Dossier Dossiers |
"Ma davvero vissero tutti
per sempre felici e contenti?" Finali dei film e reazioni degli spettatori Seconda parte |
"Did they really live happily
ever after?" Film endings and viewers' reactions Part 2 |
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Indice Prima parte 1. Introduzione 2. Il "lieto fine" nel cinema classico 2.1. Il "sistema" hollywoodiano 2.2. L'importanza dei generi cinematografici 3. La "cattiva reputazione" dell'happy ending classico 4. I finali "aperti" del cinema (post)moderno 5. Il ruolo degli spettatori e delle loro emozioni 5.1. Le mutevoli aspettative del pubblico 5.2. Il peso delle differrenze individuali 5.3. Happy ending per chi? 6. Una gamma di finali chiusi (non sempre "lieti") 6.1. La (ri)unione della coppia 6.1.1. Rom-com e oltre 6.1.2. Sorprese finali e coincidenze fortuite 6.2. Lo scampato pericolo 6.3. Il trionfo degli eroi e degli ideali 6.4. Quasi una fiaba 6.5. Finali dubbi o "immotivati" 6.5.1. Era solo un sogno 6.5.2. I finali "immotivati" 6.6. Ironia e parodie Seconda parte 7. I finali chiusi "infelici" 7.1. Aspettative frustrate, delusioni, rimpianti ... 7.1.1. La fine di una coppia 7.1.2. Anime senza futuro 7.2. La morte, dei "buoni" e dei "cattivi" 7.3. L'apocalisse 7.4. La fine di un viaggio 8. I fnali aperti e "sospesi" 8.1. Suspense degli eventi e incertezze esistenziali 8.2. Realtà, illusione, fantasia? 8.3. I finali sospesi "fermo immagine" e "fuori campo" 9. I finali "ciclici" 10. I finali "metacinematografici" |
Contents Part 1 1. Introduction 2. The "happy ending" in classical cinema 2.1. The Hollywood "system" 2.2. The importance of film genres 3.The "bad reputation" of the classical happy ending 4. The "open" endings of (post)modern cinema 5. The role of viewers and their emotions 5.1.The changing expectations of the public 5.2. The weight of individual differences 5.3. Happy endings - who for? 6. A wide range of closed endings (not always "happy") 6.1.The (re)union of the couple 6.1.1. Rom-coms and beyond 6.1.2. Final surprises and fortuitous coincidences 6.2. The narrow escape 6.3. The triumph of the hero and of ideals 6.4. Almost a fairy tale ... 6.5. Dubious or "unmotivated" endings 6.5.1. It was just a dream ... 6.5.2. "Unmotivated" endings 6.6. Irony and parodies Part 2 7. "Unhappy" closed endings 7.1. Frustrated expectations, disappointments, regrets ... 7.1.1. The end of a couple 7.1.2. Souls without a future 7.2. Death - of the "good" and the "bad" 7.3. Apocalypse 7.4. End of a journey 8. Open, unresolved endings 8.1. Suspense of the events, existential uncertainties 8.2. Reality, illusion, fantasy? 8.3. Unresolved endings: "freeze frames" and "off screen" 9. Cyclical endings 10. "Meta endings |
7. I finali chiusi "infelici" 7.1. Aspettative frustrate, delusioni, rimpianti ... 7.1.1. La fine di una coppia Di fronte alla grande maggioranza dei finali chiusi, che, specialmente nel cinema hollywoodiano classico, vedono una risoluzione "felice", sia pure con un'importante gamma di variazioni e sfumature che abbiamo avuto modo di sottolineare ampiamente nella precedente sezione, non sono mai mancati i film che, al contrario, si concludono con finali decisamente meno felici, se non decisamente negativi. Se gli happy ending dei finali chiusi riguardano molto spesso la formazione o la riunione di una coppia, anche i loro corrispondenti "infelici" hanno spesso avuto a che fare con storie d'amore. Tuttavia, sarebbe semplicistico e sbrigativo ridurre la gamma dei finali ad una netta opposizione "felice/infelice", perchè, come abbiamo già visto, l'infelicità, come la felicità, spesso non è un sentimento netto e definitivo, ma si accompagna ad altre sensazioni che lo arricchiscono e lo definiscono in svariati modi. Rimane inoltre da chiedersi, ancora una volta, a chi vada riferita l'infelicità - ai personaggi e/o agli spettatori? Se è vero che il pubblico si proietta nei personaggi, fino ad identificarsi con loro, e ne segue le vicende sentimentali "a specchio", provando i loro stessi sentimenti, è anche vero che un finale infelice per i personaggi può, agli occhi e nel cuore degli spettatori, arricchirsi di ulteriori sensazioni: ad esempio, la separazione di una coppia, di per sè un evento di solito infelice, può essere accompagnata da altre emozioni, come la messa in risalto di valori ed ideali superiori, o da un giudizio morale che, in nome del trionfo della giustizia, tempera e "colora" il finale infelice con sentimenti almeno in parte positivi. Consideriamo ad esempio il celeberrimo finale di Come eravamo (si vedano i Video qui sotto). Nel film abbiamo seguito la tormentata storia d'amore tra uno scrittore dotato di talento ma disponibile ai compromessi (Robert Redford) e un'ebrea comunista, determinata e dall'incrollabile impegno sociale e politico (Barbra Streisand), tra gli anni '30 e gli anni '50 del secolo scorso. Nonostante il profondo legame che li unisce, i valori e gli ideali in questione finiranno per far saltare l'unione della coppia. Nel toccante finale, i due si ritrovano per caso, dopo anni di separazione, in una strada di New York: lui è diventato uno scrittore di successo, lei continua ad impegnarsi, nel clima di guerra fredda, per il pacifismo. Inutile dire che questo incontro è all'insegna della nostalgia del passato, del rimpianto per ciò che non è potuto essere, delle speranze frustrate. Entrambi i protagonisti hanno formato nuove coppie, e lei sta crescendo la figlia che ha avuto da lui - è evidente che si amano ancora, ma le circostanze rendono una riunione ormai impossibile. Dunque un finale "chiuso" (perchè le vite di entrambi sono ormai definitivamente tracciate) ma anche "infelice", in cui però il sapore dolce della nostalgia e del rimpianto ha, agli occhi degli spettatori, una valenza molto più sfumata, un senso di straziante agro-dolce (che il tema musicale, corrispondente alla canzone di grande successo interpretata dalla Streisand, sottolinea in modo inequivocabile). E la determinazione di lei nel proseguire negli anni il suo impegno politico, costituisce un elemento di ammirazione che in qualche modo tempera quello che poteva essere un finale solo melodrammatico. |
7. "Unhappy" closed endings 7.1. Frustrated expectations, disappointments, regrets ... 7.1.1. The end of a couple Faced with the vast majority of closed endings, which, especially in classical Hollywood cinema, see a "happy" resolution, albeit with an important range of variations and nuances that we have had the opportunity to underline extensively in the previous section, there has never been a lack of films which, on the contrary, end with decidedly less happy, if not decidedly negative, endings. If the closed happy endings very often concern the formation or reunion of a couple, their "unhappy" counterparts have also often had to do with love stories. However, it would be simplistic to reduce the range of endings to a clear "happy/unhappy" opposition, because, as we have already seen, unhappiness, like happiness, is often not a clear-cut and definitive feeling, but is accompanied by other sensations that enrich it and define it in various ways. Furthermore, the question remains, once again, to whom should the unhappiness refer - to the characters and/or to the spectators? If it is true that viewers project themselves unto the characters, to the point of identifying with them, and follow their sentimental events "as in a mirror", experiencing their own feelings, it is also true that an unhappy ending for the characters can, in the eyes and hearts of the spectators, be coupled with further sensations: for example, the separation of a couple, in itself usually an unhappy event, can be accompanied by other emotions, such as the highlighting of superior values and ideals, or by a moral judgment which, in the name of the triumph of justice, tempers and "colors" the unhappy ending with feelings that are at least partly positive. Let us consider by way of example the very famous ending of They way we were (see the Videos below). In the film we followed the tormented love story between a talented but politically unengaged writer (Robert Redford) and a determined communist Jew with an unwavering social and political commitment (Barbra Streisand), between the 1930s and the 1950s. Despite the deep bond that unites them, the values and ideals in question will end up destroying the union of the couple. In the touching ending, the two meet by chance, after years of separation, in a street in New York: he has become a successful writer, she continues to work for pacifism in the Cold War climate. It goes without saying that this meeting is marked by nostalgia for the past, regret for what could have been, frustrated hopes. Both protagonists have formed new couples, and she is raising the daughter she had from him - it is evident that they still love each other, but circumstances make a reunion now impossible. Therefore this is a "closed" ending (because the lives of both are now definitively traced) but also an "unhappy" one, in which, however, the sweet taste of nostalgia and regret has, in the eyes of the spectators, a much more nuanced value, a sense of heartbreaking bittersweet (which the musical theme, corresponding to the very successful song performed by Streisand, underlines unequivocally). And her determination to continue her political commitment over the years constitutes an element of admiration that somehow tempers what could only have been a melodramatic ending. |
Italiano English Come eravamo/The way we were (di/by Sydney Pollack, USA 1973) |
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Un altro esempio di "infelicità
condizionata" ci viene offerto in L'ereditiera, la storia di
una ragazza, Catherine (Olivia de Havilland), timida e schiacciata da un
padre inflessibile, che si innamora di un giovane, Morris (Montgomery
Clift), di cui il padre sospetta subito le motivazioni: entrare in
possesso della ricca eredità della donna. Questa volta Catherine decide
di ribellarsi all'autorità paterna e di fuggire con Morris: ma il
giovane non si presenta all'appuntamento e Catherine subisce il cocente
peso dell'abbandono. Quando, tempo dopo, Morris si rifarà vivo (si veda
il Video qui sotto), forse pentito e forse anche sinceramente innamorato
di Catherine, quest'ultima è ormai maturata: sfuggita alla prigionia
paterna, non intende ora umiliarsi di fronte ad un uomo che l'ha
abbandonata. Così, mentre Morris bussa disperatamente alla porta,
Catherine, fredda e impassibile, spegne le luci del salotto e sale le scale
verso la sua camera - e verso una vita di solitudine ma anche di
orgoglio coraggioso. Come si vede, anche in questo caso, il finale
infelice è accompagnato da un senso di "giustizia" nei confronti di un
uomo infedele, ma anche da un senso di ammirazione per la trasformazione
della giovane donna da vittima succube a persona responsabile, che paga
con la solitudine il prezzo della sua dignità. Un altro finale memorabile è quello di I ponti di Madison County, anche questa una storia d'amore dagli esiti infelici. L'incontro tra Francesca (Meryl Streep), un'italiana "sposa di guerra" che non ha trovato per sè la realizzazione del "sogno americano", e un fotografo (Clint Eastwood), uomo solitario ma orgoglioso del suo stato, avviene durante i pochi giorni di assenza del marito di lei. L'amore tra queste due figure di mezza età si nutre della riscoperta dei sentimenti e del sesso, e brucia nel poco tempo a disposizione una passione che non ha futuro: lei infatti non ha il coraggio di abbandonare il marito e i due figli, e nel finale (si veda il Video qui sotto), si consuma sotto la pioggia un addio definitivo che ha il sapore di un amaro rimpianto per una felicità appena sfiorata. Un finale decisamente chiuso e decisamente infelice, ma come non apprezzare la fedeltà di Francesca, che sacrifica quello che forse poteva essere l'amore della sua vita per dei valori che il pubblico sa riconoscere ed apprezzare ... |
Another example of "conditioned
unhappiness" is offered in The
heiress, the story of a girl, Catherine (Olivia de Havilland), shy
and at the mercy of an inflexible father, who falls in love with a young
man, Morris (Montgomery Clift), whose motives the father immediately
suspects: to take possession of the woman's rich inheritance. This time
Catherine decides to rebel against her father's authority and run away
with Morris: but the young man does not show up for the appointment and
Catherine suffers the burning weight of his abandonment. When, some time
later, Morris will show up again (see the Video below), perhaps
repentant and perhaps even sincerely in love with Catherine, the latter
has now matured: having escaped her father's captivity, she now does not
intend to humiliate herself in front of the man who abandoned her. So,
while Morris knocks desperately at the door, Catherine, cold and
impassive, turns off the lights in the living room and climbs the stairs
to her bedroom and towards a life of solitude but also of courageous
pride. As can be seen, also in this case, the unhappy ending is
accompanied by a sense of "justice" towards an unfaithful man, but also
by a sense of admiration for the transformation of the young woman from
a passive victim to a responsible person, who pays with solitude the
price of her dignity. Another memorable ending is that of The bridges of Madison County, also a love story with unhappy outcomes. The meeting between Francesca (Meryl Streep), an Italian "war bride" who has not found for herself the realization of the "American dream", and a photographer (Clint Eastwood), a solitary man but proud of his condition, takes place during the few days of absence of her husband. The love between these two middle-aged figures is nourished by the rediscovery of feelings and sex, and a passion that has no future burns in the short time available: she does not have the courage to abandon her husband and two children, and in the ending (see the Video below), a definitive farewell takes place under the rain -with the taste of a bitter regret for a barely touched happiness. A decidedly closed and decidedly unhappy ending, but how can one fail to appreciate Francesca's fidelity, who sacrifices what perhaps could have been the love of her life for values that the audience can certainly recognize and appreciate ... |
L'ereditiera/The heiress (di/by William Wyler, USA 1949) |
I ponti di Madison County/The bridges of Madison County (di/by Clint Eastwood, USA 1995) |
Altre visioni di storie d'amore hanno
arricchito il panorama cinematografico più recente, aperto ora a
mostrare storie di genere (quasi) impossibili da ritrarre fino a
pochi decenni fa. E' il caso di Ritratto della giovane in fiamme,
ambientato in Bretagna nel 1770, in cui ad una pittrice
anticonformista, Marianne (Noémie Merlant) viene affidato il compito di
realizzare il ritratto di una ragazza nobile, Héloise (Adèle Haenel) da
mandare al suo promesso sposo. La relazione tra le due donne, sotto il
costante controllo della madre di Heloise (Valeria Golino) non è
semplice, perchè Héloise, da un lato vorrebbe evitare le nozze, e
dall'altro non si riconosce nel ritratto finito: ma, con sorpresa,
accetta di posare per un nuovo dipinto. Durante l'assenza della madre,
le due giovani, per il tramite dell'intenso rapporto generato dalla
creazione del nuovo ritratto, aprono i loro cuori, finendo per
confessare il reciproco amore che è nato tra di loro. Aiuteranno anche
una domestica ad abortire, consolidando ancora di più la loro relazione,
ma dovranno separarsi per andare ognuna verso il proprio destino. Nel
finale (si veda il Video qui sotto), anni dopo, le due donne si
incontreranno ad un concerto, ma senza la possibilità di entrare in
contatto: e la delusione e la frustrazione per questo amore destinato ad
un epilogo infelice si leggono tutte sul volto di Héloise, che la
macchina da presa inquadra implacabile, con la musica del concerto a
fare da sfondo, registrando il sottile turbamento e il disperato
rimpianto della giovane donna. Una storia d'amore lesbica e femminista,
che si nutre, più che di parole, di sguardi, di piccoli gesti, di
sorrisi e di occhiate furtive, con l'arte a fare da tramite e da forza
creatrice di una relazione intima senza futuro. Un finale formalmente molto simile conclude Chiamami col tuo nome, in cui, in una dolce e assolata estate italiana degli anni '80, si svolge la relazione tra Elio (Timothée Chalamet), diciassettenne figlio di una famiglia borghese, e il ventiquattrenne Oliver (Armie Hammer), studente americano ospite della famiglia di Elio. La relazione matura lentamente, fatta anche qui di sguardi, gesti, poche parole, comportamenti che man mano si fanno sempre più espliciti, divampando poi nell'incontro sessuale. Ma più che una storia d'amore gay, il film racconta, con delicatezza ma anche con realismo, il percorso di formazione verso l'età adulta, le delicate fasi di passaggio dell'adolescenza, e la sofferta scoperta di sè. Arriva la fine dell'estate, e Oliver deve tornare in America. Il Natale successivo, quando la famiglia di Elio si riunisce di nuovo nello stessa villa in cui avevano trascorso l'estate, Oliver chiama dagli Stati Uniti per annunciare il suo matrimonio, e ad Elio (si veda il Video qui sotto) non rimane altro che il rimpianto per un'estate che ha segnato la sua maturazione ma anche la prima dolorosa esperienza sentimentale. Anche in questo caso, la macchina da presa insiste lungamente sul volto del ragazzo in lacrime, che è davanti al fuoco del camino, ma che noi vediamo come se dietro quel camino ci fossimo proprio noi spettatori, testimoni di un dolore che ci viene mostrato sfondando quasi la "quarta parete" che di solito divide personaggi e pubblico, cinema e realtà. |
Other visions of love stories have
enriched the most recent cinematic panorama, now open to showing genre
stories (almost) impossible to portray until a few decades ago. This is
the case of Portrait of a lady
on fire, set in Brittany in 1770, in which a nonconformist painter,
Marianne (Noémie Merlant) is entrusted with the task of painting a
portrait of a noble girl, Héloise (Adèle Haenel) to be sent to her
betrothed. The relationship between the two women, under the constant
control of Heloise's mother (Valeria Golino) is not simple, because on
the one hand Héloise would like to avoid the marriage, and on the other
she does not recognize herself in the finished portrait: but,
surprisingly, she agrees to pose for a new painting. During the mother's
absence, the two young women, through the intense relationship generated
by the creation of the new portrait, open their hearts, ending up
confessing the mutual love thathas developed between them. They will
also help a maid to have an abortion, consolidating their relationship
even more, but they will have to separate, each going towards her own
destiny. In the ending (see the Video below), years later, the two women
will meet at a concert, but without the possibility of getting in touch:
and the disappointment and frustration for this love destined for an
unhappy epilogue can all be read on Héloise's face, which the camera
frames relentlessly, with the music of the concert in the background,
recording the young woman's subtle turmoil and desperate regret. A
lesbian and feminist love story, which feeds on small gestures, smiles
and furtive glances rather than words, with art acting as the go-between
and creative force of an intimate relationship with no future . A formally very similar ending concludes Call me by your name, which, in a sweet and sunny Italian summer of the 80s, chronicles the relationship between Elio (Timothée Chalamet), the seventeen-year-old son of a bourgeois family, and twenty-four-year-old Oliver (Armie Hammer), an American student hosted by Elio's family. The relationship matures slowly, made up here too of looks, gestures, few words, behaviors that gradually become more and more explicit, then flaring up in the sexual encounter. But more than a gay love story, the film tells, delicately but also with realism, the training path towards adulthood, the delicate transition phases of adolescence, and the painful self-discovery. The end of summer comes, and Oliver has to go back to America. The following Christmas, when Elio's family reunites again in the same villa where they had spent the summer, Oliver calls from the United States to announce his marriage, and Elio (see the Video below) is left with nothing but regret for a summer that marked his maturation but also the first painful sentimental experience. In this case, too, the camera insists for a long time on the face of the boy in tears, who is in front of a fireplace, but whom we see as if we were the spectators behind that fireplace, witnesses of a pain that is shown to us by almost breaking through the "fourth wall" that usually divides characters and audience, cinema and reality. |
Ritratto della giovane in fiamme/Portrait de la jeune fille en feu/Portrait of a lady on fire (di/by Céline Sciamma, Francia/France 2019) |
Chiamami col tuo nome/Call me by your name (di/by Luca Guadagnino, USA-Italia/Italy-Francia/France-Brasile/Brazil 2017) |
Ancora un finale di rimpianti, affidato
ancora una volta alle immagini e non alle parole, conclude Carol,
storia di una relazione amorosa tra una ricca signora quarantenne, Carol
(Cate Blanchett), prossima al divorzio, e una giovane commessa, Therese
(Rooney Mara), nella New York degli anni '50. Il rapporto, tessuto con
delicatezza ma con determinazione da Carol, porta le due donne a
compiere un viaggio in auto, e a pochi giorni di felicità: Carol infatti,
per non perdere la custodia della figlia, finirà per rompere questo
rapporto per tornare ad essere una "madre esemplare". Nel finale (si
veda il Video qui sotto), tempo dopo, le due donne si incontrano in un
ristorante, ma ormai la distanza che le separa, e che separa i loro
rispettivi mondi, è diventata incolmabile: non restano che gli sguardi,
i contatti oculari che le stringono nel ricordo di un rapporto che hanno
vissuto intensamente, ma di cui non resta ora che il desolato rimpianto.
