Dossier - Dossiers |
La scuola al cinema:
didattica e relazioni educative (Prima parte) |
School at the movies: teaching and educational relationships (Part 1) |
Note: - E' disponibile una versione pdf di questo Dossier. - Il simbolo indica che il video è disponibile soltanto direttamente su YouTube. 1. Introduzione: alcune scelte di fondo Affronteremo il tema di come il cinema rifletta la vita di una scuola o di una classe con un'importante premessa: siamo convinti che una scuola che oggi voglia svolgere in modo efficiente il suo ruolo educativo debba basarsi su una concezione dell'apprendimento non come trasmissione unilaterale di contenuti da un insegnante onnisciente a studenti che passivamente recepiscono i suoi "saperi", ma come costruzione condivisa di conoscenze e competenze, in cui insegnante e studenti collaborano, ciascuno per la parte ed il ruolo che a loro competono, al fine fondamentale di sviluppare l'autonomia di chi impara, a scuola e per tutta la vita. La prima importante conseguenza di questa premesa è la necessità di un clima di classe, in cui i rapporti interpersonali, tra insegnante e studenti e tra studenti stessi, siano positivi e produttivi. La relazione educativa che si instaura tra insegnante e classe non è finalizzata solo ad un generico "star bene" da parte di tutti, ma anche all'efficacia delle strategie che l'insegnante mette in atto per promuovere, attraverso l'apprendimento disciplinare, interdisciplinare e trasversale, la crescita in autonomia degli studenti. Spesso didattica e relazione educativa vengono considerati come fattori importanti ma scissi - la riprova è che la formazione degli insegnanti avviene quasi sempre su due assi che raramente convergono: da un lato, la didattica (affidata agli specialisti disciplinari) e dall'altro, la relazione educativa (affidata ai pedagogisti). In tal modo si perde di vista la stretta interdipendenza dei due processi: una didattica efficace presuppone relazioni interpersonali positive, ma le relazioni educative non sono fini a se stesse, ma nel contesto istituzionale della scuola sono finalizzate (anche e soprattutto) all'apprendimento, tramite la mediazione delle strategie didattiche dell'insegnante. Certo, sono stati (e sono) possibili modelli anche molto diversi da quello che abbiamo appena delineato: ad esempio, una didattica puramente trasmissiva (del tipo spiegazione dell'insegnante + interrogazione degli studenti) può in teoria prestare poca attenzione alle relazioni interpersonali. Naturalmente, i due tipi di modelli, che possiamo etichettare un po' sbrigativamente come "trasmissivo" vs "costruttivista", non sono che i due poli estremi di un continuum, tra i quali esistono moltissime posizioni intermedie. Nell'ottica che abbiamo scelto, possiamo riassumere molto sinteticamente (facendo riferimento a Mariani 2010: 191-194) le condizioni per un clima di classe positivo e produttivo facendo riferimento a: - corresponsabilità e coinvolgimento: una leadership democratica e autorevole da parte dell'insegnante (dunque nè autoritaria nè permissiva) assicura l'equilibrio tra due bisogni cruciali degli studenti: controllo e struttura, da una parte, autonomia personale dall'altra; - consapevolezza: l'ambiente di apprendimento si giova della presa di coscienza da parte di tutti del significato di ciò che si sta facendo; - condivisione: delle regole di comportamento, dei principi di relazione interpersonale, delle procedure specifiche legate alle attività; - monitoraggio e co-valutazione: sapersi autoregolare implica la trasparenza sia sui processi messi in atto che sui risultati ottenuti, con criteri di valutazione chiari e condivisi; - cooperazione: il lavoro cooperativo tra studenti crea obiettivi di gruppo espliciti, promuove l'interdipendenza, aumenta la coesione e la solidarietà; - comunicazione: è il principio più generale, sotteso a tutti i precedenti. Una comunicazione autentica si basa sull'ascolto attivo ed empatico, sull'espressione e sull'accettazione delle emozioni positive e negative, sulla coerenza tra parole e comportamenti, sul rispetto sincero per le persone (insegnanti e studenti) in quanto individui unici e irripetibili. Un clima di classe basato su una gamma di fattori così ricca ed impegnativa non si improvvisa, ma è il frutto di un lavoro paziente e quotidiano, in cui insegnante e studenti lavorano, pur nei limiti personali e del contesto, per costruire assieme percorsi di apprendimento. Vedremo dall'analisi di sequenze di film che a volte anche uno solo dei fattori elencati può fare la differenza, nel senso che diventa il catalizzatore di cambiamenti e di maturazione personale e collettiva. 2. La scuola vista dal cinema Innumerevoli sono i film che, in più di un secolo di vita del cinema, hanno avuto come contesto la scuola. Molto spesso, la scuola rappresenta soltanto una delle dimensioni spazio-temporali in cui si svolge la storia narrata dal film, in cui capita che i protagonisti siano insegnanti e/o studenti (come anche dirigenti o altro personale scolastico o genitori ...), le cui azioni avvengono magari soprattutto fuori dalla scuola. I film sull'infanzia e sull'adolescenza, ad esempio, di solito (ma non sempre) comprendono almeno qualche sequenza ambientata a scuola (in fondo, bambini e adolescenti vi trascorrono molto tempo) - ma l'ambiente scolastico costituisce soltanto uno degli sfondi delle vicende narrate, e spesso non il più importante ai fini dello sviluppo della trama (si vedano in proposito, ad esempio, Tomasi e Quaglia 2003, Cortellazzo e Quaglia 2007, Frasca 2010). Ai nostri fini ci interessano invece quei film, o, più spesso, quelle sequenze di film, ambientate in classe, in cui è possibile vedere all'opera quei fattori del clima di classe che sono l'oggetto del nostro Dossier, o, in altre parole, in cui è possibile mettere a fuoco il rapporto tra didattica e relazioni educative. Così facendo, ovviamente, il numero di film rilevanti per i nostri scopi si riduce drasticamente, anche se, come vedremo, a volte anche solo una breve sequenza, se analizzata con cura, diventa illuminante. A tale scopo metteremo a fuoco con cura il comportamento verbale e non-verbale degli insegnanti. 