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Il musical (Seconda parte: Gli anni '40 e '50)
Musical (Part 2: The '40s and  '50s)

N.B.
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1. Re-introduzione: verso una maggiore integrazione


"Due delle descrizioni di "intrattenimento" date per scontate, "fuga [dalla realtà]" e "realizzazione di un desiderio", fanno riferimento alla sua forza centrale, ossia all'idealismo utopistico. L'intrattenimento offre l'immagine di "qualcosa di meglio" in cui rifugiarsi, o qualcosa che desideriamo profondamente, ma che la nostra vita quotidiana non ci fornisce. Alternative, speranze, desideri - questa è la materia di cui è fatta l'utopia, il senso che le cose potrebbero essere migliori, che qualcosa di diverso, rispetto a ciò che è, può essere immaginato e magari realizzato" (Nota 1).

Abbiamo visto nella prima parte di questo Dossier che una delle funzioni principali del musical, se non la più importante, è quella di fornire agli spettatori la possibilità di evadere dalla realtà per vivere in un mondo immaginario, appunto "utopico", in cui i sogni e le speranze, cioè l'alternativa ad una realtà quotidiana magari grigia se non opprimente, si realizzano, almeno temporaneamente, sullo schermo.

Abbiamo anche visto che il rapporto con il realtà (o con il realismo) assume forme diverse. Ci sono musical, come quelli che abbiamo chiamato "backstage musical" (in cui l'azione è centrata sulla preparazione ed esecuzione di uno spettacolo) che separano nettamente la narrazione dai "numeri musicali": questi ultimi vengono eseguiti, come avviene nella realtà, su un palcoscenico, davanti ad un pubblico (anche se poi spesso, come in Donne di lusso, lo spazio scenico si allarga a dismisura, fino ad assumere mirabolanti forme astratte).

Ci sono poi musical che, pur mantenendo la divisione tra narrazione (storia, o trama) e numeri musicali, cercano di integrare in qualche misura queste due componenti, per esempio attraverso il meccanismo di un momento della storia che "dà il via" ad una canzone e/o alla danza, terminate le quali la storia riprende il suo corso: è il caso di molti musical della coppia Astaire-Rogers, come Voglio danzare con te.


Infine, ci sono musical in cui la distinzione tra narrazione e numeri musicali tende a dissolversi, come se il mondo messo in scena fosse già un'incarnazione dell'"utopia", e l'integrazione tra realtà e fantasia diventa più evidente. Questa tendenza verso una sempre maggiore integrazione, è una delle caratteristiche principali dei musical degli anni '40 e '50. Vediamone un esempio in Un giorno a New York, uno dei primi esempi di musical girato in larga misura "in esterni".


N.B.
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1. Re-introduction: towards a more integrative approach

"Two of the taken-for-granted descriptions of entertainment, as ‘escape’ and as ‘wishfulfilment’, point to its central thrust, namely, utopianism. Entertainment offers the image of ‘something better’ to escape into, or something we want deeply that our day-to-day lives don’t provide. Alternatives, hopes, wishes—these are the stuff of utopia, the sense that things could be better, that something other than what is can be imagined and maybe realized" (Note 1).

We saw in the first part of this Dossier that one of the main functions of the musical, if not the most important one, is to provide the audience with an opportunity to escape reality and to live in an imaginary, "utopian" world, where dreams and hopes, i.e. the alternative to a grey if not depressing daily life, come true, at least temporarily, on the screen.

We also saw that the relationship with reality (or with
realism) can take different forms. There are musicals, like the ones we referred to as "backstage musicals" (where the action is focussed on the preparation and execution of a show) which establish a clear gap between narration and "musical numbers": the latter are performed, as in reality, on a stage, in front of an audience (although often, as in Gold diggers of 1935, the scenic space widens out of all real proportions and assumes astonishing abstract shapes).

There are also musicals that, while keeping the division between narration (story or plot) and musical numbers, try to somehow
integrate these two components, for example by introducing moments which "open up" a song and/or a dance, after which the story takes its course again: this is the case of several of the Astaire-Rogers musicals, like Shall we dance.

Finally, there are musicals in which the distinction between narration and musical numvers tends ro dissolve, as if the world staged by the movie were already a manifestation of the "utopia", and the integration between reality and fantasy becomes more evident. This tendency towards a greater integration is one of the main features of the musicals produced in the '40s and '50s. See an example in
On the town, one of the first examples of a musical mostly shot "on location".


