ammazzano ... E che ci posso fa' io se ci sta la classe dei falchi e la classe dei passeretti?". E San Francesco: "Bisogna cambiarlo, questo mondo. Un giorno verrà un uomo dagli occhi azzurri e dirà: Sappiamo che la giustizia è progressiva, e sappiamo che man mano che progredisce la società, si sveglia la coscienza della sua imperfetta composizione e vengono alla luce le disuguaglianze stridenti e imploranti che affliggono l'umanità. Non è forse questa vertenza della disuguaglianza tra classe e classe, tra nazione e nazione, la più grave minaccia della pace? Andate, e ricominciate tutto da capo" ... e Totò: "Andiamo, Niné, ricominciamo!".

Finita la storia del corvo, compare la scritta: "Per chi avesse dei dubbi, o si fosse distratto, ricordiamo che il Corvo è un intellettuale di sinistra - diciamo così - di prima della morte di Palmiro Togliatti ...".

Altre disavventure aspettano Totò e Ninetto ... Totò va a chiedere l'affitto di una sua casupola ad una povera donna, minacciandola di ricorrere agli avvocati in caso di mancato pagamento ... per poi finire, poco dopo, in una casa di borghesi intellettuali, uno dei quali, il proprietario della casa dove abita Totò, gli chiede a sua volta di pagargli l'affitto dovuto ...

Seguono le immagini documentarie del funerale di Togliatti, con la gente in lacrime che riempie le piazze ... (Video 3)

E sentiamo ancora la voce del corvo: "Ormai non vi chiedo più dove andate... E io che so tante cose, questo non lo saprò mai ... Mah!". Dopo che Totò e Ninetto hanno fatto l'amore con una ragazza trovata per strada, il corvo riprende a parlare, parlare, parlare ... (Video 4): "Dio, patria, famiglia, quante ne avrei dette un giorno contro ... Oggi forse non ne val più la pena ... o forse è passata la mia ora ... Non pensi però, signor Totò, che io pianga sulla fine di quello in cui credo ... Sono convinto che qualcun altro verrà e prenderà la mia bandiera per portarla avanti ... Io piango solamente su me stesso, è umano, no?" ... finchè Totò e Ninetto afferrano il corvo e ... se lo mangiano. La fine delle ideologie si concretizza nel loro "assorbimento" e "assimilazione" da parte del piccolo borghese.

I messaggi di Uccellacci e uccellini sono evidenti: con essi Pasolini celebra, in modo semi-comico e tragico al contempo, la chiusura di una stagione politica e culturale che aveva avuto nella Resistenza e nella prima stagione marxista post-bellica i suoi segnali di forza - rivelatasi poi di fatto un'illusione rivoluzionaria, rimpiazzata ora dai segnali incontrovertibili del consumismo, del neo-capitalismo, dell'individualismo e dell'omologazione che ha ormai cancellato del tutto la civiltà contadina, con i suoi valori di innocenza e autenticità. Eppure la visione di Pasolini non è del tutto negativa: nonostante la morte del corvo rappresenti la fine dell'intellettuale marxista (e cioè di Pasolini stesso), specialmente nel discorso di San Francesco, che invita i due fraticelli a ricominciare da capo la loro opera di evangelizzazione, e nel discorso finale del corvo, che profetizza qualcun altro che verrà a portare avanti le sue battaglie, permane ancora una speranza per il futuro dell'umanità.

"The current political crisis also affects the author who sees both the memory of the anti-fascist Resistance and the peculiarities of a peasant world disappear. The continuous progress of a consumerist, petty bourgeois mass culture flattens and encompasses any meaning confrontation, even the religious one. Pasolini sees the historical and anthropological roots of a society made up of innocent and humble people increasingly cut in his poetic vision of a world that is inexorably swallowed up by modernity. " (Note 13)

The rapid political and cultural evolution of Italian society in the 1960s pushes Pasolini towards a more radical explication of his political and, above all, anthropological and moral positions. He does so with a work that is also formally and profoundly different from the previous ones, adopting the formula of a picaresque, surreal, grotesque, humorous, ironic and sometimes decidedly experimental "fable", which presents its contents in the form of apologues, of metaphors, but also of direct "captions". And he chooses to interpret it one of the greatest Italian comic actors, Totò, whom he strips of any purely superficial comic potential to make him a mask, almost like a Fellini clown, now smiling, now suffering from a humanity in crisis, who however endures a condition of substantial despair in a vital way.