3. Prologo: Amarcord (di Federico Fellini, Italia-Francia 1973) Partiamo con una nota leggera e divertente: la scuola degli anni '30 del secolo scorso, rievocata con ironia e una vena di malinconia da Fellini. L'intento del regista non è certamente critico ma di affettuoso umorismo; eppure, questa scuola apparentemente così lontana nel tempo, popolata da insegnanti (e studenti) resi in modo caricaturale e grottesco, come ricordi affettuosamente deformati dal tempo, è in grado di fornirci una visione reale (pur nella sua totale ricostruzione filmica) di un sistema e di un mondo. E' la scuola tradizionale, autoritaria, trasmissiva che per tanto tempo ancora si sarebbe perpetuata in Italia (e con echi che risuonano nel presente ...): insegnanti centrati su se stessi e sulla "spiegazione" (e perfino sulla declamazione!) della propria disciplina e sulla sua pura e meccanica trasmissione, insensibili e incuranti delle reazioni (buffe, ma quanto rivelatrici!) dei propri studenti, spesso impegnati a fare tutt'altro (a dormire, a fare scherzi, a burlarsi dei professori dietro e persino davanti a loro). E un rapporto pedagogico inesistente: due mondi, chi "insegna" e chi "dovrebbe imparare", che appena si sfiorano a fatica. 4. I 400 colpi (di François Truffaut, Francia 1959) Anche questa sequenza ci porta in un ambiente scolastico molto vicino a quello di Amarcord, pur nella diversità dei tempi e dei luoghi (siano qui nella Francia degli anni '50), e nella diversità di trattamento filmico (niente ironia o caricatura qui, ma crudo realismo). Siamo subito introdotti nel momento della valutazione: il professore decide, quasi sadicamente, di riconsegnare i temi corretti dei ragazzi partendo dal voto più basso. E' uno zero, il voto meritato da Antoine, che, spiega il professore, ha plagiato nientemeno che Balzac! Nell'assoluto silenzio dell'aula, con gli studenti a braccia conserte sui banchi, Antoine nega di aver copiato (anche se noi sappiamo che sta mentendo: Antoine ha già cominciato a sviluppare delle strategie di difesa). Il professore lo apostrofa come "ignobile plagiario" e lo spedisce dall'autorità superiore (il direttore). Mentre Antoine, accompagnato da un compagno, esce dall'aula, il suo compagno di banco tenta di difenderlo di fronte al professore, che non tollera interventi e minaccia l'espulsione. Ma il ragazzo si ribella ("mica mi dispiacerebbe [essere espulso] e "non è legale!") e il professore, bollandolo di "pezzo di villano", passa alle maniere forti, spingendolo violentemente fuori dall'aula e ricordando a tutti "ti insegno io chi fa la legge qua!", per poi gettare fuori dalla porta anche i fogli del tema. Autoritarismo del professore e sudditanza (ma anche ribellione) degli studenti. 5. Angeli ribelli (di Aisling Walsch, Irlanda-Gran Bretagna-Danimarca-Spagna 2003) Il film è ambientato nel 1939 in un riformatorio cattolico irlandese (un tipo di istituzione fortemente repressiva, soppressa solo negli anni '80): qui arriva, reduce dalla guerra civile spagnola, il democratico Professor Franklin, salutato come "il primo insegnante laico che abbiamo qui ... e Dio sa quanto c'è bisogno di cambiare". In realtà il Professor Frankin si troverà in una specie di carcere, dove dominano crudeltà sadica, ipocrisia, pedofilia, e dove ogni minimo accenno di cambiamento o di deviazione dalle rigide norme viene pesantemente punito. Il suo primo giorno di lezione, il Professor Franklin si ritrova in classe il "prefetto" che, tra sarcasmo e diffidenza, gli consiglia: "Quando se le troverà di fronte ... non commetta l'errore di confondere queste creature con esseri umani intelligenti ... la sola cosa che sono in grado di capire è la forza, quindi se con loro non la userà, la mangeranno vivo", al che il professore risponde, "La ringrazio del consiglio, ma credo che riuscirò a cavarmela". Quindi, entrati i ragazzi, si presenta, dicendo, "Questo è il mio primo giorno al St. Jude - e non voglio che sia anche l'ultimo, quindi se avete intenzione di crearmi problemi, vi suggerisco di dirlo subito". Poi: "Sono buono e caro, ma ciò non vi consente di farvi illusioni ... Ho occhi anche dietro la testa", strappando un foglio dalle mani di uno studente, e provocando le risa degli altri. Sin dalla prime battute, si capisce che Franklin desidera instaurare, innanzitutto, un rapporto aperto, di rispetto reciproco e di chiarezza delle rispettive posizioni: "Qualche domanda?" Uno studente alza la mano, presentandosi come "458 Peters" - in questo ambiente, i ragazzi vengono identificati con un numero e non con il loro nome - ma Franklin gli risponde: "In piedi, Signor Peters". Lo studente gli chiede che cosa ci fa uno come lui in un posto così, e Franklin ribatte: "Lei che cosa pensa?" e un altro studente, ridacchiando, suggerisce che forse non ha trovato un altro lavoro. "Ci sono domande più serie? " Uno studente, in tono serio e determinato, gli rinfaccia subito che non ha ancora risposto alla prima. "Sono qui per insegnare, un lavoro in cui credo". Questo primo scambio di battute indica che gli studenti si sono immediatamente resi conto di poter fare domande e pretendere risposte - una prima, elementare forma di partecipazione democratica. Franklin procede poi a mettere in chiaro alcune regole fondamentali, cominciando col chiamarsi per nome (e non per numero). "Il mio unico interesse è che dentro quest'aula voi studiate e impariate". Poi: "Potete farmi qualsiasi domanda e io cercherò di rispondere. Se non sarò in grado, ve lo dirò". L'impatto di queste "regole condivise" tra insegnante e studenti costituisce una specie di "patto" su cui basare l'interazione in classe. Franklin chiede quindi ad un ragazzo di leggere da un libro, e di fronte all'ilarità generale, scopre che non sa leggere. Si chiede come ciò sia possibile, e lo stesso ragazzo serio di prima gli risponde in tono quasi di rimprovero: "Perchè nessuno glielo ha insegnato. Ecco perché". Poi, sollecitato dal professore, dice di saper leggere e anche scrivere - e allora Franklin gli dice: "Mi piacerebbe