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François
Truffaut: l'amore per il cinema, il cinema dell'amore Prima parte: Introduzione generale Piano del Dossier Prima parte: Introduzione generale Seconda parte: Raccontare l'infanzia e l'adolescenza Terza parte: Il "ciclo" di Antoine Doinel Quarta parte: Triangoli sentimentali, ossessioni amorose |
François Truffaut: love for cinema, the
cinema of love Part 1: A general introduction Plan of the Dossier Part 1: A general introduction Part 2: Filming childhood and adolescence Part 3: The Antoine Doinel "cycle" Part 4: Sentimental triangles, love obsessions |
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Jack de Nijs for Anefo, CC BY-SA 3.0 NL <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0/nl/deed.en>, via Wikimedia Commons |
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Filmografia/Filmography Une visite (corto/short film - 1954) Histoire d'eau (corto/short film - 1958) Les mistons (corto/short film - 1958) I quattrocento colpi/Les quatre cents coups/The four hundred blows (1959) Tirate sul pianista/Tirez sur le pianiste/Shoot the piano player (1960) Jules e Jim/Jules et Jim/Jules and Jim (1962) Antoine e Colette (primo episodio di L'amore a vent'anni)/Antoine et Colette/Antoine and Colette (first episode of Love at twenty) (1962) La calda amante/La peau douce/The soft skin) (1964) Fahrenheit 451 (1966) La sposa in nero/La mariée était en noir/The bride wore black (1967) Baci rubati/Baisers volés/Stolen kisses (1968) La mia droga si chiama Julie/La sirène du Mississippi/Mississippi mermaid (1969) Il ragazzo selvaggio/L'enfant sauvage/The wild child (1970) Non drammatizziamo ... E' solo questione di corna/Domicile conjugal/Bed & board (1970) Le due inglesi/Les deux anglaises et le continent/Two English girls (1971) Mica scema la ragazza!/Une belle fille comme moi/A gorgeous girl like me (1972) Effetto notte/La nuit américaine/Day for night (1973) Adele H. - Una storia d'amore/L'histoire d 'Adèle H./The story of Adèle H. (1975) Gli anni in tasca/L'argent de poche/Small change (1976) L'uomo che amava le donne/L'homme qui aimait les femmes/The man who loved women (1977) La camera verde/La chambre verte/The green room (1978) L'amore fugge/L'amour en fuite/Love on the run (1979) L'ultimo metrò/Le dernier métro/The last metro (1980) La signora della porta accanto/La femme d'à côté/The woman next door (1981) Finalmente domenica!/Vivement dimanche!/Confidentially yours (1983) |
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1. Prologo: un autore misconosciuto |
1. Prologue |
"Tre film al giorno, tre libri alla settimana e dischi di grande
musica sarebbero sufficienti per rendermi felice fino al giorno della
mia morte." François Truffaut |
"Three films
a day, three books a week and records of great music would be enough to
make me happy to the day I die." François Truffaut |
Dei 25 film diretti da François Truffaut
nell'arco della sua breve vita (1932-1984), solo alcuni sono rimasti
stabilmente nella memoria del pubblico: tra questi, il primo e più famoso,
I quattrocento colpi, e pochi altri come L'ultimo metrò e
La signora della porta accanto. Eppure, è unanimemente
riconosciuto che la figura di Truffaut fa parte ormai stabile della
storia del cinema, ed il suo nome è sempre citato tra
i fondatori della nouvelle vague francese che rivoluzionò il cinema tra la fine
degli anni '50 e l'inizio dei '60 del secolo scorso. I film di Truffaut sono visti ancor oggi con piacere, anche come film di puro divertimento, e se ne sottolineano in genere la leggerezza, la disinvoltura, il fascino ... nonostante il fatto che parecchi dei suoi film mettano in scena passioni anche violente e temi importanti e intriganti. In parte ciò è dovuto, come vedremo, al fatto che Truffaut sapesse mettere in scena sentimenti e passioni con un'eleganza, tanto morale che estetica, senza farlo pesare, anzi, lavorando duramente per rendere le sue immagini comprensibili e apprezzabili da un vasto pubblico, senza che la fatica ed il perfezionismo con cui venivano realizzate fossero minimamente percepite dagli spettatori. Come Lubitsch per la commedia o Hitchcock per i thriller (autori che non a caso Truffaut amava senza condizioni), anche Truffaut possedeva quella rara virtù di realizzare immagini affascinanti nascondendo o dissimulando la tecnica (anzi, la maestria) che ne era alla base. Proprio per questo, come per tutti i grandi registi, l'esame dei suoi film richiede un'analisi attenta, che sappia andare al di là della superficie per trovarne l'ispirazione più profonda e quasi segreta. Il suo è un cinema che "sfugge", nel senso che non richiede in primo luogo, come spesso succede, una comprensione razionale e un esame logico delle immagini: è, al contrario, un cinema di sensazioni, di emozioni, di sentimenti, cioè di elementi che per loro natura appartengono più alla sfera dell'irrazionale e anche dell'inconscio, e che esigono pertanto, innanzitutto, una libera partecipazione emotiva e un apprezzamento diretto, non mediato dalle logiche della ragione. Naturalmente, questo rende più difficile capire e analizzare i modi con cui Truffaut ha saputo realizzare questo tipo di cinema, o, in altre parole, come è riuscito ad utilizzare per i suoi scopi il linguaggio cinematografico, che è pur sempre fatto di inquadrature, di luci, di colori, di suoni, di movimenti della macchina da presa, di operazioni di montaggio, e così via. 2. L'amore, il cuore dell'opera di Truffaut Non a caso il titolo di questo Dossier contiene quasi un gioco di parole sul termine amore: il cinema di Truffaut è fatto di amore, in tutte le sue possibili accezioni, ed appunto per questo richiede, per essere apprezzato, che lo spettatore vi si avvicini con un atteggiamento che sappia in primo luogo cogliere, come abbiamo appena detto, la portata emotiva delle immagini: quasi come se fosse necessario trattare il film con quello stesso amore con cui è stato concepito. Dapprima spettatore assiduo, poi cinefilo incallito, quindi critico cinematografico impegnato, Truffaut fu infine regista per cui il cinema era la vita stessa. Pochi altri registi hanno avuto un rapporto così intimo, allo stesso tempo totalizzante e quasi devastante, con le loro opere: un'esigenza di vita più ancora che una vocazione o una passione. A questo amore si è accompagnato però un atteggiamento di coinvolgimento con tutte le componenti della realizzazione di un film, a partire dagli attori fino ai collaboratori e, in modo più generale, a tutti coloro che costituiscono il mondo del cinema. Questo è uno degli elementi che fanno di Truffaut un "autore": come vedremo meglio più avanti, i suoi film sono creature, innanzitutto, di se stesso, portano cioè in ogni inquadratura il segno della sua personalità cinematografica, il marchio di uno stile che è proprio di chi realizza, al di là del singolo film, un corpus di opere che, legandosi tra loro e intrecciandosi nel tempo, costituiscono il prodotto significativo di una vita e di una visione del mondo personale. Ma l'amore è, allo stesso tempo, il tema portante, il fuoco centrale, l'ispirazione più intima e autentica dei film di Truffaut. Si tratta di un sentimento che coinvolge tutte le dimensioni, da quella familiare a quella sociale, da quella romantica a quella sessuale. Non è possibile capire la portata sconfinata di questa