Come si vede, questi finali chiusi e "infelici" sono in realtà ben più
complessi di quanto potrebbe sembrare: le emozioni che accompagnano la
fine di queste storie sono sfumate e spesso chiamano in causa gli
aspetti sociali sottesi ai rapporti. In fondo, le due protagoniste di
Ritratto della giovane in fiamme e le due protagoniste di
Carol sono condizionate dalla rigida moralità dell'epoca, dalle
convenzioni borghesi, dalle tradizioni patriarcali che soffocano ogni
possibile alternativa a relazioni eterosessuali e ad un'etica di genere
fortemente repressiva. Agli spettatori non viene quindi offerto solo un
generico "finale infelice" ma la possibilità di inquadrare questo finale
all'interno di reti di relazioni più complesse, dove il "privato"
dell'amore e della sessualità si scontra inevitabilmente con il
"pubblico" della morale perbenista: dunque non solo e non tanto dei
melodrammi, ma dei drammatici "ritratti" di rapporti votati al
sacrificio e alla rinuncia. Il rimpianto per ciò che poteva essere e non è stato caratterizza anche il finale di La La Land (si veda il Video qui sotto), un musical che, più che rinverdire le passate fortune di questo genere cinematografico, ne sottolinea con nostalgia i fasti ormai perduti, con continui riferimenti alla storia del cinema, alle sue icone senza tempo e allla fascinazione che il musical di per sè attiva negli spettatori. E' la storia dell'incontro tra Mia (Emma Stone), un'aspirante attrice, e Sebastian (Ryan Gosling), un pianista che vorrebbe aprire un locale jazz. La forza del destino, ancora una volta variabile cruciale, impedisce loro di coronare la loro storia d'amore, infine separandoli. Ma anni dopo, Mia, ora sposata e attrice affermata, capita (per caso ...) in un locale jazz dove trova Sebastian al pianoforte, che sta eseguendo il leitmotif del film (che abbiamo sentito ripetutamente e che è tutt'uno con la storia d'amore). I due si guardano da lontano ... ma se nella realtà è ormai troppo tardi per un happy ending, la magia del cinema, e in particolare del musical, può cambiare tutto: così, in una fantasmagoria di immagini, suoni e colori, con la colonna sonora del film a fare da costante sottofondo, Mia e Sebastian vivono tutto quello che non hanno potuto vivere, quella vita che avrebbe potuto essere loro riservata se le cose fossero andate diversamente. Alla fine di questo lungo "sogno ad occhi aperti", i due amanti si rivolgono ancora uno sguardo insieme appassionato e triste: un finale struggente che "uccide" in un certo senso il musical come genere, impedendo l'happy ending e sottolinenando invece l'abisso tra la fantasia e la realtà. |
Another regretful ending, once again
entrusted to images and not words, concludes
Carol, the story of a love affair
between a rich forty-year-old lady, Carol (Cate Blanchett), close to
divorce, and a young saleswoman, Therese (Rooney Mara ), in 1950s New
York. The relationship, woven with delicacy but with determination by
Carol, leads the two women to take a trip by car, and a few days of
happiness: in fact, Carol, in order not to lose the custody of her
daughter, will end up breaking this relationship to go back to being an
"exemplary mother". In the ending (see the Vdeo below), some time later,
the two women meet in a restaurant, but by now the distance that
separates them, and that separates their respective worlds, has become
unbridgeable: all that remains are the looks, the eye contacts that
tighten them in the memory of a relationship they lived intensely, but
of which only the desolate regret remains. As can be seen, these closed
and "unhappy" endings are actually much more complex than it might seem:
the emotions that accompany the end of these stories are nuanced and
often call into question the social aspects underlying the
relationships. After all, the two protagonists of Portrait of
a lady on fire and the two protagonists of Carol are
conditioned by the rigid morality of the time, by bourgeois conventions,
by patriarchal traditions that stifle any possible alternative to
heterosexual relationships and by a strongly repressive gender ethic.
Spectators are therefore not only offered a generic "unhappy ending" but
the possibility of framing this ending within more complex networks of
relationships, where the "private" of love and sexuality inevitably
collides with the "public" of respectable morality: therefore not only
and not so much melodramas, but two dramatic "portraits" of
relationships doomed to sacrifice and renunciation. Regret for what could have been and was not also characterizes the ending of La La Land (see the Video below), a musical which, rather than reviving the past fortunes of this film genre, nostalgically underlines its glorious past, with continuous references to the history of cinema, to its timeless icons and to the fascination that the musical itself arouses in the spectators. It is the story of the meeting between Mia (Emma Stone), an aspiring actress, and Sebastian (Ryan Gosling), a pianist who would like to open a jazz club. The force of fate, once again a crucial variable, prevents them from crowning their love story, finally separating them. But years later, Mia, now married and an accomplished actress, stumbles (by chance ...) into a jazz club where she finds Sebastian at the piano, who is playing the film's leitmotif (which we have heard repeatedly and which is all one with the romance). The two look at each other from afar ... but if in reality it is already too late for a happy ending, the magic of cinema, and in particular of musicals, can change everything: thus, in a phantasmagoria of images, sounds and colours, with the soundtrack of the film acting as a constant background, Mia and Sebastian live everything they could not live, that life that could have been reserved for them if things had gone differently. At the end of this long "daydream", the two lovers once again turn a passionate and sad look at each other: a poignant ending that "kills" in a certain sense the musical as a genre, preventing the happy ending and instead emphasizing the gulf between fantasy and reality. |
Carol (di/by Todd Haynes, GB/USA 2015) |
La La Land (di/by Damien Chazelle, USA 2016) |
Ma la struggente corda del rimpianto si
ritrova anche in alcuni importanti film classici dell'epoca d'oro
hollywoodiana, come nel potente melodramma Perdutamente tua, la
storia di una donna, Charlotte (Bette Davis) che si innamora
"perdutamente" di un uomo, Jerry (Paul Henreid) infelicemente sposato:
ci sono tutte le premesse per un finale "infelice", ma, ancora una volta
si tratta di un'infelicità che si arricchisce di sfumature potenti.
Charlotte, infatti, finirà per prendersi cura della figlia di lui - un
modo per rimanere vicino all'uomo che ama, e il massimo che possa
ottenere viste le circostanze. Così, nel finale (si vedano i Video qui
sotto), quando Jerry le chiede se è felice, Charlotte risponde con una
delle battute più celebri della storia del cinema: "Oh, Jerry, non
dobbiamo pretendere la luna... abbiamo già le stelle". Finale dunque
veramente infelice? No, perchè l'amore continua, seppure sublimato in
altro, e il rimpianto per ciò che non è stato (e che non sarà mai) si
accompagna alla tenerezza di due cuori che sono ancora quanto più vicni
possibile l'uno all'altro (con la benedizione della censura, che
ovviamente non avrebbe tollerato la messa in scena di un adulterio ...). |
But the yearning chord of regret is also found in some important classical films of the golden age of Hollywood, as in the powerful melodrama Now, voyager, the story of a woman, Charlotte (Bette Davis) who falls hopelessly in love with a man, Jerry (Paul Henreid) unhappily married: there are all the premises for an "unhappy" ending, but once again it is an unhappiness that is enriched with powerful nuances. In fact, Charlotte will end up taking care of his daughter - a way to stay close to the man she loves, and the best she can get under the circumstances. So, in the ending (see the Videos below), when Jerry asks her if she's happy, Charlotte replies with one of the most famous lines in the history of cinema: "Oh, Jerry, we don't have to ask for the moon... we already have the stars". So a really unhappy ending? No, because love continues, even if sublimated into something else, and regret for what has not been (and will never be) is accompanied by the tenderness of two hearts that are still as close as possible to each other (with the blessing of censorship, which obviously would not have tolerated the staging of an adultery ...). |
Perdutamente tua/Now, voyager (di/by Irving Rapper, USA 1942) |
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7.1.2. Anime senza futuro La ricchezza e la varietà dei finali chiusi "infelicemente" si ritrovano più volte nel corso della storia del cinema, in generi cinematografici diversi e, ovviamente, in contesti e con sfumature psicologiche differenti. Il celeberrimo finale di Thelma & Louise (si vedano i Video qui sotto), ad esempio, ingloba in sè molti significati: il breve viaggio-vacanza di due donne (Geena Davis e Susan Sarandon), alla ricerca di un po' di libertà e di soddisfazione lontano da mariti inappaganti, si è trasformato in un incubo, dopo che Louise ha ucciso un uomo che tentava di violentare Thelma. Mentre il cerchio della polizia si stringe attorno a loro, le due donne fanno ancora incontri con uomini violenti, misogini e disonesti, e toccano con mano la condizione femminile in un mondo dominato dai maschi. Ma per loro non c'è posto in questo mondo, e, giunte alla fine sull'orlo del Grand Canyon, decidono di non stare più al gioco perverso di una società ingiusta e violenta - sancendo con un ultimo bacio la loro amicizia, che è anche un toccante gesto di una preziosa solidarietà al femminile, lanciano la loro auto nel vuoto. Ma il regista sceglie di non farci vedere la loro fine, di "tenerle in vita" nonostante tutto: con un fermo-immagine, l'auto rimane sospesa a mezz'aria, come ad indicare che nemmeno la morte può scalfire i valori in cui Thelma e Louise hanno voluto credere. |
7.1.2. Sould without a future The richness and variety of "unhappily" closed endings can be found several times throughout the history of cinema, in different film genres and, obviously, in different contexts and with different psychological nuances. The very famous finale of Thelma & Louise (see the Videos below), for example, encompasses many meanings: the short vacation trip of two women (Geena Davis and Susan Sarandon), in search of a little freedom and satisfaction away from their unfulfilling husbands, turned into a nightmare after Louise killed a man who attempted to rape Thelma. As the police circle tightens around them, the two women still have encounters with violent, misogynistic and dishonest men, and experience the female condition in a world dominated by males. But for them there is no place in this world, and, having finally reached the edge of the Grand Canyon, they decide to no longer play the perverse game of an unjust and violent society - sanctioning their friendship with one last kiss, which is also a touching gesture of precious solidarity between women, they throw their car into the void. But the director chooses not to let us see their end, to "keep them alive" in spite of everything: with a freeze-frame, the car remains suspended in mid-air, as if to indicate that not even death can scratch the values in which Thelma and Louise wanted to believe. |
Italiano English Thelma & Louise (di/by Ridley Scott, USA 1991) |
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In un contesto completamente diverso ritroviamo una simile risoluzione
della storia in Butch Cassidy, la storia di due banditi (Paul
Newman e Robert Redford) che, insieme ad una donna (Katharine Ross),
compagna di uno dei due, organizzano fortunose (e a volte tragicomiche)
rapine in banche nel Wyoming del primo Novecento. Non c'è dubbio che
tutta la simpatia degli spettatori vada a questa coppia di rapinatori,
che, grazie anche al fascino trasmesso dai loro interpreti, assumono
alla fine quasi una statura eroica. Nel finale, rifugiatisi in un
capanno circondato dai soldati, feriti e ormai presi nella morsa della
fine ormai prossima, decidono, con un ultimo scatto di orgoglio, di
uscire allo scoperto sparando all'impazzata: moriranno crivellati di
colpi, naturalmente, ma, come in Thelma & Louise, il film non
ci mostra la loro morte. Anche qui, un fermo-immagine "congela l'azione"
mentre i due stanno ancora correndo verso la loro fine, quasi
immortalando per sempre queste figure ormai mitiche per il pubblico che
li ha seguiti con affetto e, infine, con ammirazione: una prova
ulteriore che un finale nel concreto "infelice" può fornire agli spettatori
più di una ragione per accettare, ed anzi, apprezzare, una risoluzione
che sarebbe stata altrimenti dolorosa. |
In a completely different context we
find a similar resolution of the story in
Butch Cassidy and the Sundance Kid, the
story of two bandits (Paul Newman and Robert Redfor) who, together with
a woman (Katharine Ross), partner to one of the two, organize unusual
(and sometimes tragicomic) bank robberies in Wyoming in the early 20th
century. There is no doubt that all the sympathy of the spectators goes
to this couple of robbers who, thanks also to the charm transmitted by
their interpreters, eventually assume an almost heroic stature. In the
end, having taken refuge in a shed surrounded by soldiers, wounded and
now caught in the grip of the imminent end, they decide, with a last
burst of pride, to come out shooting wildly: they will die riddled with
bullets, of course, but, as in Thelma & Louise,
the film does not show us their deaths. Here too, a freeze frame
"freezes the action" while the two are still running towards their end,
almost immortalizing forever these now mythical figures for the audience
who he followed them with affection and, finally, with admiration: a
further proof that a concretely "unhappy" ending can provide viewers
with more than one reason to accept and indeed appreciate a resolution
that would otherwise have been painful. |
Butch Cassidy/Butch Cassidy and the Sundance Kid (di/by George Roy Hill, USA 1969) |
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In Jules e Jim, Truffaut "mette in
scena un triangolo sentimentale-amoroso complesso, erotico e
trasgressivo, quasi anticipando il "libero amore" che di lì a qualche
anno sarebbe diventato uno dei motivi ricorrenti della contestazione
giovanile ... Al centro c'è questo trio di due uomini e una donna,
i cui rapporti sono però costantemente regolati e sviluppati dalla donna
stessa ... anarchica, anticonformista, liberissima nei costumi,
insofferente delle convenzioni, scoppiettante di vita, in costante
movimento, irrefrenabile nella sua gioia di vivere e nel contempo
incapace di stabilire un rapporto di coppia stabile e "normale",
trascina i due uomini in un costante gioco d'amore, in cui essi
diventano quasi dei bambini irretiti in un perenne scambio di affetti
... [Alla fine](si vedano i Video qui sotto) il suo rifiuto
dell'ipocrisia e delle ottuse leggi borghesi la conduce a negare la sua
stessa vitalità nel gesto estremo della morte, in cui coinvolge anche
Jim, rimasto "libero" e "indipendente", al contrario di Jules che ha
sposato. [Questa] pulsione di morte, che è l'altra faccia della
trasgressione che vorrebbe assolutizzare la vita, era già stata
annunciata sin dall'inzio del film, quando su uno sfondo nero sentiamo
la voce di Catherine dire: "Tu mì hai detto: ti amo. Io t'ho detto:
aspetta. Stavo per dirti: prendimi. Tu m'hai detto: vattene". Quasi un
gioco al massacro, questo amore che ubbidisce alla legge del "Nè con te,
né senza di te" (dal Dossier François
Truffaut: l'amore per il cinema, il cinema dell'amore). |
In Jules
and Jim, Truffaut "stages a complex, erotic and transgressive
sentimental-love triangle, almost anticipating the "free love" which in
a few years would become one of the recurring motifs of youth protest
... At the center is is this trio of two men and a woman, whose
relationships are, however, constantly regulated and developed by the
woman herself ... anarchic, nonconformist, very free in her customs,
intolerant of conventions, bursting with life, in constant movement,
irrepressible in her joy of living and at the same time unable to
establish a stable and "normal" relationship as a couple, drags the two
men into a constant game of love, in which they almost become children
ensnared in a perennial exchange of affection ... [At the end] (see the
Videos below) her rejection of hypocrisy and obtuse bourgeois laws leads
her to deny her own vitality in the extreme act of death, which also
involves Jim, who remained "free" and "independent", on the contrary of
Jules whom she married. [This] death drive, which is the other side of
the transgression that would like to absolutize life, had already been
announced from the beginning of the film, when against a black
background we hear Catherine's voice say: "You told me: I love you. I
told you: wait. I was about to say: take me. You told me: go away".
Almost a game of slaughter, this love that obeys the law of "Neither
with you, nor without you"" (From the Dossier
François Truffaut: love for cinema, the
cinema of love). |
Italiano French with subtitles Jules e Jim/Jules et Jim (di/by François Truffaut, Francia 1962) |
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Il cinema noir "post-moderno" ha fornito
numerose rappresentazioni di personaggi "feriti" nell'anima, anime
"senza futuro", preda del male che attraversa tutta la società senza che
essi abbiano la forza (e forse la volontà) di affrontarlo - vittime,
dunque, più che protagonisti attivi, e destinati al fallimento in
finali amari e spesso sconsolati. E' il caso di Chinatown, in
cui un detective privato, Jake (Jack Nicholson), viene irretito in una
serie di manovre di cui si rende solo parzialmente conto, e comunque
sempre troppo tardi. Ambientato nella Los Angeles del 1937, Jake si
ritrova al centro di un mondo corrotto, in cui anche le forze
dell'ordine sono coinvolte, e che non lascia certo spazio a storie
d'amore a lieto fine. Nel finale, infatti (si vedano i Video qui sotto),
dopo avere assistito alla sparatoria in cui rimane uccisa Evelyn (Faye
Dunaway), la donna che ama, al detective, impietrito e incapace di
pronunciare una sola parola, viene consigliato, "Lascia stare, Jake, è
Chinatown", suggellando così l'impenetrabilità di un quartiere e di un
mondo dove la violenza e la corruzione trionfano senza possibilità di
redenzione. Jake, perso e confuso, si lascia portar via, e si allontana
in mezzo ad una folla di cinesi, con un movimento della macchina presa
che indietreggia, per poi alzarsi a mostrare una panoramica della strada
in cui si allontana il protagonista - un allontanamento che è anche il
segnale della fine della storia e il nostro congedarsi dal protagonista. |
"Post-modern" noir cinema has provided
several representations of characters with "wounded" souls, souls
"without a future", prey to the evil that runs through all of society
without them having the strength (and perhaps the will) to face it -
victims, therefore, more than active protagonists, and doomed to fail in
bitter and often disconsolate endings. This is the case in
Chinatown,
where a private detective, Jake (Jack Nicholson), is ensnared in a
series of maneuvers which he only partially realizes, and in any case
always too late. Set in Los Angeles in 1937, Jake finds himself at the
centre of a corrupt world, in which even the police are involved, and
which certainly leaves no room for love stories with happy endings.