che lo insegnasse a Peters", e il ragazzo: "Perchè dovrei?" "Giusta osservazione. Ora si sieda e ci rifletta su" ... Chi degli altri sa leggere e scrivere? Alzate la mano, non c'è da vergognarsi". In pochi scambi di battute, Franklin ha già chiarito il suo atteggiamento: di fronte alla domanda "Perchè dovrei?", che denota subito la mancanza di senso di collaborazione, e, di conseguenza, l'individualismo imperante nella scuola, Franklin non si sorprende, ma accetta e rilancia la sfida: "Ci rifletta su ...". Franklin, insomma, non pretende ciò che sa essere impossibile, ma parte dalla situazione iniziale dei ragazzi e su questa comincia a costruire il suo insegnamento. Le sequenze successive ci mostrano, da un lato, la rigida impostazione della scuola, e dall'altro, Franklin che riparte da zero, dal "saper leggere e scrivere", affidando anche a chi già lo sa fare il compito di collaborare con lui, ed assistendo anche i singoli studenti nelle loro difficoltà. Tuttavia, quando due studenti si mettono a litigare, non ha esitazioni ad inviare il colpevole dal (sadico) prefetto. Come aveva detto all'inizio, gli studenti non devono farsi illusioni: le regole vanno rispettate - per rispetto del "patto" stipulato e condiviso. Quando lo studente torna con un'evidente ferita in volto, frutto della punizione del prefetto, Franklin ha il primo di una lunga serie di serrati e violenti confronti col prefetto sui metodi educativi utilizzati. Le ultime scene del video mostrano il professore e i suoi studenti, la sera di Natale, divertirsi serenamente: il rapporto di rispetto e fiducia reciproci si è ormai instaurato. Il film riserverà ancora momenti di grande tensione all'interno del riformatorio, ma alla fine il Professor Franklin, tentato di lasciare la scuola, deciderà di rimanervi e di continuare la sua battaglia. 6. La classe (di Laurent Cantet, Francia 2008) Un salto di parecchi decenni, e siamo nel nuovo millennio, nella quarta classe di una scuola media di una banlieue parigina (in Francia il collège o scuola media dura quattro anni), con un alto tasso di immigrati e di disagio e degrado sociale. Il Professor Bégaudeau (nel ruolo di se stesso, autore anche del libro da cui è stato tratto il film) affronta di petto una realtà di classe plurietnica, dove si mischiano non solo lingue e culture diverse, ma anche disuguaglianze sociali ed economiche che spesso si aggravano piuttosto che risolversi. La lingua usata in classe è il sintomo più evidente di questa difficile, se non impossibile, integrazione. (Il titolo originale del film, Entre les murs, denota una scuola "fatta di muri" che segrega e divide più che integrare e unire.) Il professore è ben consapevole di questa situazione e di fronte ad una classe turbolenta, in cui provocazioni anche violente, indifferenza, disinteresse, demotivazione sono il pane quotidiano, si lancia nella sfida immane di insegnare la lingua come primo passo verso una formazione culturale; e lo fa con una passione e, a volte, con un'improvvisazione che, se da un lato sembrano tradire la mancanza di una metodologia chiara e ben posseduta, dall'altro tentano di "agganciare" una platea a dir poco maldisposta. Lo troviamo mentre cerca disperatamente di insegnare il "congiuntivo" - quasi un simbolo di una lingua estranea e ostica per i suoi studenti. Parte comunque non con una spiegazione teorica e con "regole grammaticali" ma dall'esperienza degli studenti: chiede esempi dell'"imperfetto congiuntivo" e ne ottiene una serie confusa e scorretta. Con una forte dose di umorismo e ironia, a cui la classe sembra reagire apprezzando questa informalità, si trova subito davanti ad una domanda-chiave: "Ma a che serve il congiuntivo?". Parte allora con una frase di esempio, che scrive alla lavagna, facendo identificare il congiuntivo - dunque con una procedura "induttiva" e che stimola le (poche) precedenti esperienze linguistiche degli studenti. Prosegue in questo modo, non stigmatizzando le risposte sbagliate ma accettando man mano le intuizioni degli studenti. Segue una disordinata reazione della classe, con qualcuno che si chiede come possa usare questa lingua così difficile in casa, con la madre, e dunque quale ne sia l'utilità. "Posso rispondere alla domanda che mi è stata fatta, sempre che la cosa vi interessi?" E una studentessa: "Io la autorizzo" ... Il professore, in tono assertivo ma non autoritario, fa presente, "Cominciate col saperlo, l'imperfetto congiuntivo, e poi potrete mettere in discussione il suo utilizzo". Ma le convinzioni degli studenti esplodono: "E' roba da medioevo ... Quand'è stato che ha sentito parlare qualcuno così?" Quando il professore risponde che usa l'imperfetto con i suoi amici, gli studenti gli replicano che così è troppo facile ... Giunge il momento di richiamare la classe ad un (minimo) ordine: "Ehi, ehi, ehi, allora posso rispondere? Voglio discuterne, ma con calma". Poi si contraddice e in parte si "rimangia" quanto ha appena detto: "Praticamente non parla più nessuno così, ve lo concedo ... più che altro è gente snob ...", ottenendo come reazione la domanda "Che cosa vuol dire "snob"?". Questo esempio di interazione, in cui il professore vuole insegnare qualcosa di cui in fondo sembra non essere nemmeno troppo convinto, si svolge comunque in un ambiente rilassato (forse fin troppo!), in cui le strategie didattiche dell'insegnante sono messe a dura prova, ma, se hanno o avranno un minimo successo, si fondano sul rispetto reciproco, sull'accettazione delle differenze, sul partire "da dove i ragazzi stanno", e di lì tentare di smuovere i loro atteggiamenti e le loro convinzioni. Il film non vuole in realtà dare risposte definitive, ma documenta in modo onesto e sincero come le strategie didattiche, in particolare in situazioni complesse come quella che mostra, non hanno nessuna possibilità di produrre risultati se non, forse, all'interno di una relazione educativa che ponga le basi di un dialogo cooperativo tra insegnante e studenti. 