passione senza menzionare, almeno fugacemente, alcuni fatti salienti della sua vita. Truffaut, figlio illegittimo, e non voluto, viene dato in balia appena nato, e solo dopo un paio d'anni viene riconosciuto dall'uomo che sposa sua madre, e che gli dà così il suo nome. Ma la breve convivenza con la madre e il patrigno, per i quali rappresenta un peso più che una gioia, è presto seguita dall'intervento di una zia, che lo crescerà per una decina d'anni, regalandogli, cosa più importante di tutto, la passione per la letteratura, che fa del bambino un lettore-divoratore di libri. Questi scarni fatti hanno avuto un peso decisivo per tutta la vita di Truffaut, come uomo e come cineasta, e ne spiegano almeno in parte il desiderio insoddisfatto di una figura materna accogliente e sensibile, la ricerca di una figura paterna stabile e autorevole, il senso di colpa e la sofferenza per essere nato nelle circostanze sbagliate, e insieme il bisogno di relazioni affettive forti e durature. Ad un'infanzia segnata da questi sentimenti di perdita se non di abbandono segue un'adolescenza altrettanto difficile e dolorosa: allievo indisciplinato e insofferente, lascia presto la scuola e cerca di sopravvivere con lavoretti e qualche occasionale furtarello, nel frattempo riempiendosi la vita di cinema: a sedici anni fonda con un amico un club/cineforum, per socializzare quella che è già diventata una specie di ossessione. Ma un nuovo piccolo furto porta i genitori stessi a denunciarlo alla polizia, con la conseguente reclusione in un riformatorio, da cui uscirà grazie all'intervento di uno dei più famosi ed apprezzati critici cinematografici dell'epoca, André Bazin. Bazin lo accoglie in casa sua, gli fornisce i mezzi di sostentamento, riesce anche ad ottenere l'affido (visto che i genitori rinunciano volentieri alla patria potestà), e diventa per lui quel padre che gli è sempre mancato, introducendolo nel contempo nell'ambiente cinematografico parigino, già in forte fermento alla fine degli anni '40. Truffaut è però una "testa calda" (è uno specialista nel "farne di cotte e di crude", o, in francese, "faire les quatre cent coups" ...) e, in seguito ad una delusione amorosa, decide di arruolarsi nell'esercito: decisione quanto mai infausta, perchè il giovane non sopporta la disciplina, diserta, viene imprigionato, finchè, ancora una volta, l'intervento di Bazin riesce a farlo tornare libero. Sotto l'egida di Bazin, Truffaut passa i primi anni cinquanta ad affinare le sue armi come critico cinematografico: armi taglienti, spesso violente e persino arroganti, con cui esprime il suo amore per il cinema ma nel contempo la sua svalutazione, diciamo pure il suo disprezzo, per il cinema "di papà", come a volte veniva chiamato il cinema popolare francese dell'epoca, fatto spesso di adattamenti da opere letterarie e di sceneggiature abili ma scontate. La voglia di rinnovamento e di sperimentazione è alla base di questa attività critica, che lo porta a crearsi un circolo di amicizie con altri futuri registi, come Rohmer, Resnais, Chabrol, Rivette, Godard, e tanti altri, che già prefigura l'imminente nouvelle vague. 3. L'importanza del fattore autobiografico |
Of the 25 films directed by François Truffaut
during his short life (1932-1984), only a few have remained permanently
in the public's memory: among these, the first and most famous, The Four
Hundred Blows, and a few others like The Last Metro and The
Woman Next
Door. Yet, it is unanimously recognized that the figure of Truffaut is
by now a stable part of the history of cinema, and his name is always
cited among the founders of the French new wave that revolutionized
cinema between the end of the '50s and the beginning of the '60s of
the last century. Truffaut's films are still seen today with pleasure, even as pure entertainment films, and their lightness, ease, charm are generally underlined ... despite the fact that many of them stage passions, as well as violent and intriguing themes. In part this is due, as we will see, to the fact that Truffaut knew how to stage feelings and passions with an elegance, both moral and aesthetic, which was never perceived as a burden, since he always worked hard to make his images understandable and appreciable by a vast audience, with the effort and perfectionism with which they were made never being minimally perceived by the spectators. Like Lubitsch for comedy or Hitchcock for thrillers (authors whom Truffaut, not surprisingly, loved unconditionally), Truffaut also possessed that rare virtue of creating fascinating images by hiding or dissimulating the technique (indeed, the mastery) that underlay them. Precisely for this reason, as with all great directors, examining his films requires careful analysis, which invites us to go beyond the surface to find his deepest and almost secret inspiration. Truffaut's cinema does not require in the first place, as often happens, a rational understanding and a logical examination of images: it is, on the contrary, a cinema of sensations, of emotions, of feelings, that is of elements which by their nature belong more to the sphere of the irrational and also tof the unconscious, and which therefore require, above all, a free emotional participation and a direct appreciation, not mediated by the logic of reason. Naturally, this makes it more difficult to understand and analyze the ways in which Truffaut has been able to make this type of cinema, or, in other words, how he has managed to use tilm language for his purposes, a language which is still made up of shots, lights, colours, sounds, camera movements, editing operations, and so on. 2. Love, the heart of Truffaut's work It is no coincidence that the title of this Dossier almost contains a pun on the term love: Truffaut's cinema is made of love, in all its possible meanings, and precisely for this reason it requires, in order to be appreciated, that the spectator approaches it with an attitude that is able first of all to grasp, as we have just said, the emotional range of the images: almost as if it were necessary to treat the film with the same love with which it was conceived. At first an assiduous spectator, then an inveterate cinephile, then a committed film critic, Truffaut was finally a director for whom cinema was life itself. Few other directors have had such an intimate relationship, at the same time all-encompassing and almost devastating, with their works: a life need even more than a vocation or a passion. However, this love was accompanied by an attitude of involvement with all the components of filmmaking, from the actors to the collaborators and, more generally, to all those who make up the world of cinema. This is one of the elements that make Truffaut an "author": as we will see later on, his films are first and foremost creatures of himself, that is, they bear in every shot the sign of his cinematic personality, the stamp of a style that belongs to those who make, beyond the single film, a corpus of works which, by binding and intertwining over time, constitute the significant product of a life and a personal vision of the world. But love is, at the same time, the main theme, the central focus, the most intimate and authentic inspiration of Truffaut's films. It is a feeling that involves all dimensions, from family to social, from romantic to sexual. It is not possible to understand