Un giorno a New York/On the town, di/by Gene Kelly e/and Stanley Donen, Usa 1949)

Il contesto in cui si apre il film è il porto di New York, all'alba: uno scaricatore si avvia al lavoro, cominciando subito a cantare: "I feel like I'm not out of bed yet" ("Mi sento come se non mi fossi ancora alzato dal letto"). Si parte dunque dalla dura realtà quotidiana del lavoro. Ma questo realismo dell'ambientazione viene subito, e bruscamente ed energicamente, trasformato in un mondo "alternativo": suona la sirena di una nave e i marinai sbarcano immediatamente, correndo, per gustarsi una giornata di libertà. A nulla servono le parole dello scaricatore, che fa loro presente come sia impossibile sfruttare tutto ciò che New York ha da offìrire in sole 24 ore: l'energia che sprizza dai tre marinai (Frank Sinatra, Gene Kelly e Jules Munshin) è esuberante e contagiosa. Proprio i limiti del tempo a disposizione rendono la loro licenza una "fuga dalla realtà" (della vita di bordo, del lavoro, del vivere quotidiano) per immergersi completamente nel mondo fantastico (e per certi versi "utopico") di una città che diventa simbolo di libertà, di voglia di vivere, di soddisfazione di sogni e desideri - anche se solo nello spazio di un giorno (o, se vogliamo, nello spazio di un film).

2. Innovazione e conformità alla "formula"

La storia del musical hollywodiano, e in particolare quella della sua "età d'oro" tra la fine degli anni '30 e la fine degli anni '50, si caratterizza per una grande inventiva e creatività all'interno del rispetto di una "formula" che nei suoi tratti essenziali rimane sempre la stessa (fino, come vedremo, ai giorni nostri). Da una parte, le sperimentazioni tecniche, l'originalità della "messa-in-scena", la diversità delle coreografie, l'utilizzo innovativo del montaggio, soprattutto, se non quasi esclusivamente, nei "numeri musicali", portavano al superamento di "se stessi", cioè a proporre numeri che fossero sempre più spettacolari e tecnicamente sempre più complessi. Ad esempio, se Esther Williams (già campionessa di nuoto) sembrava proporre, nei suoi film "ad ambientazione acquatica" e di nuoto sincronizzato con decine di altre ballerine/nuotatrici, sostanzialmente gli stessi numeri, bisogna riconoscere che, film dopo film, questi numeri diventavano sempre più spettacolari e tecnicamente impegnativi, anche e soprattutto per la protagonista. Ne vediamo un esempio in La ninfa degli antipodi, coreografato da Busby Berkeley.

The context at the start of the movie is the port of New York, at daybreak: a docker is going to work, and as he does so, he starts singing: "I feel like I'm not out of bed yet". We thus start from the hard reality of work. However, this realism of the context is suddenly turned into an "alternative world": a ship's siren goes off and the sailors immediately run ashore, ready to enjoy a day's leave. The docker's words, who tells them that it is impossible to enjoy all that New York has to offer in a single day, are not taken into consideration: the energy bursting from the three sailors (Frank Sinatra, Gene Kelly e Jules Munshin) is exhuberant and contagious. The very fact that they have so little time make their leave an "escape from reality" (from their life onboard, from work, from daily living), so that they can give themselves up to the fantastic (and by many standards "utopian") world of a city which becomes a symbol of freedom and "lust for life", and where dreams and wishes can come true - even if just for a day (or, if you like, just as a movie lasts).

2. Innovation and conformity to a "formula"

The history of the Hollywood musical, and particularly of its "golden age" between the end of the '30s and the end of the '50s, is marked by a great capacity for innovation and creativity within the limits of a "formula" which, in its main features, remains basically the same (up to the present, as we shall see). On the one hand, technical experimentation, the originality of the mise-en-scène, the variety of coreographies and the innovative use of editing (especially, if not exclusively) in the "musical numbers", led to "surpassing oneself", i.e. to the creation and execution of numbers which had to be more and more spectacular and more and more complex from a technical point of view. For example, if Esther Williams (a former swimming champion) seemed to execute, in her movies "drenched in water", together with dozens of other dancers/swimmers, basically the same numbers, we have to recognize that, movie after movie, these numbers grew more and more spectacular and technically very demanding, especially for Williams herself. See an example in Million dollar mermaid, coreographed by Busby Berkeley.
 
La ninfa degli antipodi/Million dollar mermaid, di/by Mervyn LeRoy, USA 1952)

In definitiva, bisogna sempre ricordare che i musical, come del resto tutti i film hollywodiani, erano e rimangono un prodotto industriale, che come tale richiede standardizzazione e l'applicazione di formule, per quanto elastiche e flessibili, che si sono dimostrate efficaci per il successo di un film. Pertanto i musical, specialmente i classici dell'"età d'oro" che stiamo analizzando, davano la preminenza ai nuneri musicali piuttosto che alla trama, di per sè secondaria. A questo genere si richiedeva non tanto un'assoluta originalità, quanto il "riciclaggio" di situazioni (storie, trame) già note, ma che il pubblico poteva apprezzare soprattutto per la freschezza e la spettacolarità dei numeri musicali, eseguiti in genere da "star" che erano la vera ragion d'essere dello spettacolo, e che sembravano facessero a gara nel "superare se stessi", creando numeri sempre più coinvolgenti. In questo modo, conformità e innovazione non entravano realmente in conflitto, e questo equilibrio è una delle ragioni del continuo successo di questo genere cinematografico.