7. Essere e avere (di Nicolas Philibert, Francia 2002) Siamo sempre in Francia, ma stavolta in un paesino di montagna: una piccola scuola formata da un'unica pluriclasse di tredici bambini dai 3 agli 11 anni ed un solo maestro. Il regista ha filmato 60 ore di lezione, nell'arco di sei mesi e di tre stagioni, con i veri protagonisti, ricreando, attraverso un approccio documentaristico, un microcosmo infantile, con un tono che non vuole essere nè pedagogico nè ideologicamente connotato, ma in cui la passione per l'apprendimento e la comunicazione si fondono in modo mirabile con tutte le emozioni della vita vera in una classe vera, dalla dolcezza alla fermezza, dalla gioia al dolore. In una pluriclasse è inevitabile il lavoro di gruppo, per poter riunire gli alunni a seconda del loro livello, cioè della "classe" frequentata. Il maestro è raramente in scena, ma si sente continuamente la sua voce che comunica con i suoi alunni, passando da un tavolo all'altro, da un livello di scolarità ad un altro. Contemporaneamente, tiene d'occhio quello che fanno tutti, fornendo sostegno, rinforzo, stimoli, sollecitazioni e rimproveri, insomma tutta la gamma delle strategie didattiche (ma anche delle relazioni interpersonali) che risultano necessarie, momento per momento, nel fluire incesssante delle attività. In questa sequenza, il maestro si concentra molto su Jojo, un bambino piuttosto svogliato e un po' pigro, che, come altri, sta cercando di ultimare il compito proposto. Il maestro lo monitora da vicino, "rispecchiando" con le sue parole le risposte che Jojo fornisce alle sue domande: in tal modo, il maestro fornisce un feedback costante, suggerisce i passi ancora da compiere e stimola Jojo ad andare avanti. La comunicazione è costante e premurosa, ma non senza regole: il maestro fa ripetere più volte al bambino la sua risposta "Sì" finchè non ottiene la risposta adeguata, che è "Si, maestro". Mentre la macchina da presa si concentra soprattutto su Jojo, si sente, fuori campo, il maestro che sta facendo ragionare gli alunni più grandi sulle frazioni, in un dialogo costante, in cui le frasi sono spesso iniziate dagli alunni e completate dal maestro (o viceversa). Nel frattempo, Jojo, annoiato e forse un po' assonnato, si disperde e si distrae in vari modi. Ma il maestro ben presto torna da lui per controllare i suoi progressi: e lo fa facendo osservare al bambino quello che ha fatto e sollecitando da lui la consapevolezza di quello che ancora resta da fare. Il controllo del maestro si trasforma così, in modo naturale, in una responsabilizzazione del bambino, nei primi passi verso la sua autonomia. Il dialogo tra il maestro e Jojo è come un "patto" stipulato tra i due: quando Jojo mostra di non aver ancora finito il suo compito, il maestro glielo fa notare ("Mi avevi detto che avresti finito"), e gli fa presente che se non finisce in tempo, dovrà rinunciare alla ricreazione ("Allora, non te lo ripeterò più") Arriva in effetti il momento dell'intervallo, e tutti escono (compreso Jojo, che forse vuol fare "il furbetto"). Ma il maestro lo richiama, vuol sapere che cosa manca ancora al suo compito, e Jojo cerca di rimandare il lavoro: - "Lo finisco dopo la ricreazione" - "Non eravamo rimasti d'accordo così" - "Domani" - "No, non domani" - "Domani non c'è scuola" - "Appunto. - "Allora quando lo farai?" - "Quando c'è scuola" - "Adesso c'è scuola" - "Sì" - "Allora devi farlo adesso" - "Sì" - "Avevi promesso al tuo maestro che l'avresti fatto. Hai mantenuto la promessa? E' finito il pesce?" - "No" - "Allora bisogna finirlo. Subito" Un dialogo costante, fatto di rispetto, di comunicazione autentica, di richiamo alle regole, non come pura e vuota astrazione, ma come impegno da prendere e mantenere nei confronti di se stessi e degli altri. 8. Half Nelson (di Ryan Fleck, USA 2006) Il professore di storia Dan Dunne entra in classe e cerca di stabilire subito un rapporto informale con gli studenti: usa l'ironia, fa qualche semplice battuta, sta in piedi davanti alla cattedra. Poi, invece di entrare in argomento, inizia con una domanda semplice e complessa allo stesso tempo, "Che cosa è la storia?" (scritta anche alla lavagna, con un'altra parola, "opposti", che evidentemente intende offrire un esempio e/o una prima risposta nel caso non ne arrivino dalla classe). In realtà, questa prima domanda ha una funzione motivazionale, è cioè propedeutica alla domanda fondamentale, "Perchè si studia/dobbiamo studiare la storia?". In tal senso, in modo più o meno conscio, l'insegnante affronta il nodo cruciale della costruzione della conoscenza a partire dalle immagini (convinzioni, rappresentazioni mentali) che di essa hanno i ragazzi. Dopo aver dato una rapida definizione ("La storia è lo studio dei cambiamenti nel tempo"), sulla scia di un primo suggerimento di una studentessa, fornisce qualche esempio di "opposti" (la parola alla lavagna) e sollecita altri esempi dalla classe (correggendo una ragazza che porta come esempio "io e te", dicendole: "io e lei", marcando così la diversità di ruoli e status nella classe). Presto un ragazzo se ne esce con una battuta che chiama in causa la sorella di una compagna, Gina (provocando l'ilarità generale), e Dan, invece di redarguire lo studente o semplicemente di ignorarlo, segue la linea di discorso e chiede all'interessata, una ragazza afroamericana, "Gina, forza, non mi dire che non gli rispondi", ottenendo come risposta una data (17 maggio 1954*). E' evidente che Dan desidera che il canale di comunicazione non venga interrotto, anche se significa accettare una temporanea digressione. Dan scrive alla lavagna la data e ne approfitta per introdurre una sua nuova richiesta: "Mi aspetto delle risposte da voi. Non voglio solo date e fatti, voglio sapere perché, voglio le conseguenze, voglio conoscere il significato", introducendo così la metodologia che insegnante e studenti seguiranno. Nella successiva sequenza, Dan ristabilisce l'atmosfera di cordialità ("Oggi mi sento una meraviglia. Sono l'unico forse?"), poi passa a dimostrare in concreto il concetto di "forze opposte", chiamando un volontario a "giocare" con lui a "braccio di ferro". Mentre "giocano", spiega il significato simbolico di questo gioco ("Stiamo opponendo le nostre forze, e fin quando