the boundless scope of this passion without mentioning, at least briefly, some salient facts of his life. Truffaut, an illegitimate and unwanted child, was put out to nurse, and only after a couple of years was he recognized by the man who married his mother, and who thus gave him his name. But the brief coexistence with his mother and stepfather, for whom he represents a burden rather than a joy, is soon followed by the intervention of an aunt, who will raise him for about ten years, giving him, most important of all, the passion for literature, which makes the child a reader-devourer of books. These meager facts had a decisive weight throughout Truffaut's life, as a man and as a filmmaker, and they explain at least in part his unsatisfied desire for a welcoming and sensitive maternal figure, his search for a stable and authoritative father figure, the sense of guilt and suffering for being born in the wrong circumstances, together with the need for strong and lasting emotional relationships. A childhood marked by these feelings of loss if not abandonment is followed by an equally difficult and painful adolescence: an undisciplined and impatient pupil, he leaves school early and tries to survive with odd jobs and the occasional petty theft, meanwhile filling his life with cinema : at the age of sixteen he founds a club/cineforum with a friend, to socialize what has already become a kind of obsession. But a new petty theft leads the parents themselves to report him to the police, with the consequent imprisonment in a reform school, from which he will emerge thanks to the intervention of one of the most famous and appreciated film critics of the time, André Bazin. Bazin welcomes him into his home, provides him with the means of support, also manages to obtain foster care (since the parents willingly renounce parental authority), and becomes for him the father he has always lacked, introducing him at the same time into the Parisian cinematic environment, already in strong turmoil at the end of the 1940s. However, Truffaut is a "hot head" (he is a specialist in "making it hot and cold", or, in French, "faire les quatre cent coups" ...) and, following a love disappointment, decides to enlist in the army: a very unfortunate decision, because the young man cannot stand the discipline, deserts, is imprisoned, until, once again, Bazin's intervention manages to free him. Under the aegis of Bazin, Truffaut spent the early '50s honing his weapons as a film critic: sharp, often violent and even arrogant weapons, with which he expressed his love for cinema but at the same time his devaluation, even his contempt for "daddy's" cinema, as popular French cinema of the time was sometimes called, often made up of adaptations of literary works and skilful but predictable screenplays. The desire for renewal and experimentation is at the basis of this critical activity, which leads him to create a circle of friendships with other future directors, such as Rohmer, Resnais, Chabrol, Rivette, Godard, and many others, which already were already foreshadowing the imminent new wave. 3. The importance of the autobiographical factor |
"Io faccio dei film per
realizzare i miei sogni di adolescente, per farmi del bene e, se
possibile, per fare del bene agli altri" François Truffaut |
"I make films to make my adolescent dreams
come true, to do myself some good, and, if possible, to do others some
good" François Truffaut |
Durante la vita di Truffaut, così come l'abbiamo sommariamente
descritta, tre momenti hanno avuto una risonanza particolare: la
scoperta, nel 1943, del suo stato di figlio illegittimo (cosa che tenne
sempre segreta); la crisi in concomitanza con la sua improvvisa
celebrità e il suo matrimonio "borghese" nel 1959; e
una nuova delusione amorosa, quella del suo
rapporto con Catherine Deneuve, che nel 1969 lo porterà ad una grave
crisi depressiva. Queste tre esperienze emergono come la punta
dell'iceberg costituito dall'insieme dei fatti biografici che hanno
influenzato profondamente i suoi film. Tuttavia, la questione dell'importanza della biografia nell'opera di Truffaut non può essere liquidata semplicemente riconoscendo dei riferimenti diretti e specifici alla sua vita in tutto il suo cinema. Truffaut stesso ci teneva molto che questo non accadesse, e con ciò intendeva indicare il modo indiretto, allusivo, metaforico con cui le sue esperienze si traducevano in situazioni, immagini, personaggi dei suoi film. In altre parole, l'ispirazione biografica appartiene a quella sfera di sentimenti ed emozioni profonde, anche inconsce, che hanno sempre condizionato Truffaut nel suo lavoro, come ispirazione continua ma a volte persino inconsapevole: una rete di riferimenti intertestuali, di corrispondenze, di rimandi a cui si deve in gran parte la continuità e la coerenza della sua intera opera come autore. Ciononostante, ciò che rende unico l'elemento autobiografico come fonte di ispirazione di Truffaut è il suo sforzo, deliberato, consapevole, di nascondere proprio questa ispirazione, mentre allo stesso tempo, a chi cerca di sondare i suoi film al di là della superficie più visibile, compaiono continuamente dei riferimenti: nasce così una doppia interpretazione, una, concreta e codificata, che presenta realisticamente una logica narrativa "classica" (ad esempio, una storia d'amore, o la maturazione di un personaggio, o un intrigo poliziesco); e una più intima, fantastica, con cui l'uomo-regista proietta la sua esperienza, facendone l'oggetto, nel contempo, della sua creazione. E' questa seconda dimensione, autobiografica ma spesso inconsapevole, che, una volta espressa col linguaggio del cinema, traduce un'esperienza individuale, personale, privata, in qualcosa di profondamente universale perchè radicato nella struttura stessa dell'essere umano. 3.1. Le prime età della vita La prima e forse più profonda ed autentica fonte di ispirazione sono stati gli anni dell'infanzia e dell'adolescenza, che, come abbiamo visto, hanno segnato profondamente la formazione di Truffaut come uomo, ma insieme anche come cineasta. Ai bambini e agli adolescenti, colti nelle qualità che sono loro connaturate, dalla spensieratezza alla sofferenza, dall'amore/odio per gli adulti alla sensazione di solitudine, dalla freschezza alla crudeltà, dai turbamenti alle esplosioni di gioia, Truffaut ha dedicato, come vedremo, interi film (si veda Il ragazzo selvaggio e Gli anni in tasca nella Seconda parte), oltre al suo primo lungometraggio, e probabilmente il suo capolavoro, I quattrocento colpi (analizzato nella Terza parte), e innumerevoli riferimenti e rimandi all'interno di molti dei suoi film - il tutto vissuto con rispetto e nostalgia. 