Indeed, in the ending (see the Videos below), after having witnessed the
shooting in which Evelyn (Faye Dunaway), the woman he loves, is killed,
the detective, petrified and unable to utter a single word, is advised,
"Just forget it, Jake, it's Chinatown", thus sealing the impenetrability
of a neighborhood and a world where violence and corruption triumph
without the possibility of redemption. Jake, lost and confused, lets
himself be carried away, and walks away in the midst of a crowd of
Chinese people, with a movement of the camera that moves backwards, then
raising to show a panoramic view of the street in which the protagonist
is walking away - a distance that it is also the signal of the end of
the story and our farewell to the protagonist. |
Italiano English Chinatown (di/by Roman Polanski, USA 1974) |
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Tra le mille variazioni di queste "anime
senza futuro", che sono protagoniste di finali infelici all'insegna
dell'amarezza e dello smarrimento, citiamo, in un contesto ancora
assolutamente diverso, due film relativamente recenti indicativi
dell'inquietudine insita nei rapporti condizionati da un mondo in
profonda trasformazione. The social network, la storia di Mark
Zuckerberg, il creatore di Facebook (interpretato da Jesse Eisenberg), è
al contempo la narrazione della creazione di un impero e la cronaca di
ciò che questo può comportare per chi si ritrova a gestire un gioco
infinitamente più grande di sè. Nel finale (si veda il Video qui sotto),
dopo che il rapporto con i suoi più stretti collaboratori e amici si sta
sfaldando in una serie di controversie legali, vediamo Mark, solo
davanti al computer, mentre ricarica in continuazione la pagina di
Facebook della sua ex-ragazza, forse nella (vana) speranza di
riallacciare un rapporto ormai giunto al termine. Prima dei titoli di
coda, una serie di note ci informa di come furono risolte le
controversie legali, nonchè che Mark è "il più giovane miliardario al
mondo". E infatti in colonna sonora sentiamo la canzone "Baby you're a
rich man" dei Beatles: e ci viene da chiederci, a quale prezzo Mark è
riuscito a sfondare in un mondo così competitivo? Cosa ne ha avuto in
cambio? E qual è alla fine lo scopo di tutto questo? Mark, in fondo, e
con lui i suoi amici/collaboratori, sono stati dei teenager geniali
coinvolti troppo presto e troppo in fretta in operazioni colossali
quanto pericolose, forse senza la maturità necessaria per gestirle. |
Among the thousands of variations of
these "souls without a future", who are the protagonists of unhappy
endings marked by bitterness and bewilderment, let us mention, in an
absolutely different context, two relatively recent films indicative of
the unease inherent in relationships conditioned by a world undergoing
profound transformations. The
social network, the story of Mark
Zuckerberg, the creator of Facebook (played by Jesse Eisenberg), is both
the narrative of the creation of an empire and the chronicle of what
this can mean for those who find themselves managing a game which is
infinitely bigger then themselves. In the ending (see the Video below),
after the relationship with his closest collaborators and friends is
falling apart in a series of legal disputes, we see Mark, alone in front
of the computer, constantly reloading the Facebook page of his
ex-girlfriend, perhaps in the (vain) hope of re-establishing a
relationship that has now come to an end. Before the end credits, a
series of notes inform us how the legal disputes were resolved, as well
as that Mark is "the youngest billionaire in the world". On the
soundtrack we hear the song "Baby you're a rich man" by the Beatles: and
we wonder, at what price did Mark manage to break through in such a
competitive world? What did he get in return? And what is the ultimate
purpose of all this? After all, Mark, and with him his
friends/collaborators, were brilliant teenagers involved too early and
too quickly in colossal and dangerous operations, perhaps without the
necessary maturity to manage them. |
The social network (di/by David Fincher, USA 2010) |
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7.2. La morte, dei "buoni" e dei "cattivi" La morte del protagonista può essere considerata l'estrema forma di "finale chiuso infelice": con essa si chiudono le possibili azioni del personaggio, e dunque anche la narrazione delle stesse tramite il film. Tuttavia, persino in questo caso estremo di "risoluzione senza ritorno", i film possono esibire una notevole gamma di significati e sollecitare un'altrettganto ricca serie di emozioni diverse da parte degli spettatori. La morte dei "buoni", un'etichetta che usiamo solo per comodità di espressione, ad indicare quei personaggi che incarnano valori positivi (o almeno percepiti come tali dal pubblico) è fonte di tristezza, di malinconia, magari anche di seenso di ingiustizia e, se causata da qualche altro personaggio, anche di speranza di veder ristabilito l'equilibrio rotto tramite la punizione del responsabile. Ma quando il responsabile non esiste, o si identifica con il destino, la fatalità o un'altra causa non identificabile con un responsabile diretto, possono scattare emozioni ancora diverse, che ampliano così il significato e il valore che la rappresentazione della morte può evocare sullo schermo. Prendiamo ad esempio Tramonto, un melodramma che ha per protagonista una giovane donna, Giulia (Bette Davis) che si innamora, ricambiata, del chirugo, Frederick (George Brent) che l'ha operata per un tumore al cervello. Quando scopre di avere solo poco tempo da vivere, cosa che Frederick le aveva tenuto nascosto, dapprima si allontana da lui, credendo che il suo amore nasconda solo compassione, per poi ricredersi e sposarlo. Nel finale (si veda il Video qui sotto), quando la malattia la rende cieca, lascia partire il marito per un viaggio di lavoro, non le rivela la sua infermità e lo lascia partire sereno, arrivando persino ad incoraggiare un'amica che la segue a restare vicino a Frederick. Poi sale in camera sua, si stende sul letto, e aspetta la sua fine. Una fine che il film le concede come un dolce sonno ... Come avevamo visto in Amore sublime (vedi la Prima parte), l'infelicità della risoluzione della trama si accompagna ad un'emozione forse più forte: quella dell'empatia e persino dell'ammirazione nei confronti di questa donna che, descritta all'inizio come frivola e impenitente rubacuori, si è trasformata nel corso del tempo in una specie di eroina, pronta a tutti i sacrifici e attenta ad assicurare la felicità di chi le sta attorno. Morte sì, dunque, ma riscattata da valori che il pubblico può percepire come superiori, e dunque non esattamente un evento "infelice" in senso stretto. In altri casi, la morte assume toni assurdi e tanto più disturbanti quanto più causata da persone ed eventi incomprensibili. E' il caso di Il processo, dal romanzo di Franz Kafka, in cui si narra di come un giovane impiegato, Joseph K. (Anthony Perkins), venga accusato, da parte di un potere misterioso, di un crimine indefinito: se dapprima tenta di difendersi, passa poi a sbeffeggiare il fantomatico tribunale che lo giudica, fino ad arrivare, nel finale (si veda il Video qui sotto), di accettare il verdetto di morte, come piegandosi ad un destino assurdo ma ineluttabile. Si tratta in questo caso di una declinazione particolare della morte del protagonista, tanto più insensata quanto più accettata dalla vittima come fatto ineluttabile. |
7.2. Death - of the "good" and the "bad" The death of the protagonist can be considered the extreme form of "unhappy closed ending": the possible actions of the character are closed, and therefore also the narration of the same through the film. However, even in this extreme case of "resolution without return", films can exhibit a remarkable range of meanings and elicit an equally rich range of different emotions from viewers. The death of the "good", a label that we use only for ease of expression, to indicate those characters who embody positive values (or at least perceived as such by the public) is a source of sadness, melancholy, perhaps even injustice and, if caused by some other character, also of the hope of seeing the broken balance restored through the punishment of the "villain". But when the perpetrator does not exist, or is identified with fate, fatality or another cause that cannot be identified, different emotions can be triggered, too, thus expanding the meaning and value that the representation of death can evoke on the screen. Take for example Dark victory, a melodrama whose protagonist is a young woman, Giulia (Bette Davis) who falls in love with the surgeon, Frederick (George Brent) who operated on her for a brain tumour. When she discovers that she has only a short time left to live, which Frederick had kept hidden from her, she at first distances herself from him, believing that her love hides only compassion, only to change her mind and marry him. In the ending (see the Video below), when the disease has left her blind, she lets her husband go on a business trip and does not reveal her infirmity, even encouraging a dearest friend to stay close to Frederick. She then goes up to her room, lies down on the bed, and waits for her death. An end that the film bestows on her like a sweet sleep ... As we had seen in Stella Dallas (see Part One), the unhappiness of the resolution of the plot is accompanied by a perhaps stronger emotion: that of empathy and even of admiration for this woman who, initially described as a frivolous and unrepentant heartthrob, has transformed over time into a kind of heroine, ready for all sacrifices and careful to ensure the happiness of those around her. Death - yes, but redeemed by values that the audience can perceive as superior, and therefore not exactly an "unhappy" event in the strict sense. In other cases, death takes on absurd tones, all the more disturbing when it is caused by incomprehensible people and events. This is the case of The Process, from the novel by Franz Kafka, which tells of how a young employee, Joseph K. (Anthony Perkins), is accused, by a mysterious power, of an undefined crime: at first he tries to defend himself, then goes on to mock the phantom court that judges him, until ending up (see the Video below) accepting the death verdict, as if bowing to an absurd but inescapable destiny. In this case we are dealing with a particular variation of the protagonist's death, the more senseless the more it is accepted by the victim as an unavoidable fact. |
Tramonto/Dark victory (di/by Edumd Goulding, USA 1939) |
Il processo/Le procès/The trial (di/by Orson Welles, Francia/France- Italia/Italy-Repubblica Federale Tedesca/German Federal Republic 1962) |
Una morte ancora diversa attende il
protagonista di Il bandito delle undici, in cui il protagonista,
Ferdinand (Jean-Paul Belmondo), un rispettabile insegnante insoddisfatto
però della propria vita, decide di fuggire con una donna, Marianne (Anna
Karina), che si rivelerà essere quasi una femme fatale: lo trascinerà
infatti sempre più in basso verso il crimine. Inseguiti dalla polizia,
Ferdinand decide di darsi la morte. Nel finale (si veda il Video qui
sotto), una mano misteriosa corregge una scritta, "la ... rt",
aggiungendo "mo" e trasformandola così in "la mort" (evidenti simboli
che il maggior esponente della nouvelle vague francese,
Jean-Luc Godard, dissemina lungo il film). Ferdinand intanto si dipinge
il volto di blu, fissa attorno al suo corpo un'enorme quantità di
candelotti di dinamite dipinti di giallo e di rosso, e dà quindi fuoco
alla miccia, ma mentre sta esplodendo udiamo le sue parole che
sconfessano quanto sta facendo: "Ma che fesso che sono ... Che razza di
morte!". Poi la macchina da presa si volge verso una lunga panoramica del
mare ... E' evidente che una morte come questa, oltre che irrazionale, è
soprattutto dipinta con toni assurdi e surreali, che la demitizzano e
quasi la scherniscono, dando al finale un tono tra il drammatico e il
grottesco, con la vista del mare che fa quasi da contraltare (di
speranza?) alla solitudine esistenziale del protagonista. Sempre sulla scia di queste rappresentazioni inusuali della morte del protagonista, come interpretare quella rappresentata nel finale di Punto zero (si veda il Video qui sotto), in cui un uomo (Barry Newman), al volante di un'auto lanciata a folle velocità, e sotto gli sguardi ora curiosi, ora indifferenti, ora persino divertiti di vari testimoni del suo passaggio, si lancia col sorriso sulle labbra contro un bulldozer? In realtà il film ci ha descritto la sfida che quest'uomo ha accettato, quella di percorrere in quindici ore, con un'auto dal motore truccato, i 2000 kilometri che separano Denver da San Francisco. Una volta cominciata la folle corsa, la sfida diventa esistenziale, non esiste più possibilità di ritorno, e l'uomo diventa così un mito, una specie di eroe che incarna l'anelito tutto americano alla libertà, al di là della stessa sfida, che resta immotivata ma che non può che concludersi che con la morte del protagonista. |
A different death awaits the protagonist
of Pierrot le fou, in which
the protagonist, Ferdinand (Jean-Paul Belmondo), a respectable teacher,
dissatisfied with his life, decides to run away with a woman, Marianne
(Anna Karina), who will turn out to be almost a femme fatale:
she will inexorably draw him towards crime. Pursued by the police,
Ferdinand decides to kill himself. In the ending (see the Video below),
a mysterious hand corrects an inscription, "la ... rt", adding "mo" and
thus transforming it into "la mort" (obvious symbols that the greatest
exponent of the French nouvelle vague, Jean-Luc Godard,
disseminates all along the film). Ferdinand meanwhile paints his face
blue, fixes around his body an enormous quantity of sticks of dynamite
painted yellow and red, and then sets fire to the fuse, but while it is
exploding we hear his words which disavow what he is doing: "What a fool
I am ... What kind of death!". Then the camera turns towards a long shot
of the sea ... It is evident that a death like this, as well as
irrational, is above all described with absurd and surreal tones, which
demythologize and almost mock it, giving the ending a tone between the
dramatic and the grotesque, with the view of the sea that almost acts as
a counterpart (of hope?) to the existential lonelibness of the
protagonist. Still in the wake of these unusual representations of the protagonist's death, how to interpret the one shown in the ending of Vanishing point (see the Video below), in which a man (Barry Newman), at the wheel of a car launched at breakneck speed, and under the now curious, now indifferent, now even amused looks of various witnesses of its passage, throws himself with a smile against a bulldozer? In reality, the film shows the challenge that this man has accepted, that of travelling in fifteen hours, with a car with a souped-up engine, the 2000 kilometers that separate Denver from San Francisco. Once the mad rush has begun, the challenge becomes existential, there is no longer any possibility of returning, and the man thus becomes a myth, a sort of hero who embodies the all-American yearning for freedom, beyond the challenge itself, which remains unmotivated |
Il bandito delle undici/Pierrot le fou (di/by Jean-Luc Godard, Francia/France 1965) Il film completo, in originale con sottotitoli, è disponibile qui/The full film in French with subtitles is available here. |
Punto zero/Vanishing point (di/by Richard C. Sarafian, USA 1971) |
Tra le rappresentazioni più insolite della
morte trova spazio anche quella di All that jazz, un musical
centrato sulla vita di eccessi di un regista e coreografo, Joe Gideon
(Roy Scheider), che cerca in tutti i modi di mettere in scena un nuovo
spettacolo nonostante le sue condizioni di salute peggiorino fino
al'infarto. A questo punto lo spettacolo si farà, ma sarà centrato
proprio sulla morte di Joe, in un fantasmagorico e rutilante show
(si veda il Video qui sotto), in cui compaiono anche le donne della sua
vita: l'ex-moglie, la figlia, la nuova fidanzata, e infine la Morte
stessa (Jessica Lange) in un seducente costume bianco. Sulle note di
Bye bye love (con le parole modificate in "Bye bye life", "Addio,
vita"), realtà, fantasia, sogno ad occhi aperti si mescolano davanti
agli occhi di Joe, che fonde così vita e spettacolo come aveva sempre
fatto in tutta la sua vita, fino a quando un telo di plastica si chiude
sopra il suo cadavere. E su questa immagine si innestano i titoli di
coda, sulle note della celeberrima canzone There's no business like
show business, emblema del musical classico hollywoodiano, che
forse celebra in questo film la sua stessa morte. Toccante e commovente
l'interpretazione di Scheider, che offre un ritratto senza compromessi
della sua ossessione come della realtà del mondo dello
show business. |
Among the most unusual representations of death we can mention All that jazz, a musical centered on the life of excesses of a director and choreographer, Joe Gideon (Roy Scheider), who tries in every way to stage a new show despite his health conditions deteriorate up to a heart attack. At this point the show will take place, but it will be centred precisely on Joe's death, in a phantasmagorical and glittering show (see the Video below), in which the women of his life also appear: his ex-wife, his daughter, his new girlfriend, and finally Death herself (Jessica Lange) in a seductive white costume. On the notes of "Bye bye love" (with the lyrics changed to "Bye bye life"), reality, fantasy, daydreaming mix before Joe, who thus manages to blend life and entertainment as he always had done throughout his life, until a plastic sheet closes over his corpse. And the end credits are grafted onto this image, to the notes of the famous song "There's no business like show business", emblem of the classical Hollywood musical, which perhaps celebrates its own death in this film. Scheider's interpretation is touching and moving, offering an uncompromising portrait of his obsession as well as of the reality of the world of show business. |
All that jazz (di/by Bob Fosse, USA 1979) |
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La morte del "cattivo" o dell'antagonista
potrebbe essere considerata una specie di happy ending, visto
che si tratta di ristabilire l'equilibrio della giustizia con la
punizione auspicata del malvagio di turno. In realtà, persino in questo
caso la soddisfazione dello spettatore non è affidata solo (o
soprattutto) a questa "consolazione secondaria" di veder trionfare la
giustizia, ma molto spesso anche alle emozioni collaterali che
accompagnano il finale, specialmente se il "cattivo" ha assunto agli
occhi del pubblico una statura fuori dal comune, così che la
drammaticità della sua fine può tingersi di toni tragici e perfino
epici. E' il caso di Scarface, realizzato nel 1932 da Howard Hawks ma rifatto nel 1983 da Brian De Palma, che narra la vita e le avventure di un gangster, Tony Montana (Al Pacino), la cui drammatica fine sottolinea il suo progressivo decadimento morale che non può che condurre ad una fine tragica. Ma tutta la parte finale (si vedano i Video qui sotto) è raffigurata come una dinamicissima coreografia, che parte dal protagonista seduto alla sua scrivania coperta di sacchetti di eroina, e cresce progressivamente in drammaticità e violenza: non solo Tony "venderà cara la pelle", ma il massacro finale assume i toni di una vera tragedia quasi esistenziale, in cui la personalità del gangster si trasforma in un ritratto smisurato ed epico di un uomo bigger than life. |
The death of the "villain" or the
antagonist could be considered a kind of happy ending, given that it is
a question of restoring the balance of justice with the desired
punishment of the villain her/himself. In reality, even in this case the
satisfaction of the spectator is not entrusted only (or above all) to
this "secondary consolation" of seeing justice triumph, but very often
also to the collateral emotions that accompany the ending, especially if
the "villain" has assumed in the eyes of the public an out of the
ordinary stature, so that the drama of her/his end can be tinged with
tragic and even epic tones. This is the case of Scarface, made in 1932 by Howard Hawks but remade in 1983 by Brian De Palma, which narrates the life and adventures of a gangster, Tony Montana (Al Pacino), whose dramatic end underlines his progressive moral decay which can only lead to a tragic end. But the whole final part (see the Videos below) is shown as a very dynamic choreography, which starts from the protagonist sitting at his desk covered with bags of heroin, and progressively grows in drama and violence: not only will Tony "sell his life dearly ", but the final massacre takes on the tones of a true almost existential tragedy, in which the gangster's personality is transformed into a huge and epic portrait of a bigger than life figure. |
Italiano English Scarface (di/by Brian De Palma, USA 1983) |
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Nei film thriller più "classici", la morte
del "cattivo" assume toni più realistici e meno simbolici, e giunge a
fare da coronamento (e da risoluzione) ad una trama spesso ricca di colpi
di scena, che gradualmente porta all'esplosione finale di violenza in
cui i conti vengono finalmente "saldati", le vittime riescono a salvarsi
e il malvagio responsabile di tanta violenza incontra la sua giusta fine
- non prima, però, di aver dato filo da torcere ai personaggi-vittime.