By and large, we need to remember that musicals, like all Hollywood movies, were and still are an industrial product, which in itself requires standardization and the application of formulae, although flexible ones, which have proved efficient for a movie's success. Thus musicals, especially the classical ones of the "golden age" which we are analysing, gave priority to the musical numbers rather than to the story or plot, which was of secondary importance. This genre demanded not so much absolute originality as rather the "recycling" of well-known situations (stories, plots), which nevertheless the audience could appreciate above all thanks to the freshness and the spectacular attraction of musical numbers, performed by stars who were the real appeal of the show - stars who seemed to compete with each other in "surpassing themselves" by performing more and more attractive numbers. In this way conformity and innovation did not really come into conflict, and this balance is one of the reasons for the lasting success of this film genre.

Rapsodia in blu/Rhapsody in blue, di/by Irving Rapper, USA 1945)

Uno dei "sottogeneri" che meglio dimostrano questo equilibrio è rappresentato dai musical "biografici" (oggi diremmo "biopics"), che raccontavano, con molta libertà, la vita di musicisti famosi, in cui, ancora una volta, il centro dell'attenzione non erano in realtà i fatti, cioè la trama, che serviva invece per legare assieme l'esecuzione di canzoni già famose o composte per l'occasione, e che vedeva spesso in scena cantanti e ballerini altrettanto familiari al grosso pubblico. Oltre a Rapsodia in blu, che narra la vita di George Gershwin, si ricordano, tra gli altri, La grande strada bianca (di Henry King, USA 1938), che intendeva essere una biografia di Irving Berlin, Parole e musica (di Norman Taurog, USA 1948), biografia dei compositori Richard Rodgers and Lorenz Hart, Notte e dì (di Michael Curtiz, USA 1946), sulla vita di Cole Porter, e La storia di Glenn Miller (di Anthony Mann, USA 1954).

3. Il musical a supporto dello sforzo bellico

One of the "subgenres" which best proves this balance is the "biographical musical" ("biopics", as we would say today), which told, in a rather loose fashion, the life of famous composers. Here the focus of attention was not, once again, the real facts, i.e. the plot, which was used instead to link together the execution of  songs, either already well-known or expressly written for the occasion, featuring singers and dancers just as well-known to the general audience. Besides Rhapsody in blue, which tells the life of George Gershwin, we can mention, among mothers, Alexander's Ragtime Band (by Henry King, USA 1938), which was meant to be a biography of Irving Berlin, Words and music (by Norman Taurog, USA 1948), a biography of the composers Richard Rodgers and Lorenz Hart, Night and day (by Michael Curtiz, USA 1946), on the life of Cole Porter, and The Glenn Miller story (by Anthony Mann, USA 1954).

3. The musical in support of the war effort

Hollywood canteen (di/by Delmer Daves, USA 1944)

Non si può dimenticare che, nei primi anni del periodo che stiamo considerando, Hollywood e i suoi musicals diedero un massiccio supporto alle forze armate impegnate nel mondo, con una serie di film che ospitavano le più grandi star del momento, da Bette Davis a Joan Crawford, da Barbara Stanwyck a Ida Lupino, con le star maschili (da Paul Heinreid a John Garfield a Peter Lorre ...), spesso in divisa militare. A questi film si affiancavano spettacoli dal vivo, spesso tenuti nelle zone di combattimento, con l'intervento di grandi orchestre (le "big bands" come quella di Jimmy Dorsey e Glenn Miller, che morirà in un incidente aereo proprio durante un tour per l'esercito).

4. La MGM, Arthur Freed e Vincente Minnelli

L'integrazione tra canzoni/danza, da una parte, e storia/trama, dall'altra, di cui abbiamo parlato all'inizio di questo Dossier, fu uno dei principi che caratterizzarono il lavoro di Arthur Freed alla MGM (Metro-Goldwyn-Mayer), che, a partire da Il mago di Oz, come produttore segnò la storia del musical hollywodiano con una serie di capolavori di enorme successo - successo sicuramente dovuto anche alla schiera di brillanti registi, ballerini, coreografi, attori e compositori musicali di cui seppe circondarsi.

Fu proprio sotto la guida di Freed che Vincente Minnelli girò il suo primo film a Hollywood, un musical particolare, Due cuori in cielo (USA 1944), che si ricorda per diverse ragioni: il cast era composto da soli Afro-americani; la cantante Lena Horne qui cominciò la sua carriera; la colonna musicale poteva contare sull'orchestra di Duke Ellington; e molte canzoni (di cui una, "Happiness is a thing called Joe", ottenne una nomination all'Oscar) divennero classici.

We cannot forget that, in the early years of the period we are considering, Hollywood and its musicals gave massive support to the armed forces all around the world, through a series of films which featured the greatest stars of the time, from Bette Davis to Joan Crawford, from Barbara Stanwyck to Ida Lupino, with the male stars (from Paul Heinreid to John Garfield to Peter Lorre ...), often wearing a uniform. These movies were not the only way the movie industry supported the country at war: live shows, often performed in fighting zones, saw the presence of  the "big bands" like the ones conducted by Jimmy Dorsey and Glenn Miller, who would die in an air crash during one of his tours for the army.