3.2. La figura materna, la figura paterna e i loro surrogati Come si è detto, il rapporto di Truffaut con la madre è sempre stato conflittuale e ambivalente: sognata nella sua bellezza, desiderata come affascinante ma distante, anzi, inaccessibile, persa per sempre e sempre ricercata, la madre, e l'origine stessa della sua esistenza, sono rimaste il "segreto" che ha ossessionato il bambino, l'adolescente, l'uomo e il cineasta per tutta la vita - una figura, o meglio l'emozione insita nella figura, che emerge e riemerge fino ai suoi ultimi film. E non è azzardato proporre l'ipotesi che solo attraverso il cinema Truffaut sia riuscito ad elaborare ed organizzare questi lati oscuri e nascosti della sua esistenza, che, cioè, la creazione cinematografica sia stata per lui l'occasione di trovare risposte alle domande segrete che il (non-)rapporto con la madre ha suscitato in lui per tutta la vita. Speculare e complementare a questo rapporto con la madre è il rapporto di Truffaut con la figura paterna, anche questa ricercata ma mai trovata in ambito familiare. E ancora una volta, sarà il cinema a salvarlo: la famiglia ideale, che realizza in modo vicario le sue aspirazioni più profonde, la trova frequentando l'ambiente cinematografico (parigino, ma non solo) degli anni '40 e '50: Truffaut sostituisce così un padre biologico sconosciuto o negato con figure che provocano la sua ammirazione, a volte qualcosa di simile alla venerazione. Innanzitutto, come si è detto, André Bazin, ma poi altri "padri" illustri, da Rossellini a Hitchcock, da Renoir a Cocteau - e i rapporti familiari si fanno anche intimi con i "fratelli" compagni delle nuove avventure filmiche che incontra alla Cinemathèque, nei cineclub, e poi nelle riviste, come i Cahiers du Cinéma, che segneranno la nascita e i primi sviluppi della nouvelle vague: da Rivette a Chabrol, da Godard a Rohmer. Il cinema dunque come famiglia, come luogo non solo "virtuale" ma "fisico", fatto di persone, di luoghi, di cose, e così ben descritto in Effetto notte. 3.3. I "triangoli amorosi" e la trasgressione Anticipando quanto diremo sull'"amore" come concetto cruciale nel cinema di Truffaut, teniamo presente già sin d'ora un'altra componente autobiografica, i rapporti con le donne (ed in particolare con le attrici dei suoi film) che abbiamo visto essere così centrali, ma anche così turbolenti e perturbanti, nella vita del regista. Ci sono innanzitutto i "triangoli amorosi", come l'amore idillico tra due uomini e una donna, in Jules e Jim, o, inversamente, tra due donne e un uomo, in Le due inglesi (si veda la Quarta parte). E poi i problemi del rapporto d'amore, compresa l'infedeltà, in Non drammatizziamo ... E' solo questione di corna (orrendo e imbarazzante titolo italiano, in originale "Domicilio coniugale") o in La calda amante. Analizzando ed esplorando i rapporti di coppie piccolo-borghesi, soggette dunque a tutti quei condizionamenti socio-culturali che ben conosceva come parte del suo mondo, Truffaut si trova spesso a mettere in scena delle trasgressioni, unite al sentimento ad esse quasi connaturato, quel "senso di colpa" che uno dei suoi maestri, Hitchcock, aveva così ben tratteggiato in tanti suoi film; fino a raggiungere la fiamma della passione quasi in forma di melodramma in La signora della porta accanto (analizzato nella Quarta parte) dove il tema romantico del "né con te né senza di te" aleggia su un amore tanto appassionato quanto distruttivo. 4. L'amore per il cinema |
During Truffaut's life, as we have briefly described it, three moments
had a particular resonance: the discovery, in 1943, of his status as an
illegitimate child (something he always kept secret); the crisis in
conjunction with his sudden celebrity and his "bourgeois" marriage in
1959; and a new love disappointment, that of his relationship with
Catherine Deneuve, which in 1969 will lead him to a serious depressive
crisis. These three experiences emerge as the tip of the iceberg made up
of all the biographical facts that have profoundly influenced his films. However, the question of the importance of biography in Truffaut's work cannot be dismissed simply by recognizing direct and specific references to his life throughout his cinema. Truffaut himself was very keen not to make this happen, and with this he meant the indirect, allusive, metaphorical way in which his experiences were translated into situations, images, characters in his films. In other words, biographical inspiration belongs to that sphere of deep, even unconscious, feelings and emotions, which have always conditioned Truffaut in his work, as a continuous but sometimes even unconscious inspiration: a network of intertextual references, correspondences, cross-references to which we largely owe the continuity and coherence of his entire work as an author. Nonetheless, what makes the autobiographical element unique as a source of inspiration for Truffaut is his deliberate, conscious effort to hide this very inspiration, while at the same time, such references continually appear to those who try to probe his films beyond the visible surface: this lead sot a possible double interpretation, one, concrete and codified, which realistically presents a "classic" narrative logic (for example, a love story, or the maturation of a character, or a thriller intrigue); and a more intimate, fantastic one, with which the man-director projects his experience, making it the object, at the same time, of his creation. It is this second dimension, autobiographical but often unaware, which, once expressed in the language of cinema, translates an individual, personal, private experience into something profoundly universal because it is rooted in the very structure of the human being. 3.1. The first ages of life The first and perhaps the most profound and authentic source of inspiration were his childhood and adolescence years, which, as we have seen, profoundly marked Truffaut's formation as a man, but also as a filmmaker. As we will see, Truffaut dedicated full films to children and adolescents, captured in the qualities that are innate to them, from light-heartedness to suffering, from love/hate for adults to the feeling of loneliness, from freshness to cruelty, from disturbances to explosions of joy: one needs only quote The Wild Child and Small Change (see Part 2 of this Dossier), as well as his first feature film, and probably his masterpiece, The Four Hundred Blows (analyzed in Part 3), and countless references and cross-references within many of his films - with respect and nostalgia being the basic emotions. 3.2. The mother figure, the father figure and their surrogates As we said, Truffaut's relationship with his mother has always been conflictual and ambivalent: dreamed of in her beauty, desired as fascinating but distant, indeed, inaccessible, lost forever and always sought after, the mother, and the very origin of the existence, have remained the "secret" that has haunted the child, the adolescent, the man and the filmmaker throughout his life - a figure, or rather the emotion inherent in the figure, which emerges and re-emerges until his last movie. And it is not risky to propose the hypothesis that only through cinema did Truffaut manage to elaborate and organize these dark and hidden sides of his existence, that is, that cinematographic creation was an opportunity for him to find answers to the secret questions that the (non-) relationship with the mother aroused in him throughout his life. Mirroring and complementary to this relationship with the mother is Truffaut's relationship with the father figure, also sought after but never found in the family environment. And once again, cinema will save him: he finds the ideal family, which vicariously realizes his deepest aspirations, by socializing with the (Parisian, but not only) cinema environment of the 1940s and 1950s: thus Truffaut replaces an unknown or denied biological father with figures that stir his admiration, sometimes something akin to veneration. First of all, as has been said, André Bazin, but then other illustrious "fathers", from Rossellini to Hitchcock, from Renoir to Cocteau - and family relationships also become intimate with his "brothers" - his companions of the new film adventures he meets at the Cinemathèque, in cineclubs, and then in magazines, such as the Cahiers du Cinéma, which would mark the birth and first developments of the nouvelle vague: from Rivette to Chabrol, from Godard to Rohmer. Cinema therefore as a family, as a place that is not only "virtual" but "physical", made up of people, places, things, and so well described in Day for Night. 