The film opens with the words "Where is humanity going? Boh!" and this basic question runs through the whole work. Totò and his son Ninetto (Ninetto Davoli) are father and son who walk, walk ... without knowing why or where they are headed. From the beginning, Totò recalls the figure of Charlot, with his black jacket, wide trousers, bowler hat and an umbrella instead of a cane - and even at various moments the film seems to adopt the language of silent cinema, with its sudden accelerations, its excited movements and the ending (Video 4) which sees the two protagonists walking towards the back of the frame, until they become almost two black points on the screen. The environment is still that of the Roman suburbs, with the new buildings in the background, the shacks and huts scattered in the countryside, but also the symbols of Italy as a country "on the move", with the motorways under construction, the planes landing and taking off, the boys dancing the twist (Video 1) side by side with archaeological remains - as in Mamma Roma, but here the vision of all this is decidedly more abstract and less sociologically connoted.

Totò and Ninetto are soon joined by a talking crow who, with the chorus of the red army in the background, is accompanied by a caption, which takes up the initial one: "The journey begins and the journey is already over". This crow, who speaks with a pronounced Romagna inflection, insists on asking where the two are going, with Totò always replying, "Over there", then immediately introduces himself: "I come from afar ... my country is called ideology, I live in the capital, the city of the future, at number 70 times 7, Carlo Marx Street" (70 times 7 are the figures that Christ had used in the Gospel according to Matthew to answer the disciple who had asked him how many times it is necessary to forgive those who have offended us); then, shortly after, "My parents are Mr. Doubt and Mrs. Conscience ... Your innocence, your simplicity and your grace are religious".

The crow then tells a story: "We are in the thirteenth century, but the reference to facts or people of our days is not at all casual". So we see St. Francis entrusting to two friars, Fra Ciccillo and Fra Ninetto (again Totò and Ninetto Davoli) with the task of evangelizing the hawks and sparrows - a task that the two friars will find very long and complicated. The hawks start a conversation with them: "Who are you?" - "We are God's creatures, we want to talk to you, God's creatures" - "God? Who is God?" - "The creator of creatures" - And for what reason did God create us? "- Why did you create your children?" - "Then each of us is God" - Exaggerated! "-" And what does this God want from us? - "Love love love!". The evangelization of the sparrows turns out to be just as difficult, until Totò and Ninetto discover that, by hopping, they can communicate with them, and we read their dialogue (Video 2): "We have come to bring you the good news" - "The good news that you bring ... heaps of millet, of soft wheat ... " - " Ah, how much effort I will have to spend to bring you the real good news ... Fasting! " - "What did you say?" - "Fasting ... but not really fasting, we don't want to make you die of hunger ... In short, love ... love ... LOVE!". However, as Totò recites some funny franciscan prayers, a hawk swoops down to grab a sparrow. Returning to St.Francis, Totò explains that "between them, hawks and sparrows grunt and kill each other ... And what can I do if there is a class of hawks and a class of sparrows? ". And St. Francis:" We need to change this world. One day a blue-eyed man will come and say: We know that justice is progressive, and we know that as society progresses, awareness of its imperfect composition awakens and the strident and pleading inequalities that plague humanity come to light. Isn't this dispute over the inequality between class and class, between nation and nation, the gravest threat to peace? Go, and start all over again "... and Totò:" Let's go, Niné, let's start again! ".

After the crow's story, an intertitle says: "For those who might have doubts, or were distracted, remember that the Crow is a left-wing intellectual - so to speak - from before the death of Palmiro Togliatti ...". [N.B. Togliatti was the leader of the Communist party from 1927 to his death in 1964.)

Other misadventures await Totò and Ninetto ... Totò asks a poor woman to pay the rent of his hut, threatening her to have recourse to lawyers in case of non-payment ... and then ends up, shortly after, in a house of bourgeois intellectuals, one of whom, the owner of the house where Totò lives, asks him in turn to pay him the rent due ...