Il finale "chiuso" di questi film, che sembrano veramene mettere la
parola "fine" ad un susseguirsi di eventi drammatici, potrebbe essere
considerato "felice", almeno dal punto di vista dei protagonisti che
riescono a scampare il pericolo incombente sin dall'inizio del film, ma
a quale prezzo raggiungono questa supposta "felicità"? Spesso chi
sopravvive alla lotta finale è esausto, al limite dell'umana
sopportazione, ed anche lo spettatore, che pure ha seguito con interesse
e partecipazione le sofferenze delle vittime, ne esce forse
soddisfatto, ma certo non con la stessa distesa serenità dei più
classici happy ending. A titolo di esempio, consideriamo la storia di Ore 10:calma piatta, in cui una coppia (Sam Neill e Nicole Kidman), per superare lo stress causato dalla morte del figlio in un incidente stradale, decidono di fare una crociera "in solitaria" su uno yacht affittato. La loro situazione psicologica non è dunque delle migliori sin dall'inizio, ma hanno la sfortuna di accogliere a bordo un giovane naufrago (Billy Zane), che si rivela presto essere un pericoloso psicopatico assassino, da cui faranno una gran fatica a liberarsi. La caratteristica di questi maniaci assassini sembra quella di avere mille vite, il che giustifica i finali "doppi" e persino "multipli": quando sembra che siano stati eliminati, risorgono dal nulla, riaccendendo il conflitto fino alla desiderata e tanto attesa eliminazione (se ne veda un ottimo esempio nel Video qui sotto ). Anche in Blood simple - Sangue facile la persecuzione che assilla due amanti (Frances McDormand e John Getz) per mano di un detective privato (Emmet Walsh) assoldato dal marito di lei, assume toni sempre più violenti: e quando, dopo la morte dell'amante, la ragazza spara infine attraverso la porta di un bagno (si veda il Video qui sotto) dovrà ancora sentire la sardonica risata dell'uomo che ha colpito, con le immagini finali del sifone e dei rubinetti, probabilmente l'ultima visione in soggettiva dell'uomo morente. |
In the more "classic" thriller films,
the death of the "bad guy" takes on more realistic and less symbolic
tones, and comes to crown (and resolve) a plot often full of twists and
turns, which gradually leads to the final explosion of violence in which
the accounts are finally "settled", the victims manage to save
themselves and the villain responsible for so much violence meets his
just end - not before, however, having given a hard time to the
character-victims. The "closed" ending of these films, which really seem
to put the word "end" to a succession of dramatic events, could be
considered "happy", at least from the point of view of the protagonists
who manage to escape the imminent danger they have been exposed to from
the beginning of the movie, but at what price do they achieve this
supposed "happiness"? Often those who survive the final fight are
exhausted, at the limit of human endurance, and even the spectator, who
has followed the suffering of the victims with interest and
participation, perhaps comes out satisfied, but certainly not with the
same relaxed serenity of the more classical happy endings. As an example, let us consider the story of Dead calm, in which a couple (Sam Neill and Nicole Kidman), to overcome the stress caused by the death of their son in a road accident, decide to go on a "solo" cruise on a rented yacht. Their psychological situation is therefore not the best from the start, but they have the misfortune to welcome on board a young castaway (Billy Zane), who soon turns out to be a dangerous psychopathic murderer, from whom they will have to spend a great deal of effort to free themselves. The characteristic of these murderous maniacs seems to have a thousand lives, which justifies the "double" and even "multiple" endings: when it seems that they have been eliminated, they resurrect from nowhere, rekindling the conflict until their desired and long-awaited elimination (see a good example of this in the Video below). Even in Blood simple, the persecution that haunts two lovers (Frances McDormand and John Getz) at the hands of a private detective (Emmet Walsh) hired by her husband, takes on increasingly violent tones: and when, after the death of the lover, the girl finally shoots through a bathroom door (see the Video below) she will still have to hear the sardonic laugh of the man she hit, with final images of the siphon and taps, probably the last subjective vision of the dying man. |
Ore 10: Calma piatta/Dead calm (di/by Phillip Noyce, Australia 1989) |
Blood simple - Sangue facile/Blood simple (di/by Joel e/and Ethan Coen, USA 1984) |
Un esempio magistrale di questi finali che
sembrano interminabili perchè il cattivo di turno toirna a colpire dopo
che lo abbiamo presunto ormai spacciato, è offerto da Martin Scorsese in
Cape Fear - Il promontorio della paura (si vedano i Video qui
sotto) nel suo remake dell'altrettanto celebre film diretto da
Jack Lee Thompson nel 1962. Un avvocato, Sam (Nick Nolte), sposato con
Leigh (Jessica Lange) e con una figlia sedicenne, Danielle (Juliette
Lewis) deve vedersela con un suo passato cliente, Max (Robert De Niro),
che intende vendicarsi del fatto che Sam aveva occultato delle prove a
suo favore, facendolo così condannare ad una lunga pena detentiva.
Comincia così una spietata caccia all'uomo: il trasferimento della
famiglia sul loro battello in una località di vacanze non ferma certo
Max, e la lotta che Sam dovrà ingaggiare (si vedano i Video qui sotto)
sarà lunga ed estenuante, protratta fino al parossismo, in un crescendo
di violenza e di tensione quasi insopportabile: una lotta contro un
nemico che sembra continuamente risorgere, quasi fosse immortale,anche
quando è dato per spacciato. Quando alla fine Max, ferito a morte, si
rialza, lo vediamo pronunciare parole senza senso rivolgendosi
direttamente alla macchina da presa, cioè a noi spettatori. Dopo che Max
cade in acqua, torna una calma irreale e spettrale, ma il senso di
minaccia e di pericolo che ci ha accompagnato per un tempo così lungo
non si esaurisce, e le parole finali di Danielle in voice-over
lasciano il segno: "Non abbiamo mai parlato di quello che è successo,
almeno fra di noi ... immagino per paura che il ricordo del suo nome e
di quello che aveva fatto gli avrebbe dato diritto di cittadinanza nei
nostri sogni. Quanto a me, io non me lo sogno più quasi del tutto ...
eppure, la nostra vita non tornerà mai ad essere quella che era prima
della sua venuta ... ma in fondo non è un male, perchè se si resta
attaccati al passato si muore un po' ogni giorno ... e per quello che mi
riguarda, io so che preferisco vivere". Vediamo gli occhi di Danielle
che si fanno oggetto di effetti visivi sconcertanti ... sulla colonna
musicale angosciosa che è la stessa usata in Psyco di
Hitchcock. Dunque un finale che vede la salvezza dei "buoni" e la finale
eliminazione del "cattivo", ma che lascia un profondo senso di
smarrimento e di turbamento - un finale che chiude la storia ma, in un
certo senso, lascia aperta la narrazione, avviluppando ancora, oltre la
fine del film, gli spettatori che sono stati essi stessi resi
protagonisti di questa discesa agli inferi. |
A masterful example of these endings that seem interminable because the villain strikes again and again after we have presumed him finally dead, is offered by Martin Scorsese in Cape Fear (see the Videos below) in his remake of the equally famous film directed by Jack Lee Thompson in 1962. A lawyer, Sam (Nick Nolte), married to Leigh (Jessica Lange) and with a sixteen-year-old daughter, Danielle (Juliette Lewis) has to deal with a past client of his, Max (Robert De Niro), who intends to take revenge for the fact that Sam withheld evidence in his favour, thus causing him to be sentenced to a long prison term. Thus begins a ruthless manhunt: the transfer of the family on their boat to a holiday resort certainly does not stop Max, and the fight that Sam will have to engage in (see the Videos below) will be long and exhausting, protracted to the point of paroxysm. , in a crescendo of violence and almost unbearable tension: a fight against an enemy who seems to continually rise again, as if he were immortal, even when he is given up for doomed. When at the end Max, mortally wounded, gets up, we see him utter meaningless words addressing himself directly to the camera, that is to us as spectators. After Max falls into the water, an unreal and ghostly calm returns, but the sense of threat and danger that has accompanied us for such a long time does not fade, and Danielle's final words in voice-over leave their mark: "We never talked about what happened, at least between us... I guess out of fear that the memory of his name and what he had done would entitle him to citizenship in our dreams. As for me, I have almost completely stopped dreaming about him ... and yet, our life will never go back to what it was before his coming ... but in the end it's not a bad thing, because if you stay attached to the past you die a little every day ... and as far as I'm concerned, I know that I prefer to live". We see Danielle's eyes become the object of baffling visual effects ... on the agonizing musical score that is the same used in Hitchcock's Psycho. This is an ending that sees the salvation of the "good guys" and the final elimination of the "bad guy", but which leaves a deep sense of bewilderment and turmoil - an ending that closes the story but, in a certain sense, leaves the narrative open, still enveloping, beyond the end of the film, the spectators who have themselves been made protagonists of this descent into hell. |
Italiano English Cape fear - Il promontorio della paura/Cape Fear (di/by Martin Scorsese, USA 1991) |
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7.3. L'apocalisse I finali "apocalittici", in cui è l'umanità intera, o comunque un grande numero di persone, a soccombere ad un pericolo o ad una minaccia eccezionale, sia essa dovuta a cause naturali (un terremoto, un uragano, un'eruzione vulcanica ...), umane (un disastro nucleare, un attentato, una guerra ...) o aliene (un'invasione di mostri extraterrestri ...) sono molto comuni, soprattutto, come è ovvio, in particolari generi cinematografici come il cinema detto, appunto" catastrofico", il cinema fantasy, horror e di fantascienza, ma anche in altri film non così direttamente classificabili. Questi finali chiusi "infelici" rappresentano l'estensione massima del tema della "morte" che abbiamo appena affrontato, ma anche l'opposto dei finali che mettono in scena lo "scampato pericolo", come abbiamo visto nella Prima parte di questo Dossier, o il trionfo della vasta gamma di "supereroi" che salvano il pianeta da ogni sorta di pericolo, e specialmente dai "malvagi" che ne vorrebbero la distruzione. Le ansie e le angosce esistenziali che accompagnano il cammino dell'umanità, e che in particolari periodi storici si sono concentrate su situazioni o eventi più specifici (come la minaccia nucleare durante la Guerra Fredda e l'attentato alle Torri Gemelle di New Yorn nel 2001), hanno spesso trovato nel cinema delle rappresentazioni più o meno dirette ed esplicite. Proprio i divers contesti storici e socio-culturali possono spiegare come certi remake, o rifacimenti di film di successo, comportano a volte un finale diverso rispetto all'originale. E' il caso di Terrore dallo spazio profondo, rifacimento di L'invasione degli ultracorpi (di Don Siegel, USA 1953, discusso nella Prima parte), di cui conserva il titolo nella versione inglese. Se nell'originale alla fine il protagonista, benchè terrorizzato e sotto shock, riusciva ad avvertire le autorità dell'invasione degli alieni, garantendo così una specie, seppure spuria, di happy ending, nel nuovo film i replicanti alieni che, senza farsi accorgere, sostituiscono man mano gli umani, sembrano destinati ad avere la meglio nella lotta che si scatena nel mondo, specialmente se consideriamo proprio il finale (si vedano i Video qui sotto). L'ultima scena vede infatti uno dei protagonisti, Matthew, camminare in una piazza deserta incontro all'altra protagonista, Nancy, riuscita a sfuggire alla clonazione, che lo chiama per nome. Per tutta risposta Matthew le punta l'indice addosso mentre spalanca la bocca emettendo un urlo stridulo. In questo modo Nancy comprende che Matthew è diventato lui stesso un replicante e il film si chiude sul suo grido disperato.. |
7.3. Apocalypse The "apocalyptic" endings, in which all humanity, or in any case a large number of people, succumbs to an exceptional danger or threat, whether due to natural causes (an earthquake, a hurricane, a volcanic eruption ...), human (a nuclear disaster, a terrorist attack, a war ...) or alien (an invasion of extraterrestrial monsters ...) are very common, above all, as is obvious, in particular film genres such as the so-called "catastrophic" cinema, fantasy, horror and science fiction cinema, but also in other films not so directly classifiable. These "unhappy" closed endings represent the maximum extension of the theme of "death" that we have just addressed, but also the opposite of the endings that stage the "near escape", as we saw in the Part 1 of this Dossier, or the triumph of the wide range of "superheroes" who save the planet from all sorts of dangers, and especially from the "villains" who would like to carry out its destruction. The existential anxieties that accompany the journey of humanity, and which in particular historical periods have concentrated on more specific situations or events (such as the nuclear threat during the Cold War and the attack on the Twin Towers in New York in 2001), have often found more or less direct and explicit representations in movies. The different historical and socio-cultural contexts can explain how certain "remakes" of successful films, sometimes have a different ending than the original. This is the case of Invasion of the Body Snatchers, a remake of the film of the same title (directed by Don Siegel, USA 1953, discussed in Part 1). If in the original the protagonist, although terrified shocked, managed to warn the authorities of the invasion of the aliens, thus guaranteeing a kind, albeit spurious, of happy ending, in the new film the alien replicants who, without being noticed, gradually replace humans, seem destined to have the upper hand in the fight that is unleashed in the world, especially if we consider the ending (see the Videos below). As a matter of fact, the last scene sees one of the protagonists, Matthew, walking in a deserted square to meet the other protagonist, Nancy, who has managed to escape clonation, who calls him by his name. In response Matthew points his index finger at her as she opens her mouth in a high-pitched scream. In this way Nancy understands that Matthew has himself become a replicant and the film closes on her desperate cry .. |
Terrore dallo spazio profondo/Invasion of the body snatchers (di/by Philip Kaufman, USA 1978) |
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Se nel cinema classico i finali apocalittici
potevano spesso essere "in positivo", con l'umanità alla fine salvata
dal disastro, nel cinema post-moderno e contemporaneo sono presenti
molti più esempi di finali apocalittici decisamente "in negativo", come
abbiamo appena visto. Per fare un altro esempio, Fuga da Los Angeles
(sequel di 1997: Fuga da New York, dello stesso regista, USA
1981) mette in scena un contesto già di per sè apocalittico: Los
Angeles è diventata un'isola-prigione per i detenuti più pericolosi, e
il reietto Iena (Kurt Russell, già protagonista del film precedente)
deve cercare di recuperare un congegno che puo controllare tutti i
satelliti in orbita attorno al mondo, rendendo inutilizzabili tutti i
dispositivi elettronici del mondo. Il finale (si vedano i Video qui
sotto) ci mostra un salvataggio "in extremis", ma Iena, che rimane solo
sulla scena, si accende una sigaretta nel buio del luogo, poi spegne il
fiammifero. E su uno sfondo completamente nero udiamo la sua voce dire,
ironicamente: "Benvenuti nel regno della razza umana ...". Questo
commento sarcastico e cinico rende il finale più negativo di quanto si
sarebbe potuto immaginare: il "regno della razza umana" infatti si è
dimostrato (come nel film precedente) un mondo orrendo, fatto solo di
violenza, ingiustizia, degrado e minacce di ogni tipo. |
If in classical cinema the apocalyptic endings could often be 'positive', with humanity finally saved from disaster, in post-modern and contemporary cinema there are many more examples of decidedly 'negative' apocalyptic endings, as we have just seen . To give another example, John Carpenter's Escape from L.A. (the "sequel" to 1997: Escape from New York, by the same director, USA 1981) stages an already apocalyptic context: Los Angeles has become a prison island for the most dangerous prisoners, and the outcast Hyena (Kurt Russell, the protagonist of the previous film) must try to recover a device that can control all the satellites in orbit around the world, making all the electronic devices on the planet unusable. The ending (see the Videos below) shows us a "last minute" rescue, but Hyena, who remains alone on the scene, lights a cigarette in the dark, then blows out the match. And against a completely black background we hear his voice say, ironically: "Welcome to the human race ...". This sarcastic and cynical comment makes the ending more negative than one could have imagined: the "kingdom of the human race" has in fact proved to be (as in the previous film) an orrific world, made up only of violence, injustice, degradation and threats. |
Italiano English Fuga da Los Angeles/John Carpenter's Escape from L.A. (di/by John Carpenter, USA 1996) |
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7.4. La fine di un viaggio Da sempre il viaggio è immagine, ma anche metafora, di avventura, di novità, di cambiamento: attraverso lo spostamento nello spazio (ma anche nel tempo) i personaggi vanno incontro a persone, eventi, situazioni che hanno un impatto più o meno diretto su di loro, così che partenza e destinazione, anche se possono coincidere come luoghi fisici, raramente non comportano qualche trasformazione significativa per chi ha intrapreso questo movimento, fisico e/o mentale. Sono numerosi i finali chiusi "infelici" che mettono in scena la fine di un viaggio. Nel cinema italiano, ad esempio, resta celeberrimo il finale di Il sorpasso, storia dell'incontro tra un trentaseienne cialtrone e sbruffone, Bruno (Vittorio Gassman) e un timido studente universitario, Roberto (Jean-Louis Trintignant), che viene coinvolto dal nuovo amico in una serie di incontri, tutti all'insegna della superficialità e della faciloneria di Bruno, in un mondo (quello del boom economico dell'Italia dei primi anni '60) ormai indirizzato verso il consumismo e una messa in crisi dei valori tradizionali. Il "viaggio" dei due uomini si concluderà in modo tragico (si veda il Video qui sotto), e sarà proprio Roberto a morire nell'incidente d'auto. Quando la polizia chiede a Bruno, "Era un suo parente?", lui risponde, "Si chiamava Roberto ... Il cognome non lo so ... L'ho conosciuto ieri mattina", chiudendo così, in modo anonimo, una vicenda che per tutto il film non ha mostrato che un vuoto di fondo, che è individuale quanto collettivo. Anche la fine di Easy Rider è altrettanto drammatica. Due amici, Billy (Dennis Hopper) e Wyatt (Peter Fonda) attraversano con le loro moto "chopper" gli Stati Uniti per raggiungere il carnevale di New Orleans. Il film è diventato, al di là dei suoi effettivi meriti, un cult del cinema indipendente americano, coniugnado il tema classico del "viaggio" come iniziazione e scoperta del mondo (ma anche di sè) con le tematiche e gli stili di vita tipici del periodo: la musica, la ribellione giovanile, la droga, il sesso, inseriti nel costante mito americano del viaggio verso una nuova frontiera. Ma, nel pieno della contestazione giovanile e generale dell'epoca, l'elemento di fondo resta un tragico pessimismo: nel finale (si veda il Video qui sotto) Wyatt e Bill vengono affiancati da un furgone con a bordo due persone simili nell'atteggiamento a quelli che li avevano precedentemente aggrediti; dopo avere provocato Billy, uno dei due, forse inavvertitamente, gli spara; e quando Wyatt riparte per cercare aiuto, il furgone torna indietro; il fucile spunta ancora dall'abitacolo e anche Wyatt viene colpito a morte. La violenza delle vecchie generazioni (si sarebbe detto, allora, la violenza "del sistema") non risparmia questi giovani che nello spazio effimero di un viaggio sperimentano l'impossibilità di sfuggire a quello stesso mondo a cui avevano tentato di esprimere un'alternativa. |
7.4. End of a journey The journey has always been an image, but also a metaphor, of adventure, novelty and change: by moving in space (but also in time) the characters meet people, events, situations that have a more or less direct impact on them, so that departure and destination, even if they may coincide as physical places, rarely do not involve some significant transformation for those who have undertaken this physical and/or mental movement. There are numerous "unhappy" closed endings that stage the end of a journey. In Italian cinema, for example, the finale of The easy life remains very famous: it is the story of the encounter between a thirty-six-year-old scoundrel and braggart, Bruno (Vittorio Gassman) and a shy university student, Roberto (Jean-Louis Trintignant), who is involved with his new friend in a series of meetings, all under the banner of Bruno's superficiality and carelessness, in a world (that of Italy's economic growth in the early 1960s) now directed towards consumerism and a crisis of traditional values. The "journey" of the two men will end tragically (see the Video below), and it will be Roberto himself who dies in the car accident. When the police ask Bruno, "Was he a relative of yours?", he replies, "His name was Roberto ... I don't know his last name ... I met him yesterday morning", thus anonymously closing a story which throughout the film showed only a basic emptiness, which is individual as well as collective. The ending of Easy Rider is equally dramatic. Two friends, Billy (Dennis Hopper) and Wyatt (Peter Fonda) cross the United States on their "chopper" motorcycles to reach the New Orleans carnival. The film has become, beyond its actual merits, a cult of American independent cinema, combining the classic theme of the "journey" as initiation and discovery of the world (but also of oneself) with the themes and lifestyles typical of the period: music, youth rebellion, drugs, sex, inserted in the constant American myth of the journey towards a new frontier. But, in the midst of the youthful "general protest" of the time, the underlying element remains a tragic pessimism: in the ending(see the Video below) Wyatt and Bill are flanked by a van carrying two people with similar attitudes to those who had previously attacked them; after provoking Billy, one of the two, perhaps inadvertently, shoots him; and when Wyatt sets off again to get help, the van turns back; the rifle still protrudes from the van and Wyatt is also fatally shot. The violence of the older generations (one would have said, then, the violence "of the system") does not spare these young people who, in the ephemeral space of a journey, experience the impossibility of escaping that same world to which they had tried to express an alternative. |
Il sorpasso/The easy life (di/by Dino Risi, Italia/Italy 1962) |
Easy rider - Libertà e paura/Easy Rider (di/by Dennis Hopper, USA 1969) |
A metà strada tra il viaggio e il film
"apocalittico", anche Il pianeta delle scimmie (il primo di una
lunga serie di film ispirati al modello originale) giunge ad una
conclusione tanto inaspettata quanto tragica. Dopo un viaggio nel tempo,
l'astronauta George (Charlton Heston) atterra su un pianeta sconosciuto
popolato da sciemmie antropomorfe, intelligenti e dotate di parola, ma
anche da uomini selvaggi, che non sanno parlare e che le scimmie
trattano come animali, utili per i loro esperimenti scientifici.