3.3. The "love triangles" and transgression Anticipating what we will say about "love" as a crucial concept in Truffaut's cinema, let us already keep in mind another autobiographical component, his relationships with women (and in particular with the actresses of his films), who were so central, but also so turbulent and disturbing, in the director's life. First of all, there are the "love triangles", such as the idyllic love between two men and a woman, in Jules and Jim, or, conversely, between two women and a man, in Two English Girls (see Part 4). And then the problems of the love relationship, including infidelity, in Bed and Board or in The Soft Skin. Analyzing and exploring the relationships of petit-bourgeois couples, therefore subject to all those socio-cultural conditionings that he knew well as part of his world, Truffaut often finds himself staging transgressions, combined with the feeling almost inherent to them, that " sense of guilt" that one of his masters, Hitchcock, had portrayed so well in so many of his films; until you reach the flame of passion almost in the form of melodrama in The Woman Next Door (analyzed in Part 4) where the romantic theme of "neither with you nor without you" hovers over a love as passionate as it is destructive. 4. Love for cinema |
"Se il cinema finisse, io sarei
spacciato. Non potrei fare niente, sarei come un infermo. La mia è una
specializzazione pura, non ho mai la sensazione di stare al cinema per
caso ... La gente può amare o non amare i miei film, ma non può
contestare il fatto che io sia un cineasta. Voglio dire, insomma, che
non c'è stata impostura da parte mia, non mi sono sbagliato sulla mia
vocazione" François Truffaut |
"If cinema ended, I'd be doomed. I couldn't do
anything, I'd be like a sick person. Mine is a pure specialization, I never
have the feeling that I'm at the cinema by accident ... People may or
may not like my films, but they can't dispute the fact that I'm a
filmmaker. I mean, in short, that there was no imposture on my part, I
was not wrong about my vocation" Francois Truffaut |
Diventato cruciale sin dagli anni della sua infanzia, il cinema per
Truffaut è stato per tutta la vita interesse, passione, motivazione,
vocazione, missione ... tutto ciò che può essere importante nella vita
di un uomo e la sola cosa che dia significato e giustifichi l'esistenza
stessa. Abbiamo visto come il cinema sia stato la sua àncora di salvezza
in un'adolescenza difficile e tormentata, che solo grazie al cinema si è
potuta evolvere su binari positivi: "Non sarebbe un'esagerazione dire che il cinema mi ha salvato la vita. Per questo non posso parlarne intellettualmente. Mi è venuto in mente di usare la parola 'droga' a questo proposito, prima che la parola diventasse di moda" (Nota 1). Non solo, ma come vedremo presto, questo amore per il cinema è alla base della sua stessa concezione di "cinema", di ciò che intendeva realizzare con i suoi film e di come intendeva realizzarli. Effetto notte (1973) La vita stessa per Truffaut era come un set cinematografico, più reale della realtà stessa: cinema dunque non solo come luogo mentale, ma anche, e soprattutto, come luogo reale, con i personaggi (e gli attori che li interpretano) che diventano persone reali. In Effetto notte, ambientato proprio sul set di un film, Truffaut non compie, come molti registi che hanno firmato film "sui film", un'operazione di "riflessione", un distaccamento dalla realtà per esplorarla e spiegarla criticamente, ma "vive", in quanto attore che interpreta il regista, una versione alternativa, quasi magica, della vita stessa. "Ho sempre preferito il riflesso della vita alla vita stessa ... se mi venisse chiesto quali sono i luoghi che più ho amato nella mia vita, risponderei la campagna in Aurora di Murnau o la città dello stesso film, ma non citerei un solo posto che ho realmente visitato ...". Effetto notte si apre con la visione di una scena di vita urbana (si veda il Video 1 qui sotto): una piazza di Parigi, con il traffico, la gente che va e viene, una stazione della metropolitana ... seguiamo un personaggio che, arrivato di fronte ad un altro, lo schiaffeggia. Questo momento drammatico è immediatamente interrotto da una voce fuori campo che urla; "Stop!". E' allora che ci rendiamo conto di aver assistito alle riprese di un film. Infatti, subito dopo, vediamo animarsi il set del film: la voce del regista che dà indicazioni, le ragazze addette al controllo della sceneggiatura, i truccatori ... e una voce fuori campo, quella di un reporter, ci avverte che stiamo assistendo alle prime riprese di un film ... di cui vengono intervistati alcuni attori che parlano del loro ruolo nel film. Le riprese riprendono dall'inizio: questa volta però sentiamo la voce del regista che man mano fornisce indicazioni sia agli attori che ai tecnici su come desidera che sia realizzata questa nuova ripresa. Come abbiamo preannunciato, Effetto notte è considerato uno dei film che più chiaramente e apertamente mostrano il "dietro le quinte" della realizzazione di un film (sui "film nei film" si veda su questo sito il Dossier "I film sul cinema: uno sguardo "dall'interno" sul mondo del cinema"): in questo caso, il film in fase di produzione è "Vi presento Pamela", un dramma-thriller "all'americana". Stiamo dunque per assistere ad un doppio "svelamento": le riprese del "film nel film" e le riprese del vero e proprio film (Effetto notte: il titolo fa riferimento ad una tecnica che consente di girare una scena notturna durante il giorno: "la notte americana", come suggerisce il titolo francese, o "il giorno per la notte", come dice il titolo inglese). Vedremo dunque le mille difficoltà che si presentano e come vengono superate, i dispositivi per realizzare gli effetti speciali (come la finta "neve"), l'organizzazione del set con le varie figure professionali coinvolte ... ma soprattutto, saremo testimoni delle peripezie "esistenziali" che incontrano sia i personaggi del "film nel film", sia gli attori/attrici che li interpretano, con i loro rapporti complessi, i loro drammi, le loro idiosincrasie, lo scontro dei caratteri e come tutto ciò influenzi le riprese e la vita stessa che si dipana sul set. E a sovrintendere, dirigere, coordinare, appianare i drammi, le noie, il panico (ma anche la magia) di tutto questo c'è ovviamente il regista (interpretato dallo stesso Truffaut), che compare spesso sia come presenza fisica, sia come "voce narrante" fuori campo (un espediente che compare spesso nei film di Truffaut). E' chiaro sin dall'inizio come tutto il film sia, innanzitutto, una dichiarazione d'amore del regista per il cinema, la sua assoluta dedizione a ciò che è ben più di un lavoro o una professione, ma la ragione stessa di vivere e di amare. Ed è Truffaut