Then follow the documentary images of Togliatti's funerali, with the people in tears filling the squares in Rome ... (Video 3)

And we hear the crow's voice again: "Now I no longer ask you where you are going ... And I, who know so many things, will never know this ... Well!". After Totò and Ninetto have made love to a girl found on the street, the crow resumes talking, talking, talking ... (Video 4): "God, country, family, what would I have said one day against all this .. . Today perhaps it is no longer worth it ... or perhaps my time has ended ... Don't you think, however, Mr. Totò, that I am crying about the end of what I believe in ... I am convinced that someone else will come and take my flag to carry it forward ... I only cry about myself, it's human, isn't it? " ... until Totò and Ninetto grab the crow and ... eat it. The end of ideologies materializes in their "absorption" and "assimilation" by the petty bourgeois.

The messages of Uccellacci e uccellini are evident: with them Pasolini celebrates, in a semi-comic and tragic way at the same time, the closure of a political and cultural season that had had its signs of strength in the Resistance and in the first post-war Marxist season - which then turned out to be a revolutionary illusion, now replaced by the incontrovertible signs of consumerism, neo-capitalism, individualism and homologation, which have completely erased the agricultural society, with its values ​​of innocence and authenticity. Yet Pasolini's vision is not entirely negative: although the death of the crow represents the end of the Marxist intellectual (i.e. of Pasolini himself), especially in St. Francis' speech (who invites the two friars to start their work of evangelization all over again), and in the crow's final speech (which predicts that someone else will come to carry on its battles), there still remains a hope in the future of humanity.
 
Video 1
 
Video 2
 
Video 3
 
Video 4

Edipo re (1967)
(Il film completo è visibile qui.)

Edipo re (1967)
(The complete film with subtitles is available here.)
"Con Uccellacci e uccellini si chiude definitivamente il sogno da cui tutta l'avventura cinematografica di Pasolini aveva avuto origine: quello di elaborare un linguaggio in grado di parlare a tutti, rivolto ad un popolo inteso nel senso gramsciano del termine, come "altro" dalla borghesia. Constatato l'avvento, al posto di quel popolo, di una massa costruita ad hoc, dall'alto, ad opera della classe borghese, una massa la cui semplicità apparente è in realtà volontà di disimpegno e di volgarizzazione, Pasolini epura gradualmente i suoi film da quella che poteva esserne fino ad allora ritenuta la "cifra": il carattere popolare. Il linguaggio dei suoi film, fatto di immediatezza realistica ed evidenza quasi didascalica, d'ora in poi diverrà un linguaggio implicito, come lo definì il regista, un "linguaggio della realtà", sempre di più volto all'approfondimento della ricerca visiva, all'abbandono della residua "letterarietà" dei primi film, a far parlare la realtà stessa, a mettere in moto l'enorme forza comunicativa implicita nella costruzione delle immagini ... Pasolini stesso, in questo momento di massima disillusione, definirà a questo proposito il suo nuovo modo di fare cinema "cinema d'élite", precisando però di rivolgersi "ad una élite non-tradizionale", cioè non alla vecchia élite intellettuale, ma alla nuova élite che bisogna pure supporre in quell'amorfo soggetto sociale nascente che è la massa."  (Nota 14)
"With Uccellacci e uccellini the dream from which Pasolini's entire cinematographic adventure had originated definitively comes to an end: the dream of elaborating a language capable of speaking to everyone, addressed to a people understood in the Gramscian sense of the term, as "other" than the bourgeoisie. Realizing the appearance, in place of that people, of a mass built ad hoc, from above, by the bourgeois class, a mass whose apparent simplicity in fact hides disengagement and vulgarization, Pasolini gradually purges his films from what up to then could have been considered his highest feature: the popular character. The language of his films, made of realistic immediacy and almost didactic evidence, will henceforth become an implicit language, or, as he defined it, a 'language of reality', increasingly aimed at deepening his visual research, at abandoning the reidual 'literariness' ofhis early films, at making reality itself speak, at setting in motion the enormous communicative power implicit in the construction of images ... Pasolini himself, in this moment of maximum disillusionment, will define his new way of making cinema 'elite cinema', specifying however that he is addressing 'a non-traditional élite', that is, not the old intellectual élite, but the new élite that we must also suppose to exist in that amorphous growing social subject that is the mass." (Note 14)
Il "cambiamento di passo" del cinema di Pasolini è evidente nel suo film successivo a Uccellacci uccellini, l'Edipo re tratto dalle opere "Edipo re" e "Edipo a Colono" di Sofocle: una fonte di ispirazione propria della cultura classica "alta"; un'ambientazione diversa da quella popolare e (sotto)proletaria della campagna romana, e un trasferimento verso nuove terre e nuovi orizzonti, in questo caso il Marocco, simbolo di quel Terzo Mondo cui il regista si stava sempre più avvicinando; storie e personaggi che appartengono al mito, come la ricostruzione di una Grecia arcaica e fuori dal tempo, senza nessuna pretesa archeologica o filologica; un linguaggio cinematografico che, pur facendo tesoro delle esperienze precedenti, punta sempre più sulla forza delle immagini e sempre meno sulla parola, anticipando in questo senso la potenza dell'immaginario della "Trilogia della vita" e in modo particolare del Fiore delle mille e una notte.