4. MGM, Arthur Freed and Vincente Minnelli

The integration between song and dance, on the one hand, and story/plot, on the other, which we mentioned at the start of this Dossier, was one of the principles that lay at the basis of Arthur Freed's work at MGM (Metro-Goldwyn-Mayer, who, starting from The wizard of Oz, marked as a producer the history of Hollywood musicals with a series of hugely successful masterpieces - whose success was surely also due to the group of brilliant directors, dancers, coreographers, actors and composers he so skillfullly employed.

It was under Freed's guidance that Vincent Minnelli shot his first Hollywood movie, a particular musical, Cabin in the sky (USA 1944), which is famous for several reasons: the cast was all African-American; the singer Lena Horne started her career with this movie; the musical score saw the presence of Duke Ellington's orchestra; and many songs (including "Happiness is a thing called Joe", which got an Academy Award nomination) became classics.


Il pirata/The pirate (di/by Vincente Minnelli, USA 1947)

Il pirata poteva contare sulla presenza, oltre che di Judy Garland, della già affermata stella Gene Kelly, promotore di uno stile coreografico molto diverso da quello del suo principale (anche se molto più anziano) rivale Fred Astaire. Kelly proponeva uno stile molto "fisico", quasi acrobatico anche se sempre aggraziato. Fra le canzoni (di Cole Porter) presenti nel film, "Be a clown", fu ripreso qualche anno dopo dallo stesso Kelly in Cantando sotto la pioggia. Non si trattava di un evento raro: spesso canzoni famose venivano riprese e riproposte in nuove versioni da differenti star, contribuendo così a costruire una specie di "ipertesto" musicale in cui gli spettatori potevano riconoscersi, film dopo film, godendo della reiterazione di motivi conosciuti.

In effetti i musical della MGM, spesso diretti da Minnelli, con l'apporto costante delle stesse star (tra cui Judy Garland, Frank Sinatra, Gene Kelly, Esther Williams, Kathryn Grayson, Jane Powell e Howard Keel) dimostravano senza ombra di dubbio che il musical era un genere che si reggeva soprattutto sulla presenza proprio delle star: "Come veicoli per le star, i musical derivavano in larga misura la loro coerenza dai loro attori protagonisti. I film erano realizzati per reiterare la persona della star non semplicemente facendole/gli interpretare un certo tipo di personaggio nella trama, ma attraverso i "numeri". Le colonne sonore e le coreografie erano aggiustate in modo da adattarsi alle speciali abilità della star, con trame progettate in primo luogo per offrire prontamente delle scuse per [introdurre] una canzone o un numero di danza nello specifico stile associato alla star" (Nota 2).

Due musical segnarono l'apice della cosiddetta "età d'oro" del genere: il primo, Un americano a Parigi, su musiche di Gershwin (che era morto nel 1937), portava avanti l'integrazione realistica tra storia e numeri musicali: è rimasta famosa la scena in cui Gene Kelly danza con i bambini in strada, manifestando tutto il suo amore per la città, ma anche il balletto tra Kelly e Leslie Caron lungo la Senna sulle note di "Love is here to stay" - una scena talmente iconica da essere ripresa, con variazioni fantastiche ed effetti speciali, persino da Woody Allen (con Goldie Hawn) in Tutti dicono I love you sulle note di "I'm through with love". Una prova evidente della persistenza delle convenzioni del musical classico anche in epoca moderna.

The Pirate relied on the presence of both Judy Garland and the already well-known star Gene Kelly, who introduced a coreographic style very different from his main (although much older) rival Fred Astaire's. Kelly's dancing was very "physical" and even acrobatic, although always graceful. Among the Cole Porter songs in the movie, "Be a clown" was re-used a few years later by Kelly in Singin' in the rain. This was not an unusual event: famous songs were often re-introduced in new versions by different stars, thus helping to build a sort of  musical "hypertext" which the audience could easily recognize, movie after movie, thus enjoying the repetition of well-known motifs.

MGM musicals, often directed by Vincent Minnelli, with the repeated presence of the same stars (among whom Judy Garland, Frank Sinatra, Gene Kelly, Esther Williams, Kathryn Grayson, Jane Powell and Howard Keel) proved without doubt that the musical as a genre relied heavily on the stars themselves:
"As star vehicles, musicals in large part derived their coherence from their leading players. The films were crafted to reiterate the star’s persona not simply by having her or him play a certain type of character in the plot, but through the numbers. Scores and choreography were tailored to suit the star’s special abilities, with plots designed primarily to offer ready excuses for a song or dance number in the distinct style associated with the star" (Note 2).