stesso, con la sua voce "off" a descriverci nel dettaglio le gioie e i dolori di questa figura centrale (si veda il Video 3): "La lavorazione di un film somiglia al percorso di una diligenza del Far West: all'inizio uno spera di fare un bel viaggio, poi comincia a domandarsi se arriverà a destinazione" ... Girato quasi a metà della sua relativamente breve carriera, con alcuni successi alle spalle ma anche con diversi recenti fallimenti, sia commerciali che di accoglienza critica, con Effetto notte Truffaut realizza una specie di "bilancio provvisorio", una sintesi di quanto fino a qul momento realizzato, ora che padroneggia da maestro sia la tecnica che la poetica del suo cinema. E lo fa con un film corale, "polifonico", popolato da tante figure (dagli attori ai tecnici) che costituiscono il cuore dell'esperienza cinematografica, e che Truffaut tratta con grande rispetto e partecipazione: il "regista" è una tra queste numerose figure, quello che però, prima di ogni altra, ha il compito di mediare tra la vita reale (aperta ad ogni eventualità) e la vita del set (protetta dalle influenze esterne dal luogo fisico che è lo studio di produzione), tra la realtà e la finzione. E in questo senso il regista assume su di sè persino il ruolo di "figura paterna amorevole", quella immagine di padre che tanto è mancata nella sua vita. Effetto notte è dunque anche uno dei film più autobiografici di Truffaut, e non poteva essere altrimenti, trattandosi di un film sul cinema, cioè sull'amore di una vita - ma. come in tutti i suoi film, i riferimenti, le citazioni, i ricordi sono accuratamente "intessuti" nella sceneggiatura, tanto che sono visibili e comprensibili solo a chi conosca bene, non solo la biografia di Truffaut, ma anche la storia del cinema e gli stessi suoi film. Il film è dedicato alle sorelle (Lilian e Dorothy) Gish, due grandi attrici del cinema muto americano; i registi "classici" americani sono omaggiati quando uno dei personaggi chiede ad un altro, "Do you have stage fright?" ("Hai paura del palcoscenico?, titolo di un famoso film di Hitchcock, USA 1950), quando si cita una famosa battuta da Fermata d'autobus (di Joshua Logan, USA 1956), noto film con Marilyn Monroe: "Lei ha conosciuto molti uomini, io ho conosciuto poche donne ...", e quando, in un sogno del regista, un bambino ruba nell'ingresso di un cinema delle fotografie da Quarto potere di Orson Welles (USA 1941). Così l'attrice psicologicamente fragile che ha sposato il proprio medico è un chiaro riferimento a Audrey Hepburn, l'attrice italiana Valentina Cortese parla di Federico Fellini, e in un camerino compare il nome di Jean Cocteau. E poi, ancora, il regista/Truffaut estrae da un pacco dei libri i cui titoli sono tutti nomi di registi "numi tutelari" di Truffaut stesso: Bunuel, Lubitsch, Godard, Bergman, Bresson, Hawks ... Ma Effetto notte è anche una specie di elegia funebre nei confronti del cinema classico (soprattutto americano) che Truffaut ha tanto amato, e che ormai, con l'affermarsi della "New Hollywood", il crollo dello studio system e i primi blockbuster, stava definitivamente tramontando. Il film nel film, "Vi presento Pamela" è la quintessenza del tipico film americano "che scorre come un treno" (parole di Truffaut stesso), un tipo di film che, affidandosi ad una produzione industriale ormai codificata da decenni, "fabbrica i sogni" nascondendo accuratamente i meccanismi attraverso cui realizza sullo schermo quei sogni: in un certo senso, tutto il contrario del cinema teorizzato e poi realizzato dalla nouvelle vague francese e dai tanti movimenti più o meno coevi, ma verso il quale Truffaut ha un doppio rapporto: da una parte, ne comprende i limiti e ne rifiuta l'artificiosità, dall'altra parte ne ha nostalgia e rimpianto - soprattutto di quei maestri, come Hitchcock, Welles e i tanti altri che abbiamo citato nel paragrafo precedente - ed anche perchè quel cinema è stato il cinema della sua infanzia e della sua formazione come uomo e come regista. E verso la fine, la voce fuori campo del regista/Truffaut dice: "Un intero periodo del cinema sta per sparire ... gli studios vengono abbandonati; i film vengono girati nelle strade senza una star e senza una sceneggiatura. Non ci saranno più film come Vi presento Pamela". Effetto notte risollevò almeno in parte le sorti di Truffaut, sia come successo commerciale, e, ancor più, come vincitore dell'Oscar come Miglior Film Straniero. |
Having become crucial since his childhood
years, cinema for Truffaut has been throughout his life interest,
passion, motivation, vocation, mission ... everything that can be
important in a man's life and the only thing that gives meaning and
justifies its existence. We have seen how cinema was his lifeline in a
difficult and tormented adolescence, which was able to evolve on
positive tracks only thanks to cinema: "It would hardly be an exaggeration to say that cinema saved my life. That's the reason why I can't talk about it intellectually. It occurred to me to use the word 'drug' in this regard, before the word became fashionable" (Note 1) Not only that, but as we will soon see, this love of cinema underpins his very conception of "cinema," what he intended to accomplish with his films, and how he intended to make them. Day for night (1973) Life itself for Truffaut was like a film set, more real than reality itself: cinema therefore not only as a mental place, but also, and above all, as a real place, with the characters (and the actors who play them) who become real people. In Day for Night, filmed on the set of a film being shot, Truffaut does not carry out, like many directors who have signed films "about films", an operation of "reflection", a detachment from reality to explore and explain it critically, but "lives" , as an actor playing the director, an alternative, almost magical version of life itself. "I have always preferred the reflection of life to life itself ... if I were asked which places I have loved most in my life, I would answer the countryside in Murnau Aurora or the city of the same film, but I would not mention a single place that I actually visited ...". Day for night opens with the vision of a scene of urban life (see Video 2 below): a square in Paris, with traffic, people coming and going, a metro station ... we follow a character who, when he arrives in front of another one, slaps him. This dramatic moment is immediately interrupted by a voiceover shouting: "Stop!". It is then that we realize that we have witnessed the shooting of a film. As a matter of fact, immediately later, we see the film set come to life: the director's voice giving directions, the girls in charge of checking the script, the make-up artists ... and a voiceover, that of a reporter, warns us that we are witnessing the first shooting of a film ... in which some actors are interviewed who talk about their role in the film. Filming resumes from the beginning: this time, however, we hear the voice of the director who gradually provides indications both to the actors and to the technicians on how he wants this new shooting to be carried out. Day for night is considered one of the films that most clearly and openly show the "behind the scenes" of the making of a film (on "films about films" see the Dossier "Movies about the movies: insiders' looks at the world of cinema"): in this case, the film in production