L'ispirazione pasoliniana poggia, a partire dal senso tragico trasmesso dalla tragedia classica, sull'interpretazione freudiana della vicenda così come proposta da Freud e, almeno in parte, su aspetti autobiografici, sul proprio personale "complesso di Edipo". Ma questi sono solo i punti di partenza per un discorso più generale e universale, che è quello della tragedia dell'uomo che, pur consapevole del proprio destino, non riesce a svincolarsene perchè non è in grado di accettare la consapevolezza del male che è insito nella sua natura - una visione della "condizione umana" che è al tempo stesso universale e storicamente determinata, perchè riflette la disperazione dell'uomo occidentale di non sapere chi è, che cosa vuole e dove sta andando.

Il breve prologo del film si apre in un paesino dell'Italia settentrionale degli anni '20 del secolo scorso, dove una donna (Silvana Mangano) dà alla luce un bambino, che la vediamo accudire con amore, mentre lo sguardo del padre, un ufficiale dell'esercito, è severo e duro: una didascalia ci dice "Tu sei qui per prendere il mio posto nel mondo, ricacciarmi nel nulla e prendermi tutto quello che ho" - un chiaro riferimento ai complessi rapporti che legano la madre, il padre e il bambino, e i conflitti che da questi rapporti si generano. Il bambino è turbato dalla visione dei genitori che ballano durante una festa ...

Sulle note di una musica etnica africana, la storia si sposta nell'antica Grecia, dove un bimbo, figlio del re di Tebe Laio, viene abbandonato nel deserto da un servitore che aveva avuto l'ordine di ucciderlo per evitare che si avverasse una profezia dell'oracolo di Delfi: questo bambino, crescendo, avrebbe ucciso il padre e sarebbe giaciuto con la madre. Il bimbo viene trovato da un pastore, che lo porta al suo sovrano, Polibo, re di Corinto, che è felice di adottarlo insieme alla moglie Merope (Alida Valli), dandogli il nome di Edipo. Cresciuto, Edipo (Franco Citti) è tormentato da sonni angosciosi e, per cercare di capirne il significato, si reca dall'oracolo di Delfi, che gli rivela il suo orribile destino incestuoso e parricida (Video 1). Sconvolto, Edipo cerca inutilmente di prendere strade diverse, ma inevitabilmente si ritrova sempre sulla via di Tebe. Finisce così per incontrare il re di Tebe Laio, che lo insulta, scatenando l'ira di Edipo che uccide i soldati di Laio ed infine il re stesso. Edipo giunge così a Tebe, e apprende da un messaggero (Ninetto Davoli) che la popolazione sta fuggendo per evitare la maledizione della Sfinge che si è stabilita sulla vicina montagna, e sulla quale pende una specie di "taglia": chi ucciderà la Sfinge potrà sposare la regina Giocasta, ora vedova (Silvana Mangano). E' quello che Edipo fa, avverando in tal modo la profezia (Video 2).