Two musicals marked the height of the so-called "golden age" of the genre: the first,
An American in Paris, featuring a score by Gershwin (who had died in 1937), carried forward the realistic integration between story and musical numbers: as an example, remember the scene where Kelly dances with a group of children in the street, expressing all his love for the city, but also Kelly and Leslie Caron dancing on the banks of the Seine to the music of "Love is here to stay" - a scene which became so iconic as to be revived, with some fantastic variations and special effects, even by Woody Allen (with Goldie Hawn) in Everyone says I love you, dancing to the music of "I'm through with love": clear evidence of the persistence of the conventions of the classical musical in recent moviemaking.

Un americano a Parigi/An American in Paris (di/by Vincente Minnelli, USA 1951)


Tutti dicono I love you/Everyone says I love you (di/by Woody Allen, USA 1996)
Ma Un americano a Parigi introduceva anche un'altra novità: la presenza di una "sequenza onirica" (dream sequence, o dream ballet), un numero musicale a se stante, non legato alla storia, sulle note del poema sinfonico di George Gershwin "Un americano a Parigi", con evidenti influenze jazzistiche e di musica contemporanea. Un numero come questo, della durata di 17 minuti e del costo di mezzo milione di dollari, riusciva ad esprimere al massimo le potenzialità della coreografia e degli interpreti: non a caso, per questo film a Gene Kelly venne conferito un Oscar per "i suoi brillanti risultati nell'arte della coreografia cinematografica". E l'uso dello schermo panoramico (wide screen format) e di una tavolozza persino esagerata dei colori del Technicolor testimoniava nel frattempo il tentativo di Hollywood di far fronte alla minaccia ormai incombente della concorrenza televisiva.

However, An American in Paris also introduced something new, in the form of a "dream sequence" (or "dream ballet"), a self-standing musical number, not linked to the main story, to the music of George Gershwin's symphonic poem "An American in Paris", with clear jazz and contemporary music influences. Such a musical number, which lasts 17 minutes and cost half a million dollars, highlighted the potential power of the coreography as well as of its performers: it was not by chance that with this movie Kelly won an Academy Award for "his brilliant achievements on the art of coreography on film". And the use of the wide screen format and of an even exaggerated palette of Technicolor colours witnessed Hollywood's attempt to face the already growing threat of television competition.

Un americano a Parigi/An American in Paris (di/by Vincente Minnelli, USA 1951)


Cantando sotto la pioggia/Singin' in the rain (di/by Stanley Donen e/and Gene Kelly, USA 1952)

L'altro film-simbolo dell'età d'oro" del musical hollywodiano è Cantando sotto la pioggia, il cui titolo derivava dalla canzone già inclusa nel musical La canzone di Broadway del 1929. Il film è rimasto memorabile per diverse ragioni. Innanzitutto, presenta diversi numeri musicali di grande impatto: non solo la celeberrima danza di Gene Kelly sotto la pioggia, ma anche l'acrobatica esibizione di Donald O'Connor sulle note di "Make them laugh" e il duetto Kelly/O'Connor sulle note di "Moses supposes". Inoltre, il film, sulla scia di Un americano a Parigi, introduce una lunga "sequenza onirica" ("Broadway melody"), in cui Kelly, nei panni di un ballerino che a fatica riesce a "sfondare" a Broadway, dà il meglio di sé insieme alla partner Cyd Charisse. Infine, Cantando sotto la pioggia è anche un film "auto-referenziale", nel senso che è ambientato a Hollywood, nella delicata fase di passaggio dal cinema muto al sonoro, e testimonia le tragicomiche vicende di un star del muto che, una volta passata al sonoro, dimostra di avere una voce orribile ...

The other movie which has become a symbol of the Hollywood musical's "golden age" is Singin' in the rain. The title came from a song which had already appeared in The Broadway melody (1929). The movie is memorable for several reasons. First, it includes many brilliant musical numbers: not only Gene Kelly's well-known dance "in the rain", but also Donald O'Connor's acrobatic performance to the music of "Make them kaugh" and the Kelly/O'Connor duet to the music of "Moses supposes". Besides, the movie, on the wake of An American in Paris, features a long "dream sequence" ("Broadway melody"), in which Kelly, acting as a dancer who tries hard to make his way in Broadway, gives one of his best performances together with Cyd Charisse. Last (but not least), Singin' in the rain is also a self-referring movie, in the sense that it is set in Hollywood, during the problematic transition from silent movies to "talkies", and shows the tragicomic experience of a silent movie star who, when performing in a "talking" movie, is found to have a horrible voice ...
5. Non solo commedie: verso nuove sensibilità

Ma verso la fine degli anni '40, il tradizionale carattere di "commedia" dalla trama esile e dal felice finale scontato (che è stato definito con la formula "un ragazzo incontra una ragazza/il ragazzo odia la ragazza/la ragazza odia il ragazzo/il ragazzo conquista la ragazza") stava per mostrare i primi sintomi del cambiamento. Già nel 1948, il musical inglese Scarpette rosse (di Michael Powell e Emeric Pressburger) metteva in scena la vicenda di una ballerina, che, sottoposta ad un durissimo allenamento e dilaniata fra l'amore per la danza e l'amore per un compositore, si identifica con il personaggio che interpreta, danzando fino alla morte. Siamo agli antipodi del musical hollywodiano classico, trattandosi di un melodramma in forme astratte piuttosto che realistiche. "E' nello stesso tempo romantico ed espressionista, una fantasticheria e un incubo, un dramma psicologico e una favola, un'anomala miscela di narrativa popolare, cattivo gusto, abuso di stereotipi e sperimentazione visiva, ribaltamento delle convenzioni, vertiginosa reinvenzione della realtà" (Nota 3)
5. Not just comedies: towards a new sensibility