Sfuggito alle scimmie che vorrebbero castrarlo e lobotomizzarlo, George
riuscirà a fuggire ... ma poco dopo (Attenzione: SPOILER) scoprirà i
ruderi della Statua
della Libertà che affiorano dalla spiaggia e improvvisamente si
renderà conto dell'orribile verità: questo pianeta sconosciuto e ostile
non è altro che la Terra. Evidentemente, nei millenni trascorsi
la razza umana ha distrutto se stessa, forse a causa di una guerra
nucleare, facendo regredire gli umani a bestie e facendo nel contempo
evolvere le scimmie. E il film termina con il disperato grido di George
contro questa umanità scellerata: "Voi uomini l'avete distrutta!
Maledetti, maledetti per l'eternità, tutti!". |
Halfway between the journey and the "apocalyptic" film, Planet of the apes (the first in a long series of films inspired by the original model) also reaches a conclusion as unexpected as it is tragic. After a journey through time, astronaut George (Charlton Heston) lands on an unknown planet populated by anthropomorphic apes, intelligent and endowed with speech, but also by wild men who cannot speak and whom the apes treat as animals, useful for their scientific experiments. Having escaped from the monkeys who would like to castrate and lobotomize him, George will manage to escape ... but shortly after (Warning: SPOILER) he will discover the ruins of the Statue of Liberty that emerge from the beach and will suddenly realize the horrible truth: this unknown and hostile planet is none other than the Earth. Evidently, over the past millennia, the human race has destroyed itself, perhaps due to a nuclear war, making humans regress into beasts and at the same time making apes evolve. And the film ends with George's desperate cry against this wicked humanity: "You men have destroyed it! Cursed, cursed for eternity, all of you!". |
Il pianeta delle scimmie/Planet of the apes (di/by Franklin J. Schaffner, USA 1968) |
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Il viaggio resta dunque un elemento che spesso assume i toni della
metafora, al di là del movimento nello spazio (e nel tempo). Ne è un
esempio Stand by me - Ricordo di un'estate, che, come
suggerisce il
titolo italiano, è il racconto nostalgico di un'avventura adolescenziale di un
gruppetto di ragazzi. Il racconto è un lungo flashback incastonato tra un
prologo e un epilogo. Nel prologo, uno dei ragazzi, Gordie, ora adulto
(Richard Dreyfuss), diventato un famoso scrittore, torna sui luoghi
della sua infanzia e rievoca il viaggio che insieme ad altri tre amici
aveva compiuto nell'ultima estate prima di passare alla scuola
superiore, alla ricerca del cadavere di un ragazzo che ritenevano essere
un loro amico. Tra mille avventure, quel viaggio si era rivelato essere
l'occasione per la loro maturazione personale e il loro passaggio
dall'adolescenza all'età adulta. Alla fine del viaggio, Gordie (Will
Wheaton da ragazzo) e il suo amico più caro Chris (River Phoenix) si
erano salutati (si vedano i Video qui sotto), quasi consapevoli che, con
la fine dell'estate, i loro destini si sarebbero divisi. La voce fuori
campo (di Gordie adulto) ci informa che Chris, divenuto avvocato, e come
sempre impegnato a mediare pacificamente, è recentemente morto,
accoltellato mentre cercava di impedire una lite tra due uomini in un
fast food. Poi (nel Video in italiano) vediamo uno schermo di computer, e
Gordie, che sta scrivendo le parole che abbiamo appena udito. Aggiunge,
"Non ho più avuto amici come quelli che avevo a 12 anni. Gesù, ma chi li
ha?". Poi Gordie spegne il computer ed esce a giocare con il figlio,
chiudendo così con un filo di amarezza, ma soprattutto di nostalgia, il
racconto del viaggio della sua adolescenza e, con esso, il film che l'ha
rievocato. |
The journey therefore remains an element that often takes on the tones of a metaphor, beyond the movement in space (and in time). An example of this is Stand by me, which is the nostalgic story of a teenage adventure of a small group of boys. The story is a long flashback nestled between a prologue and an epilogue. In the prologue, one of the boys, Gordie, now an adult (Richard Dreyfuss) has become a famous writer, returns to the place of his youth and recalls the journey he and three other friends had made in the last summer before moving on to high school, looking for the body of a boy who they thought was their friend. Among a thousand adventures, that trip had proved to be an opportunity for their personal maturation and their transition from adolescence to adulthood. By the end of the trip, Gordie (Will Wheaton as the young boy) and his closest friend Chris (River Phoenix) had said their goodbyes (see the Videos below), almost aware that, with the end of summer, their destinies would be divided. The voice-over (from Gordie as an adult) informs us that Chris, now a lawyer, and as always engaged in peaceful mediation, has recently died, stabbed while trying to prevent an argument between two men in a fast food restaurant. Then (in the Italian Video) we see a computer screen, and Gordie, who is writing the words we have just heard. He adds, "I have never had friends like the ones I had when I was 12. Jesus, who has them?" Then Gordie turns off the computer and goes out to play with his son, thus closing with a thread of bitterness, but above all of nostalgia, the story of the journey of his adolescence and, with it, the film that has evoked it. |
Stand by me - Ricordo di un'estate/Stand by me (di/by Rob Reiner, USA 1986) |
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8. I fnali aperti e "sospesi" 8.1. Suspense degli eventi e incertezze esistenziali I finali "aperti", che non concludono un film con la risoluzione della trama ed il conseguente posizionamento chiaro delle vite dei personaggi, sono ancora una minoranza rispetto ai finali "chiusi" che abbiamo lungamente analizzato nelle sezioni precedenti. Tuttavia, nel cinema (post)moderno e contemporaneo, essi compaiono con una certa frequenza, a riprova, da una parte, che il cinema è in costante evoluzione e sa offrire nuove strutture che in parte rivioluzionano il cinema "classico" (specialmente hollywoodiano), e, dall'altra parte, che gli spettatori di oggi mostrano, non solo di accettare, ma anche di apprezzare, risoluzioni della trama "sospese" e quindi indefinite, cariche di ambiguità, aperte a interpretazioni diverse. Ciò significa anche che questi spettatori possono anche fare a meno di finali, sia "felici" che "infelici", che chiudono la storia e la sua narrazione, apprezzando invece il film nella sua totalità, per tutto quello che ha saputo mostrare e narrare in quello che precede, senza caricare il finale di aspettative di una "chiusura" chiara, lineare, definitiva. Non sono mancati, anche in passato, film dai finali aperti, soprattutto a livello di trama, cioè di eventi volutamente lasciati in sospeso. Fin dai primi decenni della sua esistenza, il cinema ha individuato nei finali aperti la possibilità di tenere anche gli spettatori "sulle spine", in attesa di un successivo film che avrebbe risolto quanto lasciato in sospeso. Negli anni dieci del secolo scorso, ad esempio, fiorirono serie di film che terminavano con l'eroe (più spesso l'eroina) in situazioni di estremo pericolo (ciò che venne definito "cliffhanger", dall'immagine di qualcuno in bilico sull'orlo di un precipizio), che esplicitamente invitava il pubblico a guardare la puntata successiva in cui solitamente si aveva una risoluzione positiva del pericolo (salvo poi terminare, naturalmente, con un ulteriore "cliffhanger"). Finito il breve periodo di questi "film in serie", il finale aperto è rimasto comunque, anche in tempi più recenti, una caratteristica di quei film che si ponevano e si pongono come primo (o come ulteriore) episodio di una "saga", con il protagonista che ritorna(va) a più riprese in film successivi, ognuno autonomo nella sua storia ma "aperto" alla fine ad un probabile (se non certo) sequel: si pensi alle saghe di James Bond, di Indiana Jones, di Star Wars, e, ancora di più, alla serialità televisiva letteralmente esplosa in questi ultimi decenni. Un esempio chiarissimo di "cliffhanger" letterale si ritrova nel finale di Un colpo all'italiana (si veda il Video qui sotto), in cui alcuni malviventi, dopo aver rapinato una banca, fuggono a bordo di un autobus che però sbanda e rimane in equilibrio sull'orlo di un precipizio. All'interno, i protagonisti rischiano, con i loro movimenti, di far cadere l'autobus, finchè uno di loro dice, "Aspetta, ho un'idea" ... ma il film termina così, senza che possiamo sapere che fine farà l'autobus nè quale fosse l'"idea" in questione ... |
8. Open, unresolved endings 8.1. Suspense of the events, existential uncertainties The "open" endings, which do not conclude a film with the resolution of the plot and the consequent clear positioning of the characters' lives, are still a minority compared to the "closed" endings that we have analyzed at length in the previous sections. However, in (post)modern and contemporary cinema, they appear quite frequently, proving, on the one hand, that cinema is in constant evolution and knows how to offer new structures which revolutionize "classical" cinema (especially Hollywood) , and, on the other hand, that today's viewers show, not only to accept, but also to appreciate, "suspended" and therefore indefinite plot resolutions, full of ambiguity, open to different interpretations. This also means that these spectators can also do without endings, both "happy" and "unhappy", which close the story and its narration, and instead appreciate a film in its entirety, for all that has been able to show and narrate in what precedes, without charging the ending with expectations of a clear, linear, definitive "closing". There have been, even in the past, films with open endings, especially in terms of plot, that is, of events deliberately left unfinished. Since the first decades of its existence, cinema has identified in open endings the possibility of keeping viewers "on their toes", waiting for a subsequent film that would resolve what was left unsolved. In the 1910s, for example, film series flourished that ended with the hero (most often a woman) in situations of extreme danger (what was called a "cliffhanger", from the image of someone poised on the edge of a precipice), which explicitly invited the audience to watch the next episode in which there was usually a positive resolution of the danger (except then ending, of course, with a further "cliffhanger"). Once the short period of these "serial films" ended, the open ending has nevertheless remained, even in more recent times, a characteristic of those films which were and still are the first (or further) episode of a "saga", with the protagonist who returns several times in successive films, each one autonomous in its history but "open" at the end to a probable (if not certain) "sequel": think of sagas like James Bond, Indiana Jones, Star Wars, and, even more, of the television seriality that has literally exploded in recent decades. A very clear example of a literal "cliffhanger" can be found in the ending of The Italian job (see the Video below), in which some criminals, after robbeing a bank, flee on board a bus which, however, swerves and remains in balance on the edge of a precipice. Inside, the protagonists risk, with their movements, making the bus fall, until one of them says, "Wait, I have an idea" ... but the film ends like this, without us knowing what will happen to the bus nor what the "idea" in question was ... |
Un colpo all'italiana/The Italian job (di/by Peter Collinson, GB 1969) |
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I finali aperti erano però stati una delle caratteristiche più
ricorrenti delle nuove cinematografie che, partendo dal neorealismo
italiano degli anni '40 e '50, avevano poi trovato tra la fine degli
anni '50 e gli anni '70 espressione nei movimenti come la nouvelle
vague francese, il free cinema inglese, il cinema novo
brasiliano, ed altri, influenzando in maniera decisiva anche la
cosiddetta New Hollywood. Nella maggioranza di queste
cinematografie il finale aperto non era tanto al servizio di una
"suspense degli eventi", cioè di avvenimenti lasciati in sospeso per
creare semplice curiosità, quanto una scelta di contenuto e di stile che
mirava ad esprimere "incertezze esistenziali", ossia la messa in scena
di situazioni, contesti e personaggi problematici, che per loro natura
restavano "aperti", non risolti, sollecitando così negli spettatori non
solo una suspense superficiale ma anche e soprattutto una
riflessione sui problemi aperti che il film aveva sviluppato durante
tutto il suo svolgimento e che non potevano risolversi in un finale
chiuso e definitivo. Ladri di biciclette, ad esempio, mette in scena, nel desolante panorama socio-economico italiano del secondo dopoguerra, la drammatica e amara vicenda umana di un padre cui viene rubata la bicicletta, strumento indispensabile per il suo lavoro, e che tenta a sua volta di rubarne una: bloccato dalla folla, viene poi lasciato libero, il tutto davanti alle lacrime del figlio (si veda il Video qui sotto). Padre e figlio camminano fianco a fianco, in mezzo alla folla accorsa in seguito al tentato furto, e nei loro sguardi spaventati e disperati non possiamo che "tenere aperti" i nostri occhi, e dunque il finale del film, che non può chiudersi con la fine di una storia che è invece una tragedia che continua. Che cosa faranno padre e figlio, se si procureranno una nuova bicicletta, come troveranno il modo di sopravvivere non è dato sapere. La loro storia continua; la sua narrazione finisce invece con il film. Solo tre anni prima Roberto Rossellini aveva girato, con Roma città aperta, il film divenuto simbolo del neorealismo italiano. Mettendo in scena le storie di vari personaggi nella Roma ancora occupata dai nazisti, il film termina (si veda il Video qui sotto) con l'esecuzione del parroco che aveva aiutato i partigiani, sotto gli occhi dei bambini della sua parrocchia: quegli stessi bambini che poi si allontanano, in questo drammatico finale struggente, tornando verso casa, sullo sfondo della città "aperta". Un finale esso stesso "aperto", nonostante l'epilogo tragico, perchè sappiamo che il dramma a cui abbiamo assistito non è finito, ma si prolunga nella visione di questi bambini e di questa panoramica sulla città, in cui il dramma stesso continua ad esistere, nella realtà storica come negli occhi degli spettatori. |
Open endings had however been one of the
most recurring characteristics of the new cinematographies which,
starting from the Italian neorealism of the 40s and 50s, had then found
expression, between the end of the 50s and the 70s, in movements such as
the French nouvelle vague,
the English free cinema, the Brazilian cinema novo,
and others, also decisively influencing the so-called New
Hollywood. In the majority of these cinematographies the open ending
was not so much at the service of a "suspense of events", i.e. events
left hanging to create simple curiosity, but as a choice of content and
style which aimed to express "existential uncertainties", i.e. the
staging of problematic situations, contexts and characters, which by
their nature remained "open", unresolved, thus soliciting in the
audience not only a superficial suspense but also and above all a
reflection on the open problems that the film had developed throughout
its development and which could not be resolved in a closed and
definitive ending. Bicycle thieves, for example, staged, in the desolate Italian socio-economic panorama of the post-war period, the dramatic and bitter story of a father whose bicycle, an indispensable tool for his work, is stolen and who in turn tries to steal one: blocked by the crowd, he is then set free, all in front of his sonin tears (see the Video below). Father and son walk side by side, in the midst of the crowd that has gathered following the attempted theft, and in their frightened and desperate looks we can only "keep our eyes open", as well as the film's ending, which cannot close with the end of a story that is instead a tragedy that continues. What father and son will do, if they get a new bicycle, how they will find a way to survive is not known. Their story continues; its narration ends with the film. Only three years earlier, Roberto Rossellini had shot Rome, open city, the film that has become a symbol of Italian neorealism. By staging the stories of various characters in Rome still occupied by the Nazis, the film ends (see the Video below) with the execution of the parish priest who had helped the partisans, under the eyes of the children of his parish: those same children who then leave, in this dramatic and poignant ending, returning home, against the background of the "open" city. An ending itself "open", despite the tragic epilogue, because we know that the drama we have witnessed is not over, but continues in the vision of these children and in this panoramic shot of the city, in which the drama itself continues to exist, in historical reality as in the eyes of the audience. |
Ladri di biciclette/Bicyle thieves (di/by Vittorio De Sica, Italia/Italy 1948) |
Roma città aperta/Rome, open city (di/by Roberto Rossellini, Italia/Italy 1945) |
Suspense degli eventi e incertezze di tipo psicologico, "esistenziale", non
costituiscono dunque due parametri assoluti e radicalmente alternativi
all'interno della vasta gamma di finali aperti. Nella maggior parte dei
casi, ad una sospensione degli eventi, cioè alla mancata risoluzione
definitiva della trama, si unisce una sensazione di ambiguità e incertezza
che, dall'animo dei protagonisti del film, si comunica agli spettatori.
Questo accade persino nei film del genere "catastrofico", in cui
peraltro gli avvenimenti che si susseguono e che trovano nel finale la
loro conclusione sono di solito ben definiti. In La cosa, ad
esempio, che riecheggia i temi che abbiamo già visto essere al centro di
L'invasione degli ultracorpi, gli uomini di una base americana
di ricerca nell'Antartide vengono "infettati" da una forma aliena che
riproduce e "assimila" alla perfezione il corpo infettato. Dopo che è
fallito il tentativo di far esplodere l'intera base per distruggere
l'aliena creatura, il mostro appare sempre più grande, finchè viene
fatto saltare in aria. Nel finale (si vedano i Video qui sotto), uno dei
superstiti viene raggiunto da un compagno, che ricompare sostenendo di
essersi perso nella tormenta. I due rimangono isolati da tutto, andando
incontro a una probabile morte per assideramento, oltre a nutrire il
reciproco sospetto che l'altro sia stato contagiato. "E adesso cosa
facciamo?", chiede uno dei due, e l'altro risponde, "Niente.
Aspettiamo, e vediamo cosa succede". Questo finale aperto, di un cupo e
totale pessimismo, si nutre non soltanto dell'incerta fine dell'alieno,
ma anche, e soprattutto, della perdita di identità causata proprio dal
contatto con l'altro e del terrore che non ci possa più fidare di
nessuno. |
Suspense of the events and psychological, "existential" uncertainties therefore do not constitute two absolute and radically alternative parameters within the wide range of open endings. In most cases, a suspension of events, i.e. the failed definitive resolution of the plot, is combined with a feeling of ambiguity and uncertainty which is communicated from the characters of the film to the audience. This even happens in films of the "catastrophic" genre, in which, moreover, the events that follow one another and which find their conclusion in the ending are usually well defined. In The Thing, for example, which echoes the themes we have already seen to be at the centre of Invasion of the Body Snatchers, the men of an American research base in Antarctica are "infected" by an alien form that reproduces and "assimilates" the infected body. After the attempt to blow up the entire base to destroy the alien creature fails, the monster appears bigger and bigger, until it is blown up. In the ending (see the Videos below), one of the survivors is joined by a companion, who reappears claiming to have been lost in the blizzard. The two remain isolated from everything, facing a probable death from freezing, as well as nourishing the mutual suspicion that the other has been infected. "What do we do now?" one of them asks, and the other replies, "Nothing. Let's wait and see what happens." This open ending, of a gloomy and total pessimism, feeds not only on the uncertain end of the alien, but also, and above all, on the loss of identity caused precisely by the contact with the other and on the terror that one can no more trust anybody. |
Italiano English La cosa/The thing (di/by John Carpenter, USA 1982) |
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Anche il finale de Gli uccelli è carico di tensione e di
disperazione. In un paesaggio devastato e ormai preda dei pennuti, un
gruppetto di sopravvissuti riesce ad andarsene via in auto, lasciando
dietro di sè un mondo sconvolto dall'apocalisse, ormai preda di queste
forze della natura che incarnano la loro ribellione contro gli umani.