uno sarà il più forte ... il cambiamento è lento e consistente, ma ... quando l'altra parte diviene più forte ... si crea una svolta ... decisiva". Poi passa ad una spiegazione più formale, ma basata sulla dimostrazione del concetto appena presentata: "La svolta decisiva si manifesta in questo modo, in modo fisico, o può manifestarsi anche su grande scala - (a questo punto Dan si accorge che è entrata la dirigente e lo sta osservando, il che lo induce ad interrompere la lezione) - come una guerra, per esempio, quindi ... perchè non mi fate un favore e scrivete tre esempi storici di svolta decisiva di cui abbiamo già parlato in classe? OK?". Ricorrendo all'esperienza concreta, Dan parte ancora una volta "dalla parte degli studenti", ma è chiaro che intende in tal modo dimostrare un concetto-chiave, alla luce del quale gli studenti possano dare significato, come aveva detto, alle "date" e ai "fatti". * Il 17 maggio 1954 è una data fondamentale per la lotta per i diritti civili degli afroamericani: la Corte Suprema degli Stati Uniti pubblicò una storica sentenza che dichiarò incostituzionale la segregazione nella scuola pubblica. 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Notes: - A pdf version of this Dossier is available. - The symbol means that the video is only available directly on YouTube. 1. Introduction: a few basic choices We are going to start exploring how movies reflect life at school or in a classroom with an important preliminary remark: we believe that today any school wishing to play its educational role in an efficient way should be based on an idea of learning not as one-sided transmission of contents from an "omniscient" teacher to students passively accepting her/his knowledge, but rather as shared construction of knowledge and competences, where teacher and students cooperate, each within the scope of their respective roles and statuses, with the primary object of developing learners' autonomy, at school and throughout life. The first important consequence of this preliminary remark is the need for a class climate in which interpersonal relationships, between teacher and students as well as among students themselves, are positive and productive. The educational relationship between teacher and class is not just aimed at promoting a general sense of "well-being", but also at ensuring the effectiveness of teacher's strategies - those strategies that try to promote, through disciplinary, inter-disciplinary and transversal learning, students' growth in autonomy. Teaching and educational relationships are often seen as important yet isolated factors - and the proof is that teacher training in Italy is almost always organized along two rarely converging lines: on the one hand, teaching practices (managed by subject teacher trainers) and on the other hand, educational relationships (managed by pedagogical advisors). In this way the close interdependence between the two processes is lost: efficient teaching implies positive interpersonal relationships, but educational relationships are not an end in themselves, but, within school as an institutional context, are also (and mostly) aimed at students' learning, through the teacher's strategies. School can obviously be organized along educational models very different from (if not opposed to) the one which we have just outlined: a purely transmissive way of teaching (basically provided by the "teacher explanation + students' tests" model) can in theory neglect if not dismiss interpersonal relationships. The two models, which we can broadly label as "transmissive" vs "constructivist", are just the two opposite ends of a continuum, with many possible intermediate positions. Within this perspective, we can summarise (by reference to Mariani 2010: 191-194) the bases of a positive and productive class climate by referring to: - shared responsibility and involvement: the teacher's democratic and authoritative leadership (thus neither authoritarian nor permissive) ensures the balance between two students' crucial needs: control and structure, on the one end, and personal autonomy, on the other; - self-awareness: the learning context is enhanced by the awareness, both by the teacher and by the students, of the meaning of what they are currently engaged in; - sharing of behaviour rules, principles of interpersonal relationships, specific procedures of class activities; - monitoring and self-evaluation: self-regulation implies transparency both of teaching/learning processes and of expected outcomes, as well of clear and shared evaluation criteria; - cooperation: students' cooperative work gives rise to explicit group objectives, promotes interdependence and improves cohesion and solidarity; - communication: this is the most general principle, underlying all the previous ones. Authentic communication is based on active and empathic listening, on the expression and acceptance of both positive and negative emotions, on the coherence between words and behaviours, and on the genuine respect for people (both teachers and students) as unique individuals. A class climate based on such a rich and demanding range of factors cannot be improvised, but is the result of patient, day-by-day commitment, where teacher and students work, although within personal and contextual constraints, to build together learning routes. By analysing film sequences we will discover that sometimes even one of the factors listed above can make the difference, since it can activate changes and possibilities of personal and collective development. 