However, towards the end of the '40s, the traditional "comedy" features associated with musicals, with their thin plots and the taken-fron-granted happy ending (which has been defined with the formula "boy meets girl/boy hated girl/girl hates boy/boy gets girl") was showing the first signs of change. Already in 1948, the English musical The red shoes (by Michael Powell e Emeric Pressburger) staged the story of a dancer who, after enduring very hard training
sessions and torn between the love for dancing and her love for a composer, identifies so much with her stage character as to dance until her death. We are obviously at the opposite end of the classical Hollywood musical, since we are dealing with a melodrama staged in abstract, rather than realistic, forms. "It is at the same time romantic and expressionistic, a day-dream and a nightmare, a psychological drama and a fairy tale, an anomalous mix of popular narrative, bad taste, overindulgence in sterotypes and visual experimentation, overturning of conventions, dizzy reinvention of reality"(Note 3)

 
Scarpette rosse /The red shoes (di/by Michael Powell e/and Emeric Pressburger, GB 1948)

Di lì a pochi anni, il melodramma musicale avrebbe fornito altri significativi esempi, tra cui i film biografici, solitamente di una star femminile che passa dall'essere totalmente sconosciuta ad un successo strepitoso, fino ad un lento declino fatto di droghe, alcool, ecc. Uno dei più famosi di questo tipo di film, in realtà, capovolge la situazione, in quanto è il marito della star che diventa preda dell'alcool e della depressione. La storia narrata da questo film è uno dei più tipici casi di remake, ossia di rifacimenti posteriori: la prima versione (non un musical) di E' nata una stella (di William A. Wellman, USA 1937 - si veda la versione in lingua originale qui) - è stata seguita da una versione del 1954 (interpretata da James Mason e Judy Garland, che per questo ruolo ottenne la sua unica nomination all'Oscar), poi da una successiva versione nel 1976 (con Kris Kristofferson e Barbra Streisand), per arrivare alla recente versione con Bradley Cooper e Lady Gaga. (Per un confronto tra le tre versioni del musical, in inglese, si veda qui.)

Within a few years, several other examples of musical melodrama would be produced, among which biographical films, usually of a female star who goes from being completely unknown to a resounding success, until she starts a slow decline through drugs, alcohol, etc. One of the best known of these "biopics" actually reverses the situation, since it is the star's husband who falls a prey to alcohol and depression. The story told by this movie is one of the most typical cases of a remake, i.e. a new version of a previous movie: the first version (not a musical) of A star is born (by William A. Wellman, USA 1937 - see the original English version here) - was followed by a remake in 1954 (with James Mason and Judy Garland, who got her only Academy Award nomination), then by another version in 1976 (with Kris Kristofferson and Barbra Streisand), and finally by the recent version with Bradley Cooper and Lady Gaga. (See a comparison of the three versions of the musical, in English, here.)

E' nata una stella/A star is born (di/by George Cukor, USA 1954)

E' nata una stella/A star is born (di/by Frank Pierson, USA 1976)
E' nata una stella/A star is born (di/by Bradley Cooper, USA 2018)

Anche le classiche star hollywoodiane apparvero in film che in qualche modo presentavano un lato, se non drammatico, certamente più disincantato: è il caso di Gene Kelly, che in E' sempre bel tempo (di Gene Kelly e Stanley Donen, USA 1955), ritrova, dopo un distacco di dieci anni a causa della guerra, due vecchi amici - solo per scoprire, amaramente, che non hanno più niente in comune. Ed è anche il caso di Fred Astaire, che, in Spettacolo di varietà (di Vincente Minnelli, USA 1953), inizia con la consapevolezza, da parte del ballerino, che i bei tempi sono passati: ma presto viene coinvolto nella preparazione di un nuovo spettacolo che, dopo alcune disavventure che offrono lo spunto per altrettanti numeri musicali, ha un successo trionfale. Astaire, che all'epoca aveva 53 anni, danzò in un numero rimasto famoso, "Dancing in the dark", con Cyd Charisse (trentunenne), nel Central Park di New York. Non a caso questa esibizione verrà ripresa molti anni dopo, con rimandi evidenti all'originale, in La La Land (di Damien Chazelle, USA 2016, con Ryan Gosling e Emma Stone): come si vede, ancora un caso di persistenza dell'immaginario del musical classico ai giorni nostri.