Edipo diventa dunque re di Tebe e giace nel talamo nuziale con la regina, sua madre. Ma una pestilenza dilaga ora nella città, ed Edipo decide di consultare il veggente cieco Tiresia (Julian Beck), che gli rivela che verrà il giorno in cui Edipo saprà del suo orribile destino e che vagherà per il mondo senza più vederlo (Video 3). Edipo, accusa Tiresia e suo cognato Creonte (Carmelo Bene) di congiurare contro di lui, ma poi, sulla scorta di informazioni avute da Giocasta, riesce a parlare con il vecchio servitore che lo aveva abbandonato da bambino nel deserto. In tal modo apprende definitivamente la verità. Tornato a Tebe, Edipo scopre che Giocasta si è impiccata e, sconvolto, si acceca. Ora brancola nel buio, accompagnato dal messaggero (Ninetto Davoli).

Uno stacco ci porta all'epilogo, nella Bologna di fine anni Sessanta, in cui Edipo e il messaggero, vestiti in abiti moderni, vagano per la città, tra distinti borghesi e giovani spensierati. Ma Edipo è inquieto, e suonando il flauto, giunge nella parte industriale della città, tra fabbriche e rifiuti urbani, finchè arriva nei luoghi dove, nel prologo del film, era nato ed era stato cullato dalla madre (Video 4). Il cerchio si chiude: Edipo è tornato dove è cominciata la sua vita, ed ora la sua vicenda può veramente concludersi.

Pasolini fu molto esplicito nel parlare di questo film: "In Edipo re racconto la storia del mio complesso di Edipo. Il ragazzino del prologo sono io, suo padre è mio padre, ex ufficiale di fanteria, e la madre, un'insegnante, è mia madre. Racconto la mia vita, mitizzata, resa epica dalla leggenda di Edipo. Ma proprio perchè è il più autobiografico dei miei film, è anche quello che considero con maggiore oggettività e distacco, poichè se è vero che racconto un'esperienza personale, si tratta di un'esperienza esaurita, che non mi interessa più. Mi può interessare solo in quanto elemento di conoscenza, riflessione e contemplazione ..." (Nota 15). In effetti, come abbiamo detto, in questo film Pasolini non ricostruisce soltanto la tragedia di Sofocle o il mito di Edipo, ma li utilizza entrambi per proporre sotto forma di un'immaginazione creativa la tragedia della condizione presente dell'uomo. Andando oltre il dato autobiografico (che pure è chiaramente delineato nel prologo - la propria infanzia - e nell'epilogo - la propria maturità), Pasolini chiude l'età dell'innocenza" dei suoi precedenti film: un intellettuale come lui ormai è "cieco", non può più creare "nuovi mondi", ma rinasce, "riapre gli occhi", simbolicamente, in quella Bologna e in quel momento in cui prende coscienza di nuove scelte, soprattutto linguistiche: il suo cinema d'ora in poi non proporrà più messaggi chiari e facilmente decifrabili, non dovrà più dimostrare nulla che sia descrivibile con gli schemi concettuali borghesi, ma si servirà delle immagini, dei rumori, delle luci, dei suoni per evidenziare le pure emozioni dei personaggi. Non più messaggi politici o denunce sociali chiaramente esplicitati quanto piuttosto simboli, metafore, allusioni che sfidano ogni banale, diretta interpretazione per portare invece turbamento e motivo di riflessione a chi voglia a possa farlo. E le stesse tecniche cinematografiche di Pasolini si fanno più ardite, più differenziate, più composite, al servizio di un cinema fatto di suggestioni e di contaminazioni: così, accanto ai silenzi che predominano sui dialoghi, abbiamo una colonna sonora anch'essa fuori dal tempo (dalla musica africana a quella giapponese antica, dai canti rivoluzionari russi a quelli popolari rumeni, con l'aggiunta di un quartetto di Mozart nel prologo e nell'epilogo), dei costumi e delle scenografie di pura immaginazione, insieme ad un cast eterogeneo (dai volti noti del cinema italiano come Alida Valli e Silvana Mangano alle partecipazioni ormai "classiche" di Franco Citti e Ninetto Davoli, dagli attori del teatro sperimentale come Carmelo Bene e Julian Beck del Living Theatre alle tantissime comparse marocchine).