is "Meet Pamela", an American-style thriller-drama. We are therefore about to witness a double "unveiling": the shooting of the "film within the film" and the shooting of the actual film (Day for night: the title refers to a technique that allows filmmakers to shoot a night scene during the day: "the American night ", as the French title suggests). And to supervise, direct, coordinate, smooth out the dramas, the boredom, the panic (but also the magic) of the shooting there is obviously the director (played by Truffaut himself), who often appears both as a physical presence and as a "voice" narrator "off screen." And it is therefore Truffaut himself who describes in detail the joys and sorrows of this central figure (see Video 4): "The making of a film resembles the journey of a Far West stagecoach: at the beginning one hopes to have a nice trip, then begins to wonder if he will arrive at his destination "... Filmed almost in the middle of his relatively short career, with some successes behind him but also with several recent failures, both commercial and critical, with Day for Night Truffaut creates a kind of "provisional balance", a synthesis of what he has accomplished up to that moment, now that he masters both the technique and the poetics of his cinema. And he does so with a choral, "polyphonic" film populated by many figures (from actors to technicians) who form the heart of the cinematographic experience, and whom Truffaut treats with great respect and participation: the "director" is one of these many figures, the one which, however, before any other, has the task of mediating between real life (open to any eventuality) and the life of the set (protected from external influences by the physical place that is the production studio), between treality and fiction. And in this sense, the director even assumes the role of "loving father figure", that image of the father who has been so lacking in his life. Day for Night is therefore also one of Truffaut's most autobiographical films, and it could not be otherwise, since it is a film about cinema, that is about the love of a lifetime - but. as in all his films, the references, quotations, memories are carefully "woven" into the screenplay, so much so that they are visible and understandable only to those who know well, not only Truffaut's biography, but also the history of cinema and of his films. The film is dedicated to the sisters (Lilian and Dorothy) Gish, two great actresses of American silent cinema; "classic" American filmmakers are honored when one character asks another, "Do you have stage fright?" (Stage fright being the title of a famous film by Hitchcock, USA 1950); a famous line from Bus Stop (by Joshua Logan, USA 1956), a well-known film with Marilyn Monroe, is quoted: "You have met many men, I have met few women ..."; and when, in the director's dream, a child steals photographs from Citizen Kane by Orson Welles (USA 1941) in the entrance of a cinema, the fact really beongs to Truffaut's life as a teenager. Thus the psychologically fragile actress who marries her doctor is a clear reference to Audrey Hepburn, the Italian actress Valentina Cortese talks about Federico Fellini, and the name of Jean Cocteau appears in a dressing room. And then, again, the director/Truffaut handles some books whose titles are all names of directors ("tutelary deities") of Truffaut himself: Bunuel, Lubitsch, Godard, Bergman, Bresson, Hawks ... But Day for Night is also a kind of funeral elegy for classic (especially American) cinema that Truffaut loved so much, and which by now, with the emergence of the "New Hollywood", the collapse of the studio system and the first blockbusters, was definitively coming to an end. The film within the film, "Meet Pamela", is the quintessence of the typical American film "that runs like a train" (Truffaut's words), a type of film which, relying on an industrial production that has been codified for decades, "makes dreams" by carefully hiding the mechanisms through which those dreams are realized on the screen: in a certain sense, the complete opposite of the cinema theorized and then realized by the French new wave and by the many more or less contemporary movements, but towards which Truffaut has an ambivalent relationship: on the one hand, he understands its limits and rejects its artificiality, on the other hand he misses and regrets it - especially for those masters, such as Hitchcock, Welles and the many others we mentioned in the previous paragraph - and also because that cinema was the cinema of his childhood and of his formation as a man and as a director. And towards the end, the director/Truffaut's voice-over says: "A whole period of cinema is going to disappear ... studios are being abandoned; films are being made in the streets without a star and without a screenplay. There will be no more films like Meet Pamela". Day for Night at least partially lifted Truffaut's fortunes, both as a commercial success and, even more so, as an Oscar winner for Best Foreign Language Film. |
Video 1 - Versione originale francese con sottotitoli italiani Video 2 - Original French version with English subtitles |
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Video 3 - Italiano Video 4 - Original French version with English subtitles Effetto notte/La nuit américaine/Day for night (1973) Il film completo, in originale con sottotitoli, è disponibile qui/The full film, in the original version with subtitles, is available here. |
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5. Il cinema dell'amore Questo amore per il cinema si è riversato sull'oggetto stesso della sua attività, cioè i personaggi, le storie, e insieme le immagini e le figure con cui vengono tradotti in un film. Abbiamo già citato l'amore con cui Truffaut dipinge l'infanzia e l'adolescenza, ma sono le figure femminili, con la costante, seppure inconscia, presenza della figura materna tanto ricercata quanto impossibile da afferrare, ad attrarre la sua attenzione e a catalizzare le sue scelte come cineasta. I suoi film sono pieni di personaggi maschili, ma sono quasi sempre persone fragili, in balia dei sentimenti come dei ragazzini mai cresciuti, e, soprattutto, soggetti fatalmente al fascino delle donne, fino a diventarne dipendenti. E' rimasta famosa una frase emblematica del protagonista di L'uomo che amava le donne a questo riguardo: "Le gambe delle donne sono dei compassi che misurano il globo terrestre in tutte le direzioni, donandogli il suo equilibrio e la sua armonia". Un'immagine poetica potente, ma, per Truffaut, una dichiarazione di intenti nei confronti del mondo femminile: senza i suoi film le donne non sarebbero esistite, ma senza di loro Truffaut stesso, e il suo cinema, non sarebbero esistiti. "La maggior parte delle donne truffautiane deve moltissimo anche alla spiccata componente femminile del regista, la più sensibile, vulnerabile e ferita, ma anche potentemente fantasiosa, passionale, temeraria, desiderosa di riscatto e straordinariamente capace di mettersi in sintonia con la sofferenza altrui." (Nota 2) L'uomo che amava le donne (1977) Il film si apre e si chiude con un funerale, a cui vediamo partecipare solo donne: è il funerale di Bertrand Morane, e le donne sono tutte quelle che lui ha sedotto e amato lungo il corso della sua vita. La voce narrante di una donna, che osserva e