L'ultima inquadratura trasmette un'angoscia quaasi insostenibile, con il
campo quasi interamente occupato da queste migliaia e migliaia di
uccelli, che sembrano ora in attesa di poter sferrare un nuovo, decisivo
attacco. Come in La cosa, non c'è redenzione e speranza, la
trama non si chiude e la narrazione neppure, soffocata dall'orrore doi
quanto abbiamo visto in tutto il film, e che il finale non fa che
sottolineare ancora di più. |
Even the ending of The Birds is full of tension and despair. In a devastated landscape and now prey to birds, a small group of survivors manage to leave by car, leaving behind a world devastated by the apocalypse, now prey to these forces of nature who embody their rebellion against humans. The last shot conveys an almost unbearable anguish, with the field almost entirely occupied by these thousands and thousands of birds, which now seem waiting to launch a new, decisive attack. As in The Thing, there is no redemption and no hope, the plot does not close and neither does the narration, suffocated by the horror of what we have seen throughout the film, and which the ending only underlines even more. |
Gli uccelli/The birds (di/by Alfred Hitchcock, USA 1963) |
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Suspense degli eventi e turbamento
esistenziale sono anche le note caratteristiche del finale di Il
silenzio degli innocenti. Dopo che tutto il film è stato giocato
non solo sul versante horror dell'assassino psicopatico cannibale ma
anche, e più sottilmente, sull'esplorazione del male come costante dei
meandri più profondi della mente umana, nelle ultime sequenze vediamo
l'agente Clarice Starling (Jodie Foster) che viene premiata per aver
condotto il caso affidatole ad una felice conclusione. Subito dopo,
però, la donna riceve una telefonata proprio dallo psicopatico Dottor
Lecter (Anthony Hopkins) che per tutto il film l'aveva aiutata nel suo
lavoro (ma anche tormentata con i suoi ragionamenti). Clarice cerca di
capire da dove chiami il dottore, ma, mentre viene diramato l'allarme,
la scena si sposta in una località esotica, dove Lecter, di spalle, si
allontana tranquillamente tra la folla, riaprendo in tal modo la storia,
e lasciandoci con un sottile senso di minaccia e di turbamento. |
Suspense of the events and existential turmoil are also the characteristic notes of the ending of The Silence of the Lambs. After the whole film has staged not only the horror side of the psychopathic cannibal killer but also, and more subtly, the exploration of evil as a constant in the deepest depths of the human mind, in the last sequences we see agent Clarice Starling (Jodie Foster) who is rewarded for bringing her case to a happy conclusion. Immediately afterwards, however, the woman receives a phone call from the psychopathic Doctor Lecter (Anthony Hopkins) who throughout the film had helped her in her work (but also tormented her with his reasoning). Clarice tries to figure out where the doctor is calling from, but as the alarm goes off, the scene shifts to an exotic location, where Lecter, seen from behind, quietly walks away through the crowd, thus reopening the story, and leaving us with a subtle sense of threat and turmoil. |
Italiano English Il silenzio degli innocenti/The silence of the lambs (di/by Jonathan Demme, USA 1991) |
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Enigmatico, ma non meno disturbante, è il finale di Picnic a Hanging
Rock, centrato sulla misteriosa scomparsa di tre allieve di un
aristocratico collegio australiano ai primi del '900. Partite in gruppo
per un picnic in una zona rocciosa tanto affascinante quanto
inquietante, la loro scomparsa non viene mai spiegata, anche se nel
finale (si veda il Video qui sotto), una voce narrante fuori campo ci
informa che il mese dopo il tragico incidente fu trovato il corpo della
preside del collegio, che, si presume, morì cercando di salire sulle
rocce. E nonostante le continue ricerche negli anni successivi, la
scomparsa delle tre ragazze non fu mai spiegata. La suspense degli
eventi non viene dunque abbandonata, ma ciò che resta nelle menti dgli
spettatori è soprattutto l'atmosfera, tra fantastico, orrifico e
misterioso, che permea questi paesaggi - una natura che abbiamo vissuto
per l'intero film come liberatoria, quasi erotica nella sua
fascinazione, e al contempo così alternativa al chiuso ambiente
perbenista e opprimente del collegio. In questo contesto, gli eventi da
thriller passano quaasi in secondo piano di fronte all'inquietante, e
nello stesso tempo, affascinante, finale aperto e irrisolto. |
Enigmatic, but no less disturbing, is
the ending of Picnic at Hanging
Rock, centred on the mysterious
disappearance of three girls of an aristocratic Australian boarding
school in the early 1900s. They had started out as a group for a picnic
in a rocky area as fascinating as it is disturbing, and their
disappearance is never explained, even if in the ending (see the Video
below), an off-screen narrator informs us that the month after the
tragic accident the body of the boarding school principal was found - it
is presumed that she died while trying to climb the rocks. And despite
continued searches over the next few years, the disappearance of the
three girls was never explained. The suspense of the events is therefore
not abandoned, but what remains in the minds of the audience is above
all the atmosphere, between fantastic, horrific and mysterious, which
permeates these landscapes - a nature that we experienced for the entire
film as liberating, almost erotic in its fascination, and at the same
time an alternative to the closed, respectable and oppressive
environment of the college. In this context, the thriller-like events
fade almost into the background iwhen compared with the disturbing, and
at the same time fascinating, open and unresolved ending. |
Picnic a Hanging Rock/Picnic at Hanging Rock (di/by Peter Weir, Australia 1975) |
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Di tutt'altra natura, ma sempre aperto al futuro e a quello che potrebbe
accadere dopo la fine del film, è il finale di Via col vento
(si vedano i Video qui sotto). Dopo aver seguito i due protagonisti
principali, Rhett (Clark Gable) e Rossella (Vivien Leigh) nel corso
degli anni e del succedersi degli eventi, nell'ultima scena lui è
determinato ad andarsene "per trovare la pace" ed è sordo alle
implorazioni di lei. E' qui che viene pronunciata una delle battute più
celebri e fulminanti della storia del cinema, quando lui, di fronte alle
pressanti richieste di lei ("Se te ne vai, che sarà di me?? Che farò?")
risponde disinvolto e quasi sprezzante, "Francamente, me ne infischio".
Rossella, disperata e annientata dal dolore, cade sfinita, ma sente una
voce fuori campo che le ricorda quasi ossessivamente il senso che la
sua famiglia aveva sempre avuto per la piantagione di cotone Tara: "La
terra è la sola cosa che duri, la sola cosa per cui vale la pena di
lottare ... Tara, Tara, Tara". Rossella allora si rialza, e, con una
nuova determinazione nello sgaurdo, pronuncia un'altra celeberrima
battuta: "A casa, a casa mia. E troverò il modo per riconquistarlo ...
Dopo tutto, domani è un altro giorno". E, sullo sfondo di un tramonto
infuocato vediamo la sagoma nera di Rossella stagliarsi contro il
cielo, mentre l'altrettanto celebre motivo musicale che ci ha
accompagnato per tutto il film chiude trionfante questo melodramma dalle
tinte così forti. Chiusura della narrazione, ma, anche in questo caso,
finale aperto della storia. |
Of a completely different nature, but always open to the future and to what could happen after the end of the film, is the ending of Gone with the Wind (see the Videos below). After following the two main protagonists, Rhett (Clark Gable) and Rossella (Vivien Leigh) through the years and the turn of events, in the last scene he is determined to leave "to find peace" and is deaf to her pleas to stay with her. It is here that one of the most famous and fulminating lines in the history of cinema is uttered, when he, faced with her pressing requests ("If you leave, what will become of me? What will I do?") replies casually and almost contemptuously, "Frankly, my dear, I don't give a damn." Rossella, desperate and destroyed by pain, falls exhausted, but hears a voice-over that almost obsessively reminds her of the sense that her family had always had for the Tara cotton plantation: "The earth is the only thing that lasts, the only thing worth fighting for…Tara, Tara, Tara". Rossella then stands up, and with a new determination in her gaze, she pronounces another famous line: "Home, my home. And I'll find a way to win him back ... After all, tomorrow is another day". And against the backdrop of a fiery sunset we see Rossella's black silhouette against the sky, while the equally famous musical motif that has accompanied us throughout the film triumphantly closes this magnificent melodrama - closing he narration, but, in this case too, leaving the story open. |
Italiano English Via col vento/Gone with the wind (di/by Victor Fleming, USA 1939) |
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Ancora un rapporto sentimentale è al centro di Befoe sunset - Prima del tramonto,
in cui due giovani (Ethan Hawke e Julie Delpy), che si erano incontrati
per caso nove anni prima a Vienna (nel film "prequel"
Prima dell'alba,
dello stesso regista, USA/Austria 1995 ), si ritrovano a Parigi ...
ma le cose sono molto cambiate. Lui ha scritto un libro sul loro primo
incontro, si è sposato e la sera stessa deve ripartire. I fantasmi di
quel loro primo approccio amoroso, da giovani pieni di speranze e di
sguardi verso il futuro, aleggiano ancora tra di loro, in un'atmosfera
sottilmente ambigua, in cui lei, pur nell'imminenza della partenza di
lui, non rinuncia a rilanciare il loro rapporto ... lui appare
seduto rilassato sul divano, mentre lei gli dice, "Tesoro, perderai
l'aereo" ... il dolore della separazione è nell'aria ... che cosa
succederà? Il finale (si veda il Video qui sotto) non ce lo dice, e
l'immagine di lei che accenna a passi danza si dissolvono nei titoli di
coda. (La loro storia d'amore verrà ripresa, e in un certo senso
conclusa, nel terzo film di questa sorta di "miniserie",
Before midnight
(dello stesso regista, USA- Grecia 2013). Un finale forse più "tradizionale", ma intriso comunque di un sapore agrodolce, conclude anche Will Hunting - Genio ribelle, storia di un ragazzo di umili origini, Will Hunting (Matt Damon) che si rivela un genio della matematica, e che viene "adottato" da un professore (Robin Williams) per lanciarlo sulla via della scienza. Il film è un altro racconto di formazione e di maturazione, che non rinuncia ad una vena romantica e sentimentale. Will, infatti, dopo aver accettato un'allettante proposta lavorativa, decide all'ultimo momento di lasciar perdere tutto e di partire per la California per raggiungere una ragazza. Il finale (si veda il Video qui sotto) ci mostra la mattina della partenza, in scene che si alternano, con Will che lascia un biglietto al professore e l'amico del cuore (Ben Affleck) che, passando da casa di Will come ogni giorno, non lo trova ... Poi vediamo l'auto di Will, che si allontana lungo la strada che lo porterà lontano ... e su questa immagine cominciano a scorrere i titoli di coda. Un finale, come si diceva, piuttosto tradizionale, con la strada a perdita d'occhio verso l'infinito - un'immagine-simbolo di tante storie prettamene "americane"; e un finale tutto sommato agro-dolce, perchè Will, in questa sua ribellione ad una vita forse conformista, abbandona le persone a lui fino quel momento più care, allontanandosi anche da noi senza che possiamo sapere cosa gli riserverà il futuro. |
Another sentimental relationship is at
the heart of Before Sunset,
in which two young people (Ethan Hawke and Julie Delpy), who had met by
chance nine years earlier in Vienna (in the "prequel"
Before sunrise,
by the same director, USA/Austria 1995), find themselves in Paris ...
but things have changed a lot. He has written a book about their first
meeting, has got married and has to leave again that same evening. The
ghosts of their first amorous approach, as young people full of hope and
glances towards the future, still hover among them, in a subtly
ambiguous atmosphere, in which she, despite his imminent departure, does
not give up relaunching their relationship ... he appears sitting
relaxed on the sofa, as she tells him, "Honey, you're going to miss your
plane" ... the pain of separation is in the air ... what next? The
ending (see the Video below) doesn't tell us, and the image of her
hinting at dance steps fades into the end credits. (Their love story
will be resumed, and in a certain way concluded, in the third film of
this sort of "miniseries",
Before midnight
(by the same director, USA/Greece 2013). A perhaps more "traditional" ending, but still imbued with a bittersweet taste, also concludes Good Will Hunting, the story of a boy of humble origins, Will Hunting (Matt Damon) who turns out to be a mathematical genius, and who is "adopted" by a professor (Robin Williams) to launch him into th world of science. The film is another coming-of-age story, which also includes a romantic and sentimental vein. As a matter of fact, after accepting an attractive job offer, Will decides at the last moment to drop everything and leave for California to meet a girl. The ending (see the Video below) shows us the morning of departure, in alternating scenes, with Will leaving a note for the professor and his best friend (Ben Affleck) who, passing by Will's house like every day, doesn't find him... Then we see Will's car, which moves away along the road that will take him away ... and the end credits begin to roll on this image. A rather traditional ending, as we said, with the road as far as the eye can see towards infinity - an image-symbol of many traditional "American" stories; and all in all a bittersweet ending, because Will, in his rebellion against a perhaps conformist life, abandons the people closest to him up to that moment, even moving away from us without us being able to know what the future holds for him. |
Before sunset - Prima del tramonto/Before sunset (di/by Richard Linklater, USA 2004) |
Will Hunting, genio ribelle/Good Will Hunting (di/by Gus Van Sant, USA 1997) |
8.2. Realtà, illusione, fantasia? Gia nella Prima parte di questo Dossier (più precisamente nella sezione 6.5.1.) avevamo analizzato dei finali "chiusi" tramite cui scoprivamo che tutto quanto narrato dal film era solo un sogno (ricordiamo, solo per citare un grande classico, Il mago di Oz): in questi casi il sogno era riconosciuto come tale, e il film si concludeva in genere con il risveglio, il ritorno alla realtà e dunque la risoluzione della trama. Ma un procedimento simile è all'opera anche in tanti finali "aperti", dunque "sospesi", in cui rimaniamo con l'impossibilità di distinguere la realtà dalla fantasia o dall'illusione: il film ci lascia sospesi nel dubbio che quanto abbiamo visto sia stato il prodotto dell'immaginazione del protagonista, e che la realtà di fatto rimanga inconoscibile. Molti film recenti insistono su questa impossibilità di dare forma e volto al reale, in tal modo sottolineando ancora di più il carattere del film come possibile contenitore di prodotti dell'inconscio o di una mente distorta. Un esempio particolarmente intrigante è Donnie Darko. L'adolescente Donnie (Jake Gyllenhaal) soffre di allucinazioni e sonnambulismo. Una notte, mentre dorme all'aperto, incontra una figura in un mostruoso costume da coniglio (che Donnie chiama Frank) che gli dice che il mondo finirà tra 28 giorni, 6 ore, 42 minuti e 12 secondi. Donnie si sveglia la mattina dopo su un campo da golf locale e torna a casa per scoprire che il motore di un aereo si è schiantato nella sua camera da letto. Donnie sviluppa una relazione con una ragazza, Gretchen, che viene investita da un'auto guidata da un ragazzo (il cui vero nome è Frank), che indossa lo stesso costume da coniglio delle visioni di Donnie. Donnie gli spara e, mentre torna a casa portando il corpo di Gretchen, è testimone di un incidente aereo. Ora gli eventi dei 28 giorni precedenti si riavvolgono. Donnie si sveglia nella sua camera da letto e ride quando il motore cade e lo schiaccia. Nel finale (si veda il Video qui sotto), vediamo la salma di Donnie portata via dalla casa. Poi Gretchen, che in questa linea temporale non aveva mai incontrato Donnie, la mattina dopo va in bici vicino alla casa di Donnie e viene a sapere della sua morte, ma dice di non averlo mai incontrato ... Questo finale, che abilmente mescola realtà e allucinazione, rimane comunque ambiguo e ha contribuito a fare del film un oggetto di culto e di continue interpretazioni sul suo significato. |
8.2. Reality, illusion, fantasy? In the Part 1 of this Dossier (more precisely in section 6.5.1.) we had already analyzed some "closed" endings through which we discovered that everything narrated by the film was just a dream (remember, just to mention a great classic, The Wizard of Oz): in these cases the dream was recognized as such, and the film generally ended with the awakening, the return to reality and therefore the resolution of the plot. But a similar process is also at work in many "open" endings, in which we are left with the impossibility of distinguishing reality from fantasy or illusion: the film leaves us suspended in the doubt that what we have seen was the product of the protagonist's imagination, and that reality in fact remains unknowable. Many recent films insist on this impossibility of giving shape and face to reality, thus underlining even more the character of film as a possible container of products of the unconscious or of a distorted mind. A particularly intriguing example is Donnie Darko. Teenager Donnie (Jake Gyllenhaal) suffers from hallucinations and sleepwalking. One night, as he sleepwalks outdoors, he meets a figure in a monstrous rabbit costume (who Donnie comes to refer to as Frank) who tells him that the world will end in 28 days, 6 hours, 42 minutes and 12 seconds. Donnie wakes up the next morning on a local golf course and returns home to discover a jet engine has crashed into his bedroom. Donnie develops a relationship with a girl, Gretchen, who is run over by a car driven by a boy (whose real name is Frank), who is wearing the same rabbit costume from Donnie's visions. Donnie shoots him and, as he walks home carrying Gretchen's body, he witnesses a plane accident. Now events of the previous 28 days rewind. Donnie wakes up in his bedroom and laughs as the jet engine falls and crushes him. In the ending (see the Video below) we see Donnie's body being taken away by an ambulancce. Gretchen, who in this timeline had never met Donnie, bikes by the Darko home the next morning and learns of his death - but she says she has never met him ... This ending, which skilfully mixes reality and hallucination, remains ambiguous and has contributed to making the film an object of worship and constant interpretations of its meaning. |
Italiano English Donnie Darko Il film completo in italiano è disponibile qui. |
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Un "sogno ad occhi aperti" caratterizza anche il finale di La 25a
ora, che racconta l'ultimo giorno che un ragazzo, Monty (Edward
Norton) trascorre prima di dover partire per scontare una condanna di
sette anni per spaccio di droga. Nel drammatico e dolente finale (si
veda il Video qui sotto), mentre Monty è in attesa dell'autobus che lo
porterà alla prigione, una voce fuori campo descrive quale potrebbe
essere il futuro di Monty: un lavoro, il reinserimento sociale sulla
base della fiducia in se stessi e nel futuro, e magari un rinnovato
rapporto con la sua ragazza, Naturelle (Rosario Dawson). Arriva
l'autobus, si ferma, e quando riparte vediamo Monty e Naturelle
ricongiurgersi ... le immagini successive ci mostrano la coppia felice,
lei è incinta, e poi, con un salto di tanti anni, i due circondati dai
loro figli e dai nipoti, mentre la voce fuori campo torna a parlarci di
questo possibile futuro. Ma le ultime immagini ci riportano alla realtà:
Monty è sull'autobus, e il film si conclude con una veduta panoramica
dell'autostrada che lo sta portando verso la prigione ... |
A "daydream" also characterizes the ending of The 25th Hour, which tells of the last day that a boy, Monty (Edward Norton) spends before having to leave to serve a seven-year sentence for drug dealing. In the dramatic and painful ending (see the Video below), while Monty is waiting for the bus that will take him to prison, a voice-over describes what Monty's future could be: a job, social reintegration on the basis of confidence in himself and in the future, and perhaps a renewed relationship with his girlfriend, Naturelle (Rosario Dawson). The bus arrives, stops, and when it leaves again we see Monty and Naturelle reunited ... the following images show us the happy couple, she is pregnant, and then, with a leap of many years, the two surrounded by their children and grandchildren, while the voiceover returns to tell us about this possible future. But the last images bring us back to reality: Monty is on the bus, and the film ends with a panoramic view of the highway that is taking him to prison ... |
La 25a ora/The 25th hour (di/by Spike Lee, USA 2002) |
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Un film che sembra "fluire" in modo molto classico ma che alla fine
lascia perplessi è American
psycho,
dove Patrick (Christian Bale), un uomo d'affari giovane, bello e ricco,
si diverte a uccidere le persone intorno a lui - tuttavia, questa non è
la solita storia di un "serial killer". Ci sono alcuni dettagli sottili
ma intriganti sia sul suo comportamento che sulle reazioni delle persone
intorno a lui. È una persona così "carismatica" e influente che nessuno
sembra accorgersi di alcunché di strano in lui, nonostante lasci ampie
prove dei suoi crimini, dica bugie e, tutto sommato, si comporti spesso
in modi strani. Alla fine del film (si vedano i Video qui sotto), si avvicina a un suo amico, un
avvocato, e confessa tutto, nella speranza di essere aiutato a uscire
dalla sua situazione e persino di essere punito - solo per scoprire che
il suo amico non crede a una parola di quello che lui dice. Così
nell'ultima inquadratura Patrick è lasciato solo: parla a se stesso con
la voce fuori campo e fissa la telecamera (e noi), lasciandoci il dubbio
se tutto ciò che abbiamo visto sia un prodotto della sua situazione
mentale (anche se non ci sono indizi di possibili allucinazioni durante
il film). |
A film which seems to "flow" in a very classical way but leaves you
"puzzled" at the end is American
psycho,
in which Patrick, the protagonist (a young, handsome, rich businessman),
gets a kick out of killing people around him - however, this is not the
usual "serial killer" story. There are some subtle but intriguing
details about both his behaviour and the reactions of the people around
him. He's such a "charismatic" and influential person that nobody seems
to notice anything strange about him, despite the fact that he leaves
ample evidence of his crimes, tells lies and, all in all, often behaves
in weird ways. At the end of the movie (see the Videos below), he approaches a friend of his, a
lawyer, and confesses everything, in the hope of being helped out of his
plight and even be punished - only to find out that his friend doesn't
believe a word of what he says. So in the last shot Patrick is left to
himself, talking to himself in voice-over and staring into the camera
(and at us) and leaving us wondering whether all we have seen is a
product of his mental condition (although there are no hints of possible
hallucinations throughout the movie). |
Italiano English American psycho (di/by Mary Harron, USA/Canada 2000) - Il film completo in inglese è disponibile qui/The full film is available here) |
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Tuttavia, altri film possono mettere a dura prova la capacità degli
spettatori di seguire gli eventi così come vengono presentati nel film.