The "change of pace" of Paasolini's cinema is evident in the film following Uccellacci e uccellini, Oedipus Rex, taken from Sophocles' works "Oedipus the King" and "Oedipus at Colonus": classical culture as a source of inspiration; a setting different from the popular and (sub) proletarian one of the Roman countryside, and a transfer to new lands and new horizons, in this case Morocco, symbol of that Third World to which the director was getting closer and closer; stories and characters that belong to the myth, such as the reconstruction of an archaic Greece, without any archeological or philological claim; a cinematographic language that, while taking advantage of previous experiences, focuses more and more on the power of images and less and less on the word, anticipating in this sense the power of the imagination of the "Trilogy of life" and in particular of Arabian nights (or The Flower of One Thousand and One Nights).

Pasolini's inspiration is based, starting from the tragic sense conveyed by classical tragedy, on Freud's interpretation of the story and, at least in part, on autobiographical aspects, on his own personal "Oedipus complex". But these are only the starting points for a more general and universal discourse, which is that of the tragedy of man who, although aware of his own destiny, is unable to free himself from it because he is unable to accept the awareness of the evil that is inherent in its nature - a vision of the "human condition" that is both universal and historically determined, reflecting the despair of Western man at not knowing who he is, what he wants and where he is going.

The short prologue of the film opens in a small town in northern Italy in the 1920s, where a woman (Silvana Mangano) gives birth to a child, whom we see lovingly cared for, while the look of his father, an officer of the army, is stern and harsh: a caption tells us "You are here to take my place in the world, push me back into nothingness and take everything I have" - ​​a clear reference to the complex relationships that bind mother, father and the child, and the conflicts that arise from these relationships. The child is troubled by the vision of parents dancing at a party ...

To the tunes of African ethnic music, the story moves to ancient Greece, where a child, son of the king of Thebes Laius, is abandoned in the desert by a servant who is supposedto kill him in order to prevent a prophecy from coming true. The oracle of Delphi had prerdicted that this child, growing up, would kill his father and sleep with his mother. The child is found by a shepherd, who takes him to his ruler, Polybus, king of Corinth, who is happy to adopt him together with his wife Merope (Alida Valli), giving him the name of Oedipus. Once grown up, Oedipus (Franco Citti) is tormented by nightmares and, to try to understand their meaning, he goes to the oracle of Delphi, who reveals his horrible incestuous and parricidal destiny (Video 1). Distraught, Oedipus tries in vain to take different paths, but inevitably he always finds himself on the road to Thebes. Thus he ends up meeting the king of Thebes Laius, who insults him, unleashing the wrath of Oedipus, who kills Laius's soldiers and finally the king himself. Oedipus thus arrives in Thebes, and learns from a messenger (Ninetto Davoli) that the population is fleeing to avoid the curse of the Sphinx, which has established itself on the nearby mountain, and on which a kind of "bounty" hangs: whoever kills the Sphinx will be able to marry Queen Jocasta, now a widow (Silvana Mangano). This is what Oedipus does, thus fulfilling the prophecy (Video 2).

Oedipus therefore becomes king of Thebes and lies in the nuptial bed with the queen, his mother. But a plague is now rampant in the city, and Oedipus decides to consult the blind seer Tiresias (Julian Beck), who reveals to him that the day will come when Oedipus will know of his horrible fate and that he will wander the world without seeing it any more (Video 3). Oedipus accuses Tiresias and his brother-in-law Creon (Carmelo Bene) of conspiring against him, but then, on the basis of information received from Jocasta, he manages to talk to the old servant who had abandoned him as a child in the desert. Thus he definitively learns the truth. Back in Thebes, Oedipus discovers that Jocasta has hanged herself and, shocked, blinds himself. He is now groping in the dark, accompanied by the messenger (Ninetto Davoli).

Cut to the epilogue, in Bologna at the end of the sixties, in which Oedipus and the messenger, dressed in modern clothes, wander around the city, among distinguished bourgeois and carefree young people. But Oedipus is restless, and playing the flute, he walks towards the industrial part of the city, between factories and urban waste, until he arrives where, in the prologue of the film, he was born and was cradled by his mother (Video 4). The circle now closes: Oedipus is back where his life began, and now his story can finally reach an end.