2. School at the movies Countless movies have chosen school as a context throughout the century-long life of cinema. Very often, school represents only one of the spatial and temporal dimensions in which the story told by the movie is set, with characters happening to be teachers and/or students (as well as headmasters, other school staff or parents ...), whose actions may take place primarily out of the school premises. Films on childhood or adolescence, for example, often (although not always) include at least a few sequences set at school (since children and adolescent spend quite a lot of time there) - however, the school context works only as one of the sets of the film's events, and often not the most important one for the plot's development (see on this, e.g. Tomasi e Quaglia 2003, Cortellazzo e Quaglia 2007, Frasca 2010). To our ends, we are interested in those movies, or, more often, those movie sequences, set in a classroom, where we can clearly see the unfolding of those factors of class climate which are the object of our Dossier - or, in other words, where we can more specifically focus on the link between teaching and educational relationships. By so doing, the number of movies which are relevant to our purposes will be drastically reduced, although, as we shall see, sometimes even a short sequence, if carefully analysed, can throw new light on several important issues. To this end, we will focus closely on the teachers' verbal and non-verbal behaviour. 3. Prologue: Amarcord (by Federico Fellini, Italy-France 1973) Let's start on a light note: school in Italy at the end of the '30s of last century, as recalled by Fellini with irony and a hint of melancholy. The director's aim is certainly not to criticize this context but to recall it with humour and affection; yet, this school, so apparently far away in time, filled with teachers (and students) who are not much more than grotesque caricatures, can provide us with a real vision (although seen through the lens of filmic re-construction) of a system and a whole world. This is the traditional, authoritarian, transmissive kind of school which would continue to exist in Italy for a long time (not to mention its persistence in today's world ...): teachers who are wholly focused on themselves and the "explanation" (and even "recitation"!) of their subject matter and on its mere mechanical transmission, totally indifferent to and unconcerned with their students' comical (yet revealing) reactions - students who are often taken up by other things (sleeping, playing jokes, making fun of their teachers both behind and in front of them). And a non-existent pedagogical relationship: two worlds apart, an immeasurable gap between teachers and learners. 4. The 400 blows (by François Truffaut, France 1959) This sequence, too, takes us to a school context not so different from the one recalled in Amarcord, though in a different place and at a different time (France in the '50s), and with a different filmic treatment (no irony or caricatures here, but harsh reality). The teacher is dictating a poem, which he is also writing on the blackboard, and we witness a boy desperately (and funnily!) trying to cope with his task, with the class, unseen by the teacher, mimicking the words of the poem. When a whistle is heard, the teacher turns angrily towards the class: "What idiot whistled? I'm warning you. If no one confesses, you'll all be sorry. Right, Simonet?". Simonet replies, "I didn't do it, Sir. It wasn't me, Sir" and the teacher: "Cowards too! What a class this year! ..." and then, addressing Antoine who was supposed to clean another blackboard, "Your parents will hear from me ... Poor France! What a future!". Again, two worlds (teacher and students) who are simply not communicating, with students addressed with anger and sarcasm. (Note that the Italian version offers a different, and even more illuminating, sequence). 5. Song for a raggy boy (by Aisling Walsch, Ireland-Great Britain-Danemark-Spain 2003) This movie is set in 1939 in an Irish Catholic reform school for boys (a strongly authoritarian institution, which was abolished only in the '80s). We watch Professor Franklin, who is just back from fighting in the Spanish civil war on the democrats' side, arriving at the school, greeted as "the first lay teacher employed here ... and God only knows how much we need a change ...". Franklin actually will find himself in a sort of prison, where sadism, cruelty, hypocrisy and paedophilia are the daily reality, and where the slightest hint of change or deviation from the rigid rules is severely punished. On his first day in class, Franklin finds the "prefect", who, with sarcasm and diffidence, gives his some pieces of advice: "The creatures you are going to teach ... are not to be confused with intelligent human beings ... The only thing that they understand is strength ... should you fail to employ that strength, they'll eat you alive". Franklin replies, "Thank you for the advice, but I think I'll be able to manage". Then, as the boys enter the classroom, he introduces himself: "We'll begin at the beginning. My name is Mr Franklin. As you know, this is my first day at St. Jude's - and I don't intend it to be my last ... so if any of you wants to challenge me, I suggest to do it now". Then: "I'm a fair man, but don't be under any illusions ... I've got eyes in the back of my head", as he snatches a sheet of paper from a boy's hands - which causes the whole class to laugh. Since his first remarks, we understand that Franklin wishes to establish, as the first step, an open relationship with the students, based on mutual respect and a clear recognition of each other's role: "Any questions?" A student raises his hand, introducing himself as "458 Peters" - at this school, boys are identified with numbers and not with their names - but Franklin answers, "Stand up, Mr Peters". The student asks, "What's one like you doing in a place like this?" and Franklin replies with a question: "Why do you think I'm here?", and another student, chuckling, "You couldn't get a job anywhere else". "Have you got any serious questions?". A student, in a serious, determined tone, reminds Franklin that he hasn't answered the first question, and he gets the answer, "I'm here because I'm a teacher, and I think I'm a good one". This first exchange shows that students have immediately realised that they can ask questions and get answers - a preliminary, basic form of democratic participation. Franklin then proceeds to set some clear rules for the class: first, "You will call each other by name"; second, "The reasons for being here are no concern