Uno di questi casi è Memento,
che è incentrato sul tempo e sui suoi effetti sulla memoria, nonché su
come i sentimenti possono influire sui ricordi, rivelando quanto fragile
possa diventare il nostro senso di identità. La trama ruota attorno a un
detective delle assicurazioni, Leonard (Guy Pearce), che è deciso a scoprire chi ha
violentato e ucciso sua moglie, oltre a provocargli un trauma che lo ha
lasciato in una grave condizione di perdita di memoria. La sua memoria a
breve termine dura solo pochi minuti e cerca disperatamente di trovare
dei modi per conservare le tracce, non solo di ciò che è accaduto, ma
anche dei suoi pensieri e sentimenti vissuti solo pochi istanti prima. A
tal fine utilizza tatuaggi e scritte sulla sua pelle, foto Polaroid con
commenti (che cambia spesso) e altri segnali, nella speranza di fissare la realtà oltre che di
stabilire la propria identità. La storia è raccontata in ordine cronologico inverso, ma è anche resa molto più complessa dal fatto che le immagini a colori si alternano a immagini in bianco e nero. Anche quando in seguito scopriremo che le scene in bianco e nero sono disposte nell'ordine temporale corretto mentre le scene a colori sono mostrate in ordine inverso, il compito per gli spettatori si rivela presto molto difficile se non impossibile - attraverso questa continua interruzione di scene, siamo costretti a soffrire della stessa situazione che affligge Leonard: la nostra memoria non può tenere insieme così tante informazioni e dar loro un senso. E il finale (si vedano i Video qui sotto) lo conferma: vediamo Leonard in auto, mentre guarda un laboratorio di tattoo, che corrisponde ad un foglietto con delle informazioni, e lui che si dice: "Allora, a che punto ero?", rimettendo in discussione tutto quanto abbiamo finora visto. |
Plots like these
are relatively easy to follow, as we very soon understand that the story
is being told in reverse chronological order. However, other movies can
put a big strain on the viewers' ability to follow the events as they
are presented in the movie. One such cases is Memento (watch
the trailer below right), which is centred on time and its effects on
memory, as well as on how feelings can impact on recollections,
revealing how fragile our own sense of identity can become. The plot
revolves around an insurance detective, Leonard, who is resolved to find
out who raped and murdered his wife, besides causing a trauma who has
left him in a serious condition of memory loss. His short-term memory
lasts for only a few minutes, and he desperately tries to find ways to
keep traces, not just of what happened, but also of his thoughts and
feelings as experienced only moments before. To this end, he uses
tattoos and writings on his skin, Polaroid photos with comments (which
he often changes) and other signals (but not, curiously enough,
technological media) in the hope to fix reality as well as establish his
own identity. The story is told in reverse chronological order, but is also made much more complex by the fact that images in colour alternate with images in black and white. Even when we later find out that black and white scenes are arranged in the correct temporal order while the colour scenes are shown in reverse order, the task for viewers soon proves to be very difficult if not impossible - through this continuous interruption of scenes, we are made to suffer from the same plight which plagues Leonard: our memory just cannot hold together so many pieces of information and make sense of them. And the ending (see the Videos below) confirms it: we see Leonard in his car, while he looks at a tattoo studio, which corresponds to a leaflet with some information, and he says to himself: "So, where was I?" , calling into question everything we have seen so far. |
Memento (di/by Christopher Nolan, USA 2000) - Il film completo è disponibile qui/The full film is available here. |
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Inception è incentrato su Dom (Leonardo
Di Caprio) che possiede un dispositivo speciale che consente a lui e alla
sua squadra di entrare nei sogni delle persone e di rubare segreti o
impiantare idee nelle loro menti. Dom e la sua squadra pianificano un sistema di sogni
molto complesso, in cui, aiutati da droghe speciali, entrano a vicenda
nel subconscio l'uno dell'altro. Tuttavia, Dom dovrà affrontare
l'apparizione di sua moglie (Marion Cotillard), morta pochi anni prima,
così come i suoi frequenti incontri con i suoi due bambini piccoli, da
cui desidera disperatamente tornare, ma di cui non è in grado di vedere
i volti. Dom aveva manomesso i sogni di sua moglie in passato, il che
aveva portato alla morte di sua moglie (o alla scomparsa nel livello più
profondo del sogno?). È oppresso da un travolgente senso di colpa, e
solo alla fine (si vedano i Video qui sotto), dopo averla lasciata nel
profondo del suo subconscio, potrà incontrare i suoi figli e vedere i
loro volti, in quello che sembra essere il mondo reale. |
Inception centers on Dom (Leonardo Di Caprio) who possesses a special device that allows him and his team to enter people's dreams and steal secrets or implant ideas in their minds. Dom and his team plan a very complex dream system, in which, aided by special drugs, they enter each other's subconscious. However, Dom will have to deal with the apparition of his wife (Marion Cotillard), who died a few years earlier, as well as his frequent encounters with his two small children, to whom he desperately wants to return, but whose lives he is unable to see. faces. Dom had tampered with his wife's dreams in the past, which resulted in his wife's death (or her disappearance into the deepest dream level?). He is oppressed by an overwhelming sense of guilt, and only at the end (see the Videos below), after having left her deep in his subconscious, will he be able to meet her children and see their faces, in what appears to be the real world. |
Inception (di/by Christopher Nolan, USA/GB 2010) |
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8.3. I finali sospesi "fermo immagine" e "fuori campo" Abbiamo già avuto modo di incontrare finali che si concludono con un "fermo immagine", ossia con l'immagine sullo schermo "congelata " (e il termine inglese è in effetti "freeze frame"), che tronca, per così dire, ogni sviluppo della storia ma anche impedisce di vedere cosa effettivamente succede ai personaggi al termine delle loro vicende: in Thelma & Louise, come in Butch Cassidy (si veda la sezione 7.1.2. nella Prima parte), non ci è permesso di vedere la tragica fine dei nostri "eroi", così che, da una parte, non abbiamo a soffrire l'immagine della loro morte, e dall'altra, i personaggi stessi vengono come "fissati" nella nostra mente con tutte le caratteristiche che ce li hanno fatti amare per tutto il film, al punto che l'immagine finale, senza rovinarne la statura eroica, contribuisce anzi quasi a mitizzarli. Uno dei più celebri finali ad utilizzare il freeze frame si trova in I quattrocento colpi (si veda il Video qui sotto), dove, dopo aver assistito per tutto il film alle vicissitudini del giovane Antoine (Jean-Pierre Léaud), lo vediamo alla fine fuggire dal riformatorio dove è stato rinchiuso, e cominciare a correre, correre, correrre ... attraveso i campi fino a raggiungere il mare (che sappiamo non ha mai visto). E, sulla battigia, dopo aver fatto qualche passo, Antoine si volta verso la macchina da presa, che si avvicina a lui e lo fissa per sempre in un primo piano "congelato": nel suo sguardo possiamo naturalmente proiettare tutte le sensazioni che abbiamo provato nei suoi confonti durate tutto il film, ma ciò che forse più colpisce in questo "fermo immagine" è il significato simbolico: Antoine, alla fine, non ha raggiunto la libertà, la sua corsa non lo ha portato ad una vera meta, e tutte le incognite sul suo futuro rimangono dolorosamente per lui (nel suo sguardo) e per noi (spettatori) aperte. Un altro esempio di finale "congelato" si trova in Pollice da scasso (si veda il Video qui sotto), in cui il protagonista (Peter Falk), membro di una banda che ha realizzato una grossa rapina, viene condotto, in mezzo ad un folla enorme, verso la prigione, allontanandosi dunque da noi, ma, improvvisamente (precisamente al minuto 1:40:14), si ferma, gira la testa verso la macchina da presa in un "fermo immagine" che però, in questo caso, non ha tanto la funzione di mitizzarne la figura, quanto di preparare la visione di quanto segue, segnalandoci di fatto che non è finita qui, che abbiamo ancora qualcosa da vedere e da sapere. Infatti, subito dopo, compare una scritta esplicativa: "Dopo essere stati in rigione per quattordici anni, gli uomini che rapinarono la Brinks furono rilasciati con la condizionale e ritornarono alla loro tranquilla vita a Boston". E ancora, vediamo una pioggia di banconote fare da sfondo alla scritta successiva: "A tutt'oggi, e nonostante i continui sforzi dell'F.B.I., meno dei 50.000 dollari del denaro rubato è stato recuperato". Partono poi i titoli di coda, in sovrimpressione sopra alcune immagini del film che sta per terminare. Dunque in questo caso il "fermo immagine" non conclude propriamente il film, ma è seguito da una specie di epilogo esplicativo. |
8.3. Unresolved endings: "freeze frames" and "off screen" We have already had the opportunity to meet endings that end with a "freeze frame", i.e. with the image on the screen "frozen", which truncates, so to speak, any development of the story, also preventing us from seeing what actually happens to the characters at the end of their adventures: in Thelma & Louise, as in Butch Cassidy (see section 7.1.2. in Part 1), we are not allowed to see the tragic end of our "heroes", so that, on the one hand, we do not have to suffer the image of their death, and on the other, the characters themselves are "fixed" in our mind with all the characteristics that made us love them throughout film, to the point that the final image, without ruining their heroic stature, actually contributes almost to mythologizing them. One of the most famous endings to use the "freeze frame" is found in The 400 Blows (see the Video below), where, after witnessing the vicissitudes of the young Antoine (Jean-Pierre Léaud) throughout the film, we see him at the end escape from the reformatory where he was confined, and start running, running, running ... through the fields until he reaches the sea (which we know he has never seen). And, on the beach, after taking a few steps, Antoine turns towards the camera, which approaches him and fixes him forever in a "frozen" close-up: in his gaze we can naturally project all the sensations we have experienced towards him throughout the film, but what is perhaps most striking in this "still image" is the symbolic meaning: Antoine, in the end, did not reach freedom, his journey did not lead him to a real goal, and all the unresolved facts about his future remain painfully (for him, in his gaze) and for us (as the audience) open. Another example of a "frozen" ending can be found in The Brinks job (see the Video below), in which the protagonist (Peter Falk), a member of a gang who has carried out a big robbery, is led through a huge crowd, towards the prison, thus moving away from us, but suddenly (precisely at 1:40:14) he stops, turns his heads towards the camera in a "freeze frame" which, however, in this case, does not have the function of mythologizing his figure, but rather of preparing the vision of what follows: this is actually a signal that the film is not yet over, that we still have something to see and know. As a matter of fact, immediately after, an explanatory note appears: "After being in prison for fourteen years, the men who robbed the Brinks were released on parole and returned to their quiet life in Boston". And again, we see a shower of banknotes as a background for the next note: "To this day, and despite the continued efforts of the F.B.I., less than the $50,000 of the stolen money has been recovered". Then the end credits start, superimposed on some images of the film that is about to end. So in this case the "freeze frame" does not properly conclude the film, but is followed by a kind of explanatory epilogue. |
I quattrocento colpi/Les 400 coups/The 400 blows (di/by François Truffaut, Francia/France 1959) |
Pollice da scasso/The Brinks job (di/by William Friedkin, USA 1978) Film completo/Full film |
Un altro modo insolito di terminare una storia è di confinare l'ultima
sequenza, quella che potrebbe rivelarci il finale tanto atteso, "fuori
campo", ossia fuori dal "campo" rappresentato da ciò che viene ripreso
dalla macchina da presa e visibile dunque a noi spettatori. Un esempio
magistrale di questa strategia lo troviamo in Rosemary's baby -
Nastro rosso a New York (si vedano i Video qui sotto), in cui, dopo
una serie di drammatici eventi che ci hanno portato a credere che
Rosemary (Mia Farrow), incinta, sia stata vittima di una macchinazione
infernale da parte dei suoi vicini di casa, la donna ritrova questi stessi vicini in una grande stanza dove è stata posta la culla col neonato. Sappiamo
che non si tratta di un bambino normale, ma dell'incarnazione stessa del
diavolo ... ma Rosemary, dopo aver dato in escandescenze, si avvicina
lentamente alla culla, e la macchina da presa si sofferma sul suo primo
piano che guarda il suo bimbo con un'espressione ora dolce e rilassata.
Che cosa sta vedendo, di fatto, Rosemary? Non lo sapremo mai, perchè
una dissolvenza incrociata ci mostra invece, con una veduta dall'alto,
il quartiere dove ha avuto luogo la storia. Ci è negata la visione della
realtà. Possiamo solo immaginarla o interpretarla secondo le nostre
ipotesi, compresa quella della madre che comunque guarda con affetto la
sua creatura, qualunque forma o aspetto abbia. Il finale "fuori campo"
costituisce dunque un potente mezzo per sottolineare proprio ciò che ci
è negato alla vista, e lasciare lo spettatore in un stato, come in
questo caso, di incertezza e turbamento, obbligandolo, tra l'altro, a
riconsiderare e rivalutare le scene precedenti di tutto il film. |
Another unusual way to finish a story is to confine the last sequence, the one that could reveal the long-awaited ending, "off-screen", i.e. outside the "screen" represented by what is filmed by the camera and therefore visible to us as spectators. A masterful example of this strategy can be found in Rosemary's baby (see the Videos below), in which, after a series of dramatic events that lead us to believe that Rosemary (Mia Farrow), pregnant, has been the victim of an infernal machination by her neighbours, she finds these same neighbors in a large room where the cradle with the newborn has been placed. We know that this is not a normal child, but the very incarnation of the devil ... but Rosemary, after having gone into a rage, slowly approaches the crib, and the camera lingers on the close-up of her looking at her baby, now with a sweet and relaxed expression. What is Rosemary actually seeing? We will never know, because a crossfade shows us instead, with a view from above, the neighborhood where the story has taken place. We are denied the vision of reality. We can only imagine it or interpret it according to our hypotheses, including that of the mother who, in any case, looks affectionately at her creature, whatever form or appearance it has. The "off-screen" ending therefore constitutes a powerful means of underlining precisely what is denied from our sight, and leaving the spectator in a state, as in this case, of uncertainty and turmoil, forcing him, among other things, to reconsider and reevaluate earlier scenes of the film. |
Italiano English Rosemary's baby - Nastro rosso a New York/Rosemary's baby (di/by Roman Polanski, USA 1968) |
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Un altro finale "fuori campo", che ancora una volta sottolinea il tema
dell'ambiguità da parte di un regista, Roman Polanski, da sempre
interessato a mettere in scena il contrasto tra vero e falso, bene e
male, si ritrova in L'uomo nell'ombra (si veda il Video qui
sotto). Un professionista senza nome (Ewan McGregor) viene chiamato ad
aiutare il primo ministro inglese (Pierce Brosnan) a redigere le sue
memorie, e si ritrova in tal modo incastrato in un groviglio di misteri,
trame e oscuri legami. Quando alla fine, dopo che il ministro viene
ucciso, decide di regalare il manoscritto definitivo alla moglie del
ministro stesso, Ruth (Olivia Williams), scopre, isolando le prime parole degli
inizi di ogni capitolo, che la donna era stata reclutata come agente
della CIA. Trascritta la frase in un biglietto, riesce a farlo avere a
Ruth, prima di uscire dalla sala dove si tiene il ricevimento per la
presentazione della biografia, portando con sé il manoscritto; la donna
ne viene visibilmente turbata, mentre lo scrittore esce per chiamare
un taxi. Mentre si appresta ad attraversare la strada, viene investito
dalla stessa auto che in un'altra occasione lo aveva inseguito. I fogli
del manoscritto volano via, disperdendosi nel vento. Ancora una volta,
dunque, Polanski lascia il finale "fuori campo", disperdendo
letteralmente nel vento la risoluzione della storia a cui abbiamo
assistito. |
Another "off-screen" ending, which once again underlines the theme of ambiguity on the part of a director, Roman Polanski, who has always been interested in staging the contrast between true and false, good and evil, can be found in The ghost writer (see the Video below). An unnamed professional (Ewan McGregor) is called upon to help the British Prime Minister (Pierce Brosnan) draft his memoirs, and thus finds himself entangled in a web of mysteries, plots and dark ties. When in the end, after the minister is killed, he decides to give the definitive manuscript to the minister's wife, Ruth (Olivia Williams), he discovers, isolating the first words of the beginning of each chapter, that the woman had been recruited as an agent of the CIA . Having transcribed the phrase into a note, he manages to get it to Ruth, before leaving the hall where the reception for the presentation of her biography is held, taking the manuscript with him; the woman is visibly upset, while the writer goes out to call a taxi. As he is about to cross the road, he is hit by the same car that had chased him on another occasion. The sheets of the manuscript fly away, scattering in the wind. Once again, therefore, Polanski leaves the final "off screen", literally making the resolution of the story impossible to decipher. |
L'uomo nell'ombra/The ghost writer (di/by Roman Polanski, GB-Francia/France-Germania/Germany 2010) |
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9. I finali "ciclici" Livelli multipli temporali e di soggettività costituiscono la struttura di Se mi lasci ti cancello, in cui la storia d'amore tra Joel (Jim Carrey) e Clementine (Kate Winslet) si interrompe quando lui un giorno copre che lei non ha nessun ricordo della loro relazione e non lo riconosce nemmeno. Joel, sconvolto e angosciato, entra in contatto con una strana società, che provvede alla cancellazione totale di ricordi tristi o inquietanti dalla mente delle persone, e decide di sottoporsi al trattamento che cancellerà Clementine dalla sua mente. Tuttavia, ad un certo punto Joel decide di interrompere la procedura e cerca disperatamente di svegliarsi. Vediamo dunque Joel che si sveglia e fa le stesse cose che ha fatto all'inizio del film, cioè saltare il lavoro, andare al mare, incontrare Clementine e iniziare una relazione con lei. Un giorno i due ricevono una cassetta con le prove della loro partecipazione alla procedura di "cancellazione", ma non riescono a capirla e nel finale (si vedano i Video qui sotto), dopo un confronto sincero, si rendono conto che possono sviluppare la loro storia d'amore correndo i rischi che ogni relazione necessariamente implica - un'accettazione più consapevole della loro fragilità umana, che significa anche una seconda possibilità e un nuovo inizio. |
9. Cyclical endings Multiple layers of time and subjectivity constitute the structure of Eternal sunshine of the spotless mind (watch the trailer below right), where the love story between Joel (Jim Carrey) and Clementine (Kate Winslet) comes to an end when one day he discovers that she has no memory of their love story and doesn't even recognize him. Joel, shocked and distressed, gets in touch with a strange company that provides complete erasure of sad or disturbing memories from people's minds, and decides to undergo the procedure that will erase Clementine from his mind. However, at one point he decides he wants to stop the procedure and hopelessy tries to wake up. We thus see Joel waking up and doing the same things he did at the beginning of the movie, i.e. skipping work, going to the seaside, meeting Clementine and starting a relationship with her. One day they receive a cassette with evidence of their participation in the "erasure" procedure, but they can't make sense of it and in the ending (see the Videos below), after a sincere confrontation, realize that they can develop their love story by taking the risks that any relationship necessarily implies - a more conscious acceptance of their human frailty, which also means a second chance and a new start. |
Italiano English Se mi lasci ti cancello/Eternal sunshine of the spotless mind (di/by Michel Gondy, USA2004) |
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Questo senso della ciclicità degli eventi
compare in forme diverse attraverso una gamma di generi cinematografici.