Pasolini was very explicit in talking about this film:
"In Oedipus Rex I tell the story of my Oedipus complex. The boy in the prologue is me, his father is my father, a former infantry officer, and his mother, a teacher, is my mother. I tell my life, mythologized, made epic by the legend of Oedipus. But precisely because it is the most autobiographical of my films, it is also what I consider with greater objectivity and detachment, because if it is true that I am telling a personal experience, it is an exhausted experience, which no longer interests me. It can interest me only as an element of knowledge, reflection and contemplation ... "(Note 15). As we noted, in this film Pasolini not only reconstructs the tragedy of Sophocles or the myth of Oedipus, but uses them both to describe the tragedy of the present condition of man in the form of creative imagination. Going beyond the autobiographical story (which is also clearly delineated in the prologue - his own childhood - and in the epilogue - his own maturity), Pasolini closes the "age of innocence" of his previous films: an intellectual like him is now "blind ", he can no longer create "new worlds", but is reborn,"reopens his eyes", symbolically, in that city, Bologna, and at that moment when he becomes aware of new choices, especially linguistic ones: from now on his cinema will no longer propose clear and easily decipherable messages; he will no longer have to demonstrate anything that can be described with bourgeois conceptual schemes, but will use images, sounds, lights, to highlight the pure emotions of the characters. No longer clearly explicit political messages or social denunciations, but rather symbols, metaphors, allusions that challenge any banal, direct interpretation and provide reasons for reflection to those who want to do so. Thus Pasolini's own cinematographic techniques become more daring, more differentiated, more composite, at the service of a cinema made up of suggestions and contaminations: alongside the silences that predominate over the dialogues, we have a soundtrack that is also out of time (from African to ancient Japanese music, from Russian revolutionary songs to Romanian folk songs, with the addition of a Mozart quartet in the prologue and epilogue), costumes and sets of pure imagination, together with a heterogeneous cast ( from well-known faces of Italian cinema such as Alida Valli and Silvana Mangano to the now "classic" participations of Franco Citti and Ninetto Davoli, from experimental theatre actors such as Carmelo Bene and Julian Beck of the Living Theatre to the many Moroccan extras).
 
Video 1
 
Video 2
 
Video 3

 
Video 4
Fine della Prima parte. Vai alla Seconda parte End of Part 1. Go to Part 2

 

Note/Notes

(1) Pasolini P.P. 2015. Il mio cinema, Edizioni Cineteca di Bologna. p. 36.

(2) Dal sito dell'Enciclopedia Treccani: Pasolini, Pier Paolo

(3) Bertelli P. 2001. Pier Paolo Pasolini. Il cinema in corpo. Atti impuri di un eretico, Croce Libreria, p. 37.

(4)  Murri S. 1994. Pier Paolo Pasolini, Il Castoro Cinema, p. 24.

(5) Pasolini P.P. 2015, op. cit.,p. 36.

(6) Citato in/Quoted in Bertelli 2001, op. cit., p. 33.

(7) Pasolini P.P. 2015, op. cit., p. 36.

(8) L'Arengario Studio Bibliografico 2011. Il cinema di Pier Paolo Pasolini, Edizioni dell'Arengario, Gussago, p. 21.

(9) Pasolini P.P. 2015, op. cit., p. 83.

(10) L'Arengario 2011, op. cit, p. 29.

(11) Citato in/Quoted in Murri 1994, op. cit., p. 75.

(12) L'Arengario 2011, op. cit, p. 34.

(13) D'Ettorre F., Pettierre A. Il cinema corsaro di un poeta in rivolta, Ondacinema, p. 7.

(14) Citato in/Quoted in Murri 1994, op. cit., p. 96.

(15) Citato in/Quoted in Bertelli P. 2001, op. cit., p. 165-166.

 

 

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* Intervista a Pasolini: "Il cinema per me una nuova lingua"
* Roma e Pasolini - Documentario dal DVD di Accattone/Documentary from the DVD "Accattone"
*
Franco Citti racconta Pier Paolo Pasolini e Accattone/Franco Citti talks about Pier Paolo Pasolini and Accattone - Parte/Part 1 - Parte/Part 2

* Carlo Verdone presenta Mamma Roma/Carlo Verdone introduces Mamma Roma
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