Even the classical Hollywood stars appeared in movies which were somehow bent towards a more dramatic, if not disillusioned, side: it happened with Gene Kelly, who, in It's always fair weather (by Gene Kelly e Stanley Donen, USA 1955) meets two long-lost friends after the war - only to bitterly find out that they have now nothing more in common. Much on the same lines, The bandwagon (by Vincente Minnelli, USA 1953) stars Fred Astaire as a "fallen star", ready to admit that the good old days are over: however, in this case, he soon gets involved in the preparation of a new show which, after a series of events which introduce musical numbers, finally meets with a great success. Astaire, who was 53 at the time, danced in a famous number, "Dancing in the dark", with Cyd Charisse (who was 31), set in New York's Central Park. It is not by chance that this performance was revived many years later, with clear references to the original, in La La Land (by Damien Chazelle, USA 2016, with Ryan Gosling and Emma Stone): as can be seen, this is a further example of the persistence of the motifs and conventions of the classical musical even today.
                                                                                                                                  
                Spettacolo di varietà/The bandwagon (di/by Vincente Minnelli, USA 1953)                    La La Land (di/by Damien Chazelle, USA 2016)

Una più decisa svolta verso una dimensione più "seria" ed "impegnata" del musical si ebbe qualche anno più tardi, quando West Side Story (di Jerome Robbins e Robert Wise, USA 1961) mise in scena una versione moderna di "Giulietta e Romeo", rappresentati da una portoricana e da un americano bianco, sullo sfondo dei conflitti razziali e delle bande giovanili in competizione tra loro. Ambientato nell'Upper West Side di Manhattan, con riprese dal vivo di una realtà mostrata con grande realismo, il film poteva contare sulle spettacolari coreografie di Jerome Robbins e su una partitura musicale di respiro sinfonico composta da Leonard Bernstein. Con undici nomination e dieci Oscar vinti, West Side Story rimane una testimonianza del nuovo corso che poteva prendere il musical, non più confinato nella commedia, ma aperto invece alla tragedia, a mostrare tematiche che presto saranno tipiche della "New Hollywood": la delusione giovanile, i conflitti razziali, le differenze culturali esplicite (si veda il famosissimo numero "America" qui sotto) e la violenza come parte di un forte realismo ambientale e sociale.

A more radical turning point towards a more "serious" and "committed" dimension of the musical came a few years later, when West Side Story (by Jerome Robbins and Robert Wise, USA 1961) staged a modern version of "Romeo and Juliet", here played by a white American boy and a Puerto Rican girl, with racial conflicts and competing rival gangs in the background. Set in Manhattan's Upper West Side, and mostly shot "live" with great realism, the film could rely on Jerome Robbins' spectacular coreography and on a symphonic score written by Leonard Bernstein. With its eleven nominations and ten Academy Awards, West Side Story remains the evidence of the new direction that musicals could take: no longer confined to comedy, but open to tragedy, by showing topics that would soon be taken up by the "New Hollywood": youth delusion, racial conflicts, explicit cultural differences (see the well-known number "America" below) and violence were becoming part of a strong tendency towards social and cultural realism.
                                                                                     
                                                                                 West Side Story (di/by Jerome Robbins e Robert Wise, USA 1961)

6. Verso la fine dell'"età d'oro"

West Side Story
è solo uno degli esempi di adattamento cinematografico di successi teatrali di Broadway, che continuò a fornire a Hollywood, anche in questi anni di declino del musical, spunti per nuovi film: da Anna prendi il fucile (di George Sidney, USA 1950) a Show Boat (di George Sidney, USA 1951), da Baciami Kate! (di George Sidney, USA 1953), a Bulli e pupe (di Joseph L. Mankiewicz, USA 1955, famoso per le interpretazioni di Marlon Brando, Frank Sinatra, Jean Simmons e Vivian Blaine, vedi qui sotto), da Oklahoma! (di Fred Zinnemann, USA 1955) a Carousel (di Henry King, USA 1956), da Il re ed io (di Walter Lang, USA 1956, che valse a Yul Brynner un Oscar come miglior attore e a Deborah Kerr una nomination) a Funny face (di Stanley Donen, USA 1956, rifacimento di un musical di Broadway del 1927, e in un certo senso un testamento per un quasi sessantenne Fred Astaire affiancato da una giovanissima Audrey Hepburn).
6. Towards the end of the "golden age"

West Side Story is only one example of Hollywood adaptations of successful Braodway shows. Even in this period of decline of the musical, Broadway continued to provide Hollywood with ideas for new movies: from Annie get your gun (by George Sidney, USA 1950) to Show Boat (by George Sidney, USA 1951), from Kiss me Kate! (by George Sidney, USA 1953), to Guys and dolls (by Joseph L. Mankiewicz, USA 1955, with Marlon Brando, Frank Sinatra, Jean Simmons and Vivian Blaine, see below), from Oklahoma! (by Fred Zinnemann, USA 1955) to Carousel (by Henry King, USA 1956), from The King and I (by Walter Lang, USA 1956, for which Yul Brynner was awarded an Academy Award as Best Actor and Deborah Kerr got a nomination) to Funny face (by Stanley Donen, USA 1956, the remake of a 1927 Broadway musical, and, in a way, a swansong for a nearly sixty-year-old Fred Astaire, acting side-by-side with a very young Audrey Hepburn).