of mine; my only concern is that while you are in this room, that you learn something"; third, "You can ask any question you like - I will try and answer it - if I can't, I'll say so". The impact of these "shared rules" between teacher and students works as a sort of "agreement" on which class interaction will be based. Franklin then asks Peters to read aloud from a book, and when the class bursts out laughing, he discovers that Peters can't read. He wonders why this may be possible, and another boy answers him in an almost reproachful tone, "Because no one ever taught him. That's why": Then, prompted by the teacher, he says he can read - and write, too - and then Franklin says, "Then I suggest you teach Peters", and the boy answers, "Why should I?". "That's a good question. Now sit down and think about it ... So anyone else can read and write? Raise your hands, don't be ashamed". During a very short interaction with the class, Franklin has already made his attitude very clear: faced with the question, "Why should I?", which implies the lack of a sense of cooperation and solidarity, and therefore, individualism as the key value at this school, Franklin doesn't look surprised and accepts the challenge: "Think about it ...". In other words, Franklin does not expect the impossible from his class, but starts from their actual present situation and bases his teaching on this recognition. The following sequences show, on the one hand, the rigid rules being enforced in the school, and, on the other hand, Franklin starting "from zero", and entrusting those who can read and write with the task of helping him, while he helps individual students with their particular problems. However, when two students start fighting, he doesn't hesitate to send the culprit to the (sadistic) prefect. As he had stated at the start, students should be under no illusions: rules will be enforced - as per the "agreement" which was shared with the class. When the student comes back, badly wounded in the head, the result of the prefect's harsh punishment, Franklin has the first of a series of violent confrontations with the prefect on the "educational methods" enforced at the school. Later in the film, we will see Franklin and his students, on Christmas Eve, enjoying themselves: their relationship, based on respect and trust, is firmly established by now. The film will show further sequences of great tension at the school, but eventually Professor Franklin, at first tempted to leave the school, will decide to remain and continue his battle. 6. The class (by Laurent Cantet, France 2008) We are now in the new millennium, in a middle school of a suburban district in Paris. Students are "in the fourth grade" (the last year of the French middle school), with a high rate of immigrants and in an area of severe social deprivation. Professor Bégaudeau (playing himself, and also the author of the book on which the movie is based) faces the harsh reality of a pluriethnic and multicultural class, where different languages and cultures mix and social and economic inequalities are bound to get stronger. The language used in class is the most evident symbol of this difficult, if not impossible, integration. (The film's original tile, Entre les murs, points to a school "made of walls", which tends to segregate and divide rather than to integrate and unite.) The teacher is well aware of this situation and, faced with an unruly class, where violence, indifference, lack of interest and demotivation are the staple of class life, accepts the great challenge of teaching the language as the first step towards cultural growth; and he does so with a passion and, sometimes, with a sort of improvisation which, if on one side seems to show the lack of a clear and well-mastered methodology, on the other side appears as the desperate attempt to hook up with an ill-disposed, unwilling audience. The movie does not aim to provide definite answers to the challenges of a multicultural class, but shows, in an honest and sincere way, how teaching strategies, especially in difficult situations, can hardly produce results if not acted out within an educational relationship which sets the basis for a cooperative dialogue between teacher and students. (Note that the Italian version offers a different, very intriguing sequence). 7. To be and to have (by Nicolas Philibert, France 2002) (Full film) We are still in France, but this time in a small mountain village, at a very small school - actually, a single room hosting 13 children aged between 3 and 11, attending different grade levels and taught by a single teacher. The director filmed 60 hours of actual lessons, within a period of six months and three seasons, with the real students and teacher, thus recreating, through a documentary approach, a sort of children's microcosm, with a tone which is neither pedagogical nor ideological, but rather aims at showing how the passion for learning and communicating admirably merge with all the emotions of real life in a real classroom, mixing gentleness and firmness, joy and sorrow. In such a multi-grade class groupwork is unavoidable, so that students can be grouped according to their level, i.e. the "grade class" they're attending. The teacher is rarely on screen, but we can constantly hear his voice talking to the students, moving from one table to the next, from a grade level to the next. At the same time, he keeps an eye of what everybody is doing, providing support and gratification, but also stimulating, prompting and reproaching - in a word, using all the range of teaching strategies (but also of interpersonal relationships) that are necessary, step by step, as class activities "flow". He gives advice and provides examples, but is also ready to make students aware of what they have (not) done, how they've done it, and what still needs to be done. When he is asked a question, he is also very careful to elicit an answer from his students before giving his own: when Jojo asks him if it's morning or afternoon, he says, "Before the afternoon, what do we do? We ... ", prompting the boy to say "Eat" - "Have you eaten yet?" "No" "No, so it's ..." "Morning". Notice that instead of using the "normal" question/answer pattern, the teacher starts a sentence and lets the students complete it, thus making them active agents in the formulation of an answer. The teacher goes on to evaluate the work done by his pupils. However, rather than simply giving a grade or his personal judgment, he shows each pupil's work to the others, prompting them to give an opinion on how well each work has been done, thus promoting what we can call "self-evaluation", on the one hand, and "co-evaluation" (evaluation between peers), on the other hand. This implies not just a cooperative approach, but also the gradual development of a personal critical approach, even at this very early age. The small size of the class allows the teacher to provide individual support to a boy just learning to read. Notice that even this "reading session" is enlivened by the teacher asking the boy questions, prompting him to give definitions for "difficult words", and making the text a little more relevant to the boy's personal life. When the boy reads "nightmare", the teachers starts a short conversation on the boy's experience with nightmares ... always checking that the other pupils don't interrupt the child and let him speak. On the whole, we witness a constant dialogue going on between the teacher and his pupils - a dialogue based on authentic communication, on mutual respect, and on "rules" being adhered to not as mere abstract principles but as a sign of being in a community where everybody is responsible for the work being carried oot and the way it can proceed smoothly. (Note that the Italian version offers a different, very interesting sequence). 8. Half Nelson (by Ryan Fleck, USA 2006) The history teacher Dan Dunne enters the classroom and immediately starts to establish an informal relationship with his students: he uses irony, makes a few witty remarks, moves a desk and stands in front of the teacher's desk. Then he starts with a simple yet complex question, "What is history?" (this is also written on the board, together with another word, "opposites", which is clearly meant to provide an example and/or a possible answer, which is also a form of support). This basic question has actually a motivational role, i.e. is a preliminary step towards the other basic question, "Why do we/should we study history?". In this way, either consciously or unconsciously, the teacher tackles the crucial problem of constructing knowledge by starting from the images (beliefs, mental representations) that the students have about history. Following a suggestion from a girl, he then provides a few examples of "opposites" (the word written on the board) and elicits other examples from the class. Soon a boy makes a witty remark which calls into question the sister of a classmate, Gina (thus making the class burst out laughing) - but Dan, rather than reproaching the student or simply ignoring him, follows this line of dialogue and prompts Gina, an African-American girl, to answer her classmate. Gina simply answers with a date (May 17th, 1954*). It is clear that Dan wishes communication to flow uninterruptedly, even if this implies a temporary digression from the main topic under discussion. Dan writes the date on the board and uses this interruption to make a further demand on his students: "I don't want just dates and facts, I wanna know why, I wanna know consequences, I wanna know what it means", thus introducing the methodology that teacher and students will follow. In the following sequence, Dan re-establishes the friendly classroom atmosphere: "I feel good today. Does anyone else feel good?", then goes on to give a concrete example of the concept of "opposite forces", asking for a volunteer to "arm wrestle" with him. As they wrestle, he explains the symbolic meaning of this game ("What we've got here is two opposing forces, pushing against each other ... as long as one is stronger ... but as the other one becomes stronger ...?). Then he proceeds with a more formal explanation, which is however based on the demonstration which has just taken place: "Now, turning points can happen like that, they can be physical, or they can happen on a wider scale - (at this point, Dan realizes that the headteacher has come into the classroom and is watrching him, which leads him to interrupt the lesson) - like a war, or something, so ... won't you do me a favor, and write three examples of turning points that we talked about in class? OK?". By using concrete experience, Dan starts once again "from the students' standpoint", but it is clear that he means to convey a key concept, in the light ow which students can give meaning, as he had said, to the "dates" and "facts". * May 17, 1954 is a crucial date for African-Americans' fight for civil rights: the Supreme Court of the USA published a memorable sentence which declared public school segregation unconstitutional. End of Part 1. Go to Part 2 |
Riferimenti/References
Cortellazzo S. e Quaglia M. (a cura di) 2007. Il cinema tra i banchi di scuola, Celid, Torino.
Frasca G. 2010. Il cinema va a scuola, Le Mani, Recco (Genova).
Mariani L. 2010. Saper apprendere. Atteggiamenti, motivazioni, stili e strategie per insegnare a imparare, libreriauniversitaria.it edizioni, Limena (Padova).
Tomasi D e Quaglia M. (a cura di) 2003. Lavagne di celluloide. La scuola nel cinema, Provincia di Torino/Aiace Torino, Torino.
Per saperne di più ... * Film a tema formativo-educativo-scolastico Un ricco elenco di film, alcuni con un breve commento * Dal sito Centro servizi culturali UNLA Oristano: Catalogo filmografia Scuola - elenco di film corredati da schede * Dal sito www.themovieconnection.it: Momenti di cinema che hanno "fatto scuola" di Ezio Leoni |
Want to know more? * From IMDb - lnternational Movie Database: Movies about teachers and schools - an extensive annotated list * From https://en.wikipedia.org: Films set in schools * From the www.edutopia.org web site: At the movies: Films focused on education reform within the American education system |