E' rimasta famoso, ad esempio, il finale di Shining (si veda il
Video qui sotto), in cui il protagonista, Jack (Jack Nicholson), dopo
una serie di drammatici eventi in un albergo di montagna, muore
assiderato, in un'inquietante immagine che lo ritrae con gli occhi
sbarrati. Sappiamo che la moglie e il figlio si sono salvati dalla sua
follia omicida, e questa storia orrorifica sembrerebbe destinata ad una
epilogo almeno parzialmente positivo. Invece subito dopo la macchina da
presa ci mostra una foto d'epoca scattata durante una festa di gala
dell'albergo, e uno zoom su questa foto, accompagnato da un motivo
musicale degli anni 1920, ci mostra il volto sorridente di Jack, in
abito da sera, con la didascalia "Overlook Hotel, Ballo del 4 luglio
1921": questa foto lascia lo spettatore con l'inquietante dubbio che
Jack sia già vissuto in un'epoca precedente, riaprendo di fatto, con
questo finale "ciclico", tutti i dubbi e gli orrori che il film ci ha
mostrato. Passando a tutt'altro genere, un finale ciclico caratterizza anche Il re leone, brillante e popolarissima avventura targata Disney. All'inizio, assistiamo alla presentazione trionfale a tutti gli animali della foresta del piccolo Simba, figlio del re leone Mufasa. Il piccolo "erede", però dovrà attraversare diverse avventure e superare numerosi pericoli prima di poter effettivamente occupare il posto che si merita. Alla fine, però, ormai adulto, potrà tornare ad essere il re della foresta e il finale (si veda il Video qui sotto) ci mostra una nuova gloriosa e trionfante presentazione: quella del figlio di Simba, destinato un giorno ad essere il nuovo "re leone". Mai come in qesto caso il "ciclo della vita" è stato così chiaramente illustrato, con le immagini finali del film che rispecchiano quelle iniziali. |
This sense of cyclical events appears in
different forms across a range of film genres. For example, in the
famous ending of The Shining
(see the Video below) the protagonist, Jack (Jack Nicholson), after a
series of dramatic events in a mountain hotel, freezes to death in a
disturbing image that portrays him with eyes wide open. We know that his
wife and son were saved from his homicidal spree, and this horror story
would seem destined for an at least partially positive epilogue.
Instead, immediately afterwards, the camera shows us a vintage photo
taken during a gala party in the hotel, and a zoom on this photo,
accompanied by a musical motif from the 1920s, shows us the smiling face
of Jack, in a evening, with the caption "Overlook Hotel, Ball of July 4,
1921": this photo leaves the viewer with the disturbing doubt that Jack
has already lived in a previous era, thus reopening, with this
"cyclical" ending, all the doubts and horrors that the film has shown
us. Moving on to a completely different genre, a cyclical ending also characterizes The Lion King, a brilliant and very popular Disney adventure. At the beginning, we witness the triumphal introduction to all the animals of the forest of little Simba, son of the lion king Mufasa. The little "heir", however, will have to go through several adventures and escape numerous dangers before he can actually occupy the place he deserves. In the end, however, now an adult, he will be able to be the king of the forest again and the ending (see the Video below) shows us a new glorious and triumphant presentation: that of Simba's son, destined one day to be the new " Lion King". Never before has the "cycle of life" been so clearly illustrated as in this case, with the final images of the film mirroring the initial ones. |
Shining/The shining (di/by Stanley Kubrick, USA 1980) |
Il re leone/The lion king (di/by Rogers Allers e/and Rob Minkoff, USA 1994) |
La ciclicità del male è illustrata da molti
film horror, tra cui uno dei primi e più conosciuti, il capostipite
della saga di Halloween. L'antefatto inziale, centrato sulla
follia omicida di un bambino, Michael, che uccide a coltellate la
sorella, è seguito da una serie di riapparizioni di Michael, che,
adulto, fugge dal manicomio in cui era stato rinchiuso e commette una
strage di innocenti vittime la sera deglla vigilia di Ognissanti. Si
instaura così un ciclo ripetitivo di stragi assassine che, come un
rituale sacrificale, vengono messe in scena in un momento preciso
dell'anno. Per meglio sottolineare questa "iniziazione" ad un rito
periodico, nel finale del film originale (si vedano i Video qui sotto),
il dottor Loomis (Donald Pleasence) riesce alla fine a colpire a morte
Michael, che cada da un balcone in un giardino. Proprio in questo
momento si dà inizio alla ripetizione ciclica: Loomis si affaccia al
balcone e guarda (insieme a noi spettatori) verso il basso: ma il corpo
di Michael è misteriosamente scomparso. Questo finale agghiacciante
lascia il pubblico con una sensazione di angoscia: dopo l'apparente e
sospirata fine del "cattivo", i giochi si riaprono, come in una spirale
senza fine. La scomparsa del corpo di Michael è, ovviamente, anche
funzionale ad un possibile seguito - ed in effetti il primo, originale
Halloween è stato solo il primo capitolo di una saga sviluppata
nei decenni successivi, ma che trova la sua origine nel carattere
"ciclico" del finale del primo film. |
The cyclical nature of evil is
illustrated by many horror films, including one of the first and best
known, the forerunner of the
Halloween saga. The initial episode, centred on the homicidal frenzy
of a child, Michael, who stabs his sister to death, is followed by a
series of reappearances of Michael, who, as an adult, escapes from the
asylum in which he was confined and commits a massacre of innocent
victims on All Saints' Eve. Thus a repetitive cycle of murderous
massacres is established , which, like a sacrificial ritual, are staged
at a precise moment of the year. To better underline this "initiation"
into a periodic rite, in the ending of the original film (see the Videos
below), Dr. Loomis (Donald Pleasence) finally manages to kill Michael,
who falls from a balcony into a garden . Precisely at this moment the
cyclic repetition begins: Loomis goes to the balcony and looks downwards
(as we do): but Michael's body has mysteriously disappeared. This
chilling ending leaves the audience with a feeling of anguish: after the
apparent and longed-for end of the "villain", the games reopen, as in an
endless spiral. The disappearance of Michael's body is, of course, also
functional to a possible sequel - as mattr of fact the first, original
Halloween was only the first
chapter of a saga developed in the following decades, but which finds
its origin in the "cyclical" character of the ending of the first film. |
Italiano English Halloween - La notte delle streghe/Halloween (di/by John Carpenter, USA 1978) |
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Lo stesso regista (John Carpenter) realizza,
pochi anni dopo Halloween, un'altra vicenda orrorifica "ciclica",
Christine - La macchina infernale, storia di un'auto che,
acquistata e rimessa a nuovo da un giovane arrogante e prepotente, si
trasforma in uno spietato serial killer. Quando, alla fine, il
suo "padrone", che nel frattempo è caduto in preda alla follia, trova la
morte in un incidente d'auto, nel finale (si vedano i Video qui sotto)
gli altri protagonisti assistono con sollievo alla distruzione dell'auto
assassina, che viene ridotta ad un cubo metallico. Poi essi escono di
scena, ma la macchina da presa si avvicina lentamente al cubo,
lo inquadra in primo piano, ed è allora che notiamo che un pezzo
dell'auto si sta ancora muovendo ... Credevamo di aver raggiunto la fine
della storia, con la definitiva punizione del "cattivo", ma,
ironicamente, tutto sembra riaprirsi: la macchina non è morta, ma non ci
è dato sapere che cosa succederà dopo e se il ciclo infernale è
destinato a ripetersi ... |
The same director (John Carpenter) directed, a few years after Halloween, another "cyclical" horror story, Christine, the story of a car which, bought and refurbished by an arrogant and overbearing young man, turns into a ruthless serial killer. When, in the end, his "master", who in the meantime has fallen prey to madness, dies in a car accident, in theending (see the Videos below) the other protagonists witness with relief the destruction of the killer car, which is reduced to a metal cube. Then they leave the scene, but the camera slowly approaches the cube, frames it in close-up, and that's when we notice that a piece of the car is still moving ... We thought we had reached the end of the story, with the definitive punishment of the "bad guy", but, ironically, everything seems to reopen: the machine is not dead, but we don't know what will happen next and if the infernal cycle is destined to repeat itself ... |
Italiano English Christine - La macchina infernale/Christine (di/by John Carpenter, USA 1983) |
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10. I finali "metacinematografici" Nei film "meta-cinematografici" è il film a proporsi come elemento centrale della storia: il film, cioè, svela il suo meccanismo, rompe la "quarta parete" che tradizionalmente è riservata alla macchina da presa (e dunque agli spettatori) e ci fa entrare, "da protagonisti" all'interno del film stesso. Nei finali di questi film spesso assistiamo ad una vera e propria apertura del set cinematografico: gli attori e le attrici che hanno interpretato i personaggi ora compaiono come le persone vere che sono, e dunque si rompe l'incanto dello spettacolo: l'illusione si scioglie nella realtà, e quello che ora ci viene mostrato non è più il prodotto finale di un lavoro a cui come spettatori siamo fisicamente estranei, ma il processo stesso di creazione di quel prodotto. Film dunque di rottura, di crisi, in cui è il cinema stesso ad essere messo in discussione. Ad esempio, 8 1/2 non a caso è incentrato sulla crisi professionale ed esistenziale del suo protagonista, un regista: una crisi di ispirazione che non è solo una questione privata ma diventa la crisi stessa della natura del cinema, del fare film, delle funzioni a cui il cinema può assolvere e della relazione tra regista, film e pubblico. Dunque un cinema più che riflessivo, che non usa la riflessione critica e consapevole come strumento immediato quanto piuttosto l'immaginazione creativa che fonde in un tutt'uno pensieri e sentimenti. E alla fine cosa resta? Lo straordinario finale (si veda il Video qui sotto) si svolge sul set del film, ma non per realizzare riprese quanto per "mettere in mostra" tutta la "macchina" del cinema, dalle impalcature agli interpreti, che sfilano tutti, insieme al regista, al suono di una marcetta da circo (la famosissima composizione del Maestro Nino Rota). Un finale in un certo senso simile caratterizza anche Zatoichi (si veda il Video qui sotto), in cui tutti i personaggi del film (anche quelli che interpretavano personaggi morti) si riuniscono in un debordante ballo in costume, si inchinano agli spettatori salutandoli come da un paloscenico. Quello che è il finale classico di uno spettacolo teatrale viene qui ripreso, come per sottolineare che quanto abbiamo visto è stata tutta una "messa in scena", che ora viene svelata - e con questo finale è il film stesso che si mette in mostra e in discussione, dissolvendo completamente il senso di illusione che il cinema tradizionalmente crea per i suoi spettatori. |
10. "Meta" endings In "meta-cinematographic" films it is the film that presents itself as the central element of the story: that is, the film reveals its mechanism, breaks the "fourth wall" which is traditionally reserved to the camera (and therefore to the audience) and lets us enter, "as protagonists" within the film itself. In the endings of these films we often witness a real opening of the film set: the actors and actresses who have played the characters now appear as the real people they are, and therefore the spell of the show is broken: the illusion melts into reality, and what we are now shown is no longer the final product of a work to which as viewers we are physically alien, but the very process of creating that product. Such films have therefore a disruptive nature and question the nature and function of cinema itself. For example, 8 1/2 is, not by chance, focussed on the professional and existential crisis of its protagonist, a director: a crisis of inspiration which is not only a private matter but becomes the very crisis of the nature of cinema, of making films, of the functions which cinema can serve and of the relationship between director, film and audience. Therefore a more than reflective cinema, which does not use critical and conscious reflection as an immediate tool but rather the creative imagination that blends thoughts and feelings together. And what's left in the end? The extraordinary ending (see the Video below) takes place on the set of the film, but not to shoot but rather to "show off" the whole "machine" of cinema, from the scaffolding to the performers, who all walk past, together with the director, to the sound of a circus march (the very famous composition by Maestro Nino Rota). A somewhat similar ending also characterizes Zatoichi (see the Video below), in which all the characters in the film (even those who played dead characters) gather in an overflowing costume ball, bowing to the spectators, greeting them as if on a stage. The classic ending of a theatrical show is staged here, as if to underline that what we have seen was all a "staging", which is now being revealed - and with this ending it is the film itself that shows off and calls itself into question, completely dissolving the sense of illusion that cinema traditionally creates for its viewers. |
8 1/2 (di/by Federico Fellini, Italia 1963) |
Zatoichi (di/by Takeshi Kitano, Giappone/Japan 2003) |
Con l'affermazione delle "nuove cinematografie",
la crisi del cinema "classico" e l'affermarsi di quella che è stata
chiamata la "New Hollywood", tra gli anni '60 e gli anni '70, sono
comparsi film che riflettevano sulle differenze tra il
cinema americano e quello europeo, spesso andando anche più a fondo nel
chiedersi che funzioni avesse il cinema e come potesse "rifondarsi". Tra
i registi in cui è più chiaramente visibile questa tendenza, il tedesco
Wim Wenders, trasferitosi (senza grandi soddisfazioni) per qualche anno
negli Stati Uniti, ha saputo cogliere nei suoi film il malessere di un
cineasta smarrito e a disagio nel suo ruolo e nei suoi rapporti con il
cinema americano. Il suo film Lo stato delle cose ne è un esempio
molto chiaro: le riprese di un film di fantascienza si interrompono
quando finisce la pellicola e con essa i soldi; il regista tedesco di questo film (un alter ego di
Wenders) si reca a Los Angeles per incontrare il produttore, ma solo per
scoprire che costui è ricercato dalla polizia e dalla mafia per
riciclaggio di denaro: non è che la punta dell'iceberg di un sistema
produttivo che naturalmente pone il profitto al di sopra di ogni altra
considerazione. E, tra immagini che fanno presagire, oltre che l'amore
per il cinema, anche la sua crisi, se non la sua morte, nel tragico
finale (si veda il Video qui sotto) il regista
finirà per essere ucciso, insieme al produttore: punterà la
sua cinepresa contro i killer, come se se fosse una pistola, in un
ultima celebrazione del valore e della funzione del cinema, e la sua
cinepresa continuerà a riprendere la scena anche dopo che il suo
"operatore" è scomparso ... |
With the success of the "new cinematographies", the crisis of
"classical cinema" and the appearance of what was later called the
"New Hollywood", between the 60s and the 70s, there appeared films that
reflected on the differences between American and European cinema, often
going even deeper, into wondering what functions cinema had and how it
could "re-found itself". Among the directors in whose work this trend is
most clearly visible, the German Wim Wenders, who moved (without great
satisfaction) to the United States for a few years, was able to capture
in his films the malaise of a filmmaker lost and uncomfortable in his
role and in his relationships with American cinema. His film
The state of things
is a very clear example of this: the shooting of a sci-fi movie
is interrupted when the production runs out of money. The German director of this film (an
alter ego of
Wenders) travels to Los Angeles to meet the producer, only to discover
that he is wanted by the police and the mafia for money laundering: this
is just the tip of the iceberg of a production system that naturally
places profit above all other considerations. And, among images that
foreshadow not only the love for cinema, but also its crisis, if not its
death, the director will end up being killed, together with the producer
(see the Video below): he will point his camera at the killers, as if it were a gun,
in an ultimate celebration of the value and function of cinema, and his
camera will continue to film the scene even after its "operator" has
died ... |
Lo stato delle cose/Der Stand der Dinge/The state of things (di/by Wim Wenders, Repubblica Federale Tedesca/German Federal Republic-Portogallo/Portugal 1982) |
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N.B. Sul "metacinema" si vedano i Dossier: - Il "meta-cinema": quando il cinema riflette su se stesso - Le sequenze di apertura "meta-cinematografiche": quando un film riflette su se stesso |
N.B. On "metacinema" see also the Dossiers: -"Meta-cinema": when movies reflect on themselves - "Meta" opening sequences: self-reflecting films |
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Per
saperne di più ... * Dopotutto doami è un altro giorno. I finali dei film - I dialoghi di Mattador - Atti del Convegno 2018 a cura di Fabrizio Borin * Le soglie del film. Inizio e fine nel cinema di Micaela Veronesi |
Want to know more? * Does the Hollywood happy ending exist? by James MacDowell * From Sweet to Bitter: of Happy Endings in Contemporary Film by Armelle Parey * Happily ever after, Part 2 by David Bordwell * Not such a happy ending: The ideology of the open ending by Eran Preis * How are film endings shaped by their socio-historical context? Part 1 - Part 2 by Catalin Brilla * Why Endings Matter: The Importance of Sticking the Landing - TZF Blog - by Chris |
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