Bulli e pupe/Guys and dolls (di/by Joseph L. Mankiewicz, USA 1955), presentato da Ed Sullivan durante il suo spettacolo televisivo del sabato sera/introduced by Ed Sullivan during his Saturday night TV show

Nel frattempo, si incominciavano ad intravvedere variazioni, più o meno consistenti, del musical "classico": ad esempio, l'adattamento di opere come Carmen Jones (di Otto Preminger, USA 1954, dall'opera di George Bizet, a sua volta ispirata ad un racconto di Prosper Mérimée, e già portata sulle scene a Broadway da Oscar Hammerstein II nel 1943), un black musical, cioè con un cast di soli afro-americani. D'altro canto, si cominciava ad affermare quella che fu chiamata "musical comedy", in cui cioè in una sostanziale commedia, con una sua esile trama, vengono inseriti numeri musicali: ne è un esempio preliminare Gli uomini preferiscono le bionde (di Howard Hawks, USA 1953, vedi qui sotto), con Marilyn Monroe e Jane Russell: "commedia ... frivolissima e radicalmente irrealistica dove i personaggi sono oltraggiosamente caricaturali" (Nota 3). E non bisogna dimenticare l'onnipresente Walt Disney, che continuò a sfornare cartoni animati di grande successo, disegnati a mano, con notevoli colonne sonore: valga per tutti, come esempio, Alice nel paese delle meraviglie (di Clyde Geronimi, Hamilton Luske e Wilfred Jackson, USA 1951).

In the meantime, more or less substantial variations of the classical musical began to appear: for example, the adaptations of operas like Carmen Jones (by Otto Preminger, USA 1954, from George Bizet's opera, in its turn inspired by story by  Prosper Mérimée, already adapted as a Broadway show by Oscar Hammerstein II in 1943), a black musical, i.e. with an all African-American cast. On the other hand, new musicals which would soon be called "musical comedies" started to appear - comedies with a thin plot and more or less congruent musical numbers: as an early example, consider Gentlemen prefer blondes (by Howard Hawks, USA 1953, see below), with Marilyn Monroe and Jane Russell: "a comedy ... frivolous and radically unrealistic where characters are outrageously grotesque" (Note 3). And we cannot forget the ever-present Walt Disney, who continued to produce very successful cartoons, hand-drawn and featuring remarkable musical scores: as an example, take Alice in wonderland (by Clyde Geronimi, Hamilton Luske e Wilfred Jackson, USA 1951).

Gli uomini preferiscono le bionde/Gentlemen prefer blondes (di/by Howard Hawks, USA 1953)

Era insomma evidente che il musical stava esaurendo la sua carica originale, che lo aveva portato ad essere uno dei più popolari generi cinematografici per un trentennio, mentre si affacciavano nuove tendenze, che lo avrebbero, ma solo in parte, rinnovato, dando più spesso origine a nuove forme (se non proprio a nuovi generi) di combinazione di storie con musiche, balletti e canzoni.


Fine della Seconda parte. Vai alla Terza parte
It was obvious that the musical was losing its original energy - what had made it one of the most popular film genres for more than thirty years. Other trends appeared, which would, but only in part, renew it, while new combinations of its essential ingredients (music, song and dance) would replace and challenge the established ones.


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 Note/Notes

(1) Dyer R. 2002. "Entertainment and utopia", in Cohan S. (ed.) Hollywood musicals, the Film reader, Routledge, London and New York.

(2) Cohan S. 2002. "Introduction: Musical of the studio era", in Cohan S. (ed.) Hollywood musicals, the Film reader, Routledge, London and New York.

(3) Il Morandini: Dizionario dei film, Zanichelli, Bologna.

 

Per saperne di più ...

* Dal sito movieconnection.it:
   Appunti sul musical, di Dario Dalla Mura e Elena Peloso
* Dall'Enciclopedia del cinema Treccani:
   Musical di Massimo Marchelli
* Dal sito La Comunicazione- Dizionario di scienze e tecniche:
   Musical di Guido Michelone
* Tesi di Laurea di Chiara Cometto - Università Ca' Foscari di Venezia:
   Dal palcoscenico allo schermo. Per un'analisi dell'adattamento del musical per il cinema
Want to know more?

* The musical genre - An exploration of integrated vs non-integrated  films in the musical genre, by Joe Burke, Victoria Garrity and Cara McGonagle
* From the Udiscovermusic website:
   The sound of film musicals: How song shaped showbusiness on the silver screen by Martin Chilton
* Codes and conventions of film musicals a PowerPoint presentation by JC Clapp, North Seattle College
* From the filmsite.org website, written and edited by Tim Dirks:
   Musicals - Dance films

* From the Film Reference website:
   Musicals
* From the paredes.us website:
   The musical film: The unbelievable genre by Ramon Paredes


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