commenta la scena, appartiene, possiamo supporre, alla schiera di queste amanti venute a tributare l'ultimo omaggio a Bertrand. Ben presto a questa voce narrante si sostituisce quella di Bertrand stesso, che ci introduce nel suo mondo: ingegnere, scapolo, solitario, ha questa passione incontenibile, una vera e propria infatuazione, per le donne: tutte le donne, ciascuna delle quali lo colpisce subito per la peculiarità del suo aspetto fisico, del suo portamento, e del mistero che rappresenta. Bertrand ha bisogno di sedurre subito ogni donna su cui poggia lo sguardo: non è alla ricerca di un semplice approccio sessuale, ma neanche di una storia sentimentale o di una relazione stabile. Osserva, ascolta, non ha un ruolo attivo nè tanto meno dominante. La sua vita è scandita solo dal passaggio delle donne che riesce a sedurre (in modi apparentemente semplici ma in realtà frutto di strategie complesse) e che danno senso alla sua esistenza per una notte, una settimana o, al massimo, qualche mese. Bertrand non è particolarmente bello, ma esercita un fascino pressochè immediato sulle donne che "aggancia" nei modi più semplici e fantasiosi. Un incontro fortuito, uno sguardo su un paio di gambe, il fruscio delle calze di seta, anche solo una voce (come quella della segretaria telefonica che lo sveglia ogni mattina) sono sufficienti per mettere in moto il suo incontenibile desiderio. Eppure Bertrand non è certo un maniaco sessuale, non si impegna nè soggioga le sue "conquiste", che lui lascia libere di andare e venire, di vederlo ancora o di lasciarlo: le ama tutte con una semplicità e una libertà quasi infantili, forse perchè, come gli dice una di loro nel lasciarlo definitivamente "non sa amare, nè lasciarsi amare ... è solo innamorato dell'idea dell'amore". E la voce fuori campo di Bertrand, che ci accompagna per mano in questa sarabanda di storie galanti, è, insieme alle immagini costruite come tanti flashback, il tema del film, o addirittura, potremmo dire, il suo senso profondo ed il piacere che ne deriva allo spettatore. Ma, a un certo punto, Bertrand sente il desiderio impellente di narrare per iscritto le sue avventure, e comincia a scrivere non un semplice elenco, nè una storia strutturata, ma un carosello di episodi uniti dal filo sottile quanto fortissimo della sua incontenibile infatuazione (si veda il Video 1 qui sotto). Non dunque delle memorie "alla Casanova" o "alla Don Giovanni", quanto piuttosto il resoconto puntuale, dettagliato, freddo e preciso dei rituali che man mano Bertrand mette in atto per "abbordare" le sue donne. In questa "carrellata" di donne e di rapporti, rivissuti in tanti flashback, trovano posto anche ricordi di infanzia (filmati in bianco e nero), come la sua iniziazione sessuale ad opera di una giovanissima prostituta, ma anche, e soprattutto, i ricordi di una madre amata e odiata allo stesso tempo: una madre che, sorprendendolo per caso a colloquio con una compagna di scuola, fa finta di non vederlo ... come per ignorarlo, dice lui con amarezza. Ed anche una madre che gli impone ferree sedute di lettura, ma che gli consente di leggere cosa e quanto vuole purchè non faccia rumore girando le pagine, mentre lei gli gira attorno seminuda - ma certo non per sedurlo, ma per rimarcare ancora una volta la sua distanza affettiva ... arrivando a trattarlo come messaggero di biglietti segreti per i suoi tanti amanti. La componente autobiografica, sempre presente in Truffaut, è qui evidente, con la figura di questa madre bramata, da cui è affascinato, ma mai dispensatrice di affetto, e per questo, forse, all'origine dell'incontenibile desiderio di Bertrand di possedere non una donna, ma la donna, ossia tutte le donne, con il loro fascino e il loro mistero impenetrabile, ma trattate tutte con un distacco emotivo che è specchio di quello materno. Bertrand scrive così il suo libro, che finisce per essere accettato da una casa editrice. Il titolo da lui scelto ("Lo stallone") viene però cambiato in uno più appropriato: "L'uomo che amava le donne". Ed è a questo punto che il libro si identifica con il film, e Bertrand, la voce narrante che ci ha accompagnato come spettatori per tutto il film, diventa l'autore di una storia che siamo invitati (o meglio. siamo quasi sedotti noi stessi) a seguire. L'amore di Truffaut per i libri, che dalla appassionata lettura coltivata sin dall'infanzia si doveva poi presto tradurre in scrittura, dapprima di recensioni, poi di critiche, poi ancora di sceneggiature fino ad arrivare alla sua vera vocazione, la scrittura registica, trova in questo film, come in molti altri, una chiara evocazione. Nel tentativo di inseguire la sua redattrice, Betrand finisce sotto un'auto. E all'ospedale finirà per morire per lo sforzo di toccare le gambe di un'infermiera ... E così il film si conclude dove era cominciato, al suo funerale (si veda il Video 3), dove capiamo che la donna che all'inizio commentava la scena, e che anche adesso continua a descriverla con la sua voce narrante, è proprio la redattrice di Bertrand ... una delle tante sue donne, certo, ma anche quella che sapeva tutto di lui: "Bertrand ha inseguito un'impossibile felicità nella quantità, nella moltitudine, perchè abbiamo bisogno di cercare in tante persone ciò che la nostra educazione pretende di farci trovare in una sola". E il film termina con i titoli di coda che scorrono sopra le immagini di gambe di donne in cammino, a loro volta sullo sfondo di tante copie del libro di Bertrand. "Il film comunica con lo spettatore a livello intimo, rifuggendo da qualsiasi dichiarazione o affermazione gridata e proponendosi come modello per un cinema che fa a meno del segno dei tempi e si muove attraverso coordinate fortemente individuali, secondo le quali nulla si può dire se non ciò che è prodotto nei più intimi recessi dell'animo." (Nota 3) |
5. The cinema of love This love for cinema has poured into the very object of his activity, i.e. the characters, the stories, and at the same time the images and figures with which they are translated into a film. We have already mentioned the love with which Truffaut paints childhood and adolescence, but it is the female figures, with the constant, albeit unconscious, presence of the mother figure, both sought after and impossible to grasp, that attract his attention and catalyze his choices as a filmmaker. His films are full of male characters, but they are almost always fragile people, at the mercy of feelings like little boys who have never grown up, and, above all, fatally subject to the charm of women, to the point of becoming addicted to them. An emblematic phrase of the protagonist of The Man Who Loved Women has remained famous in this regard: "Women's legs are compasses that measure the globe in all directions, giving it its balance and harmony". A powerful poetic image, but, for Truffaut, a declaration of intent towards the female world: without his films women would not have existed, but without them Truffaut himself, and his cinema, would not have existed. "Most Truffaut's women also owe a great deal to the director's strong female component, the most sensitive, vulnerable and wounded, but also powerfully imaginative, passionate, reckless, eager for redemption and extraordinarily capable of getting in tune with the suffering of others." (Note 2) The Man Who Loved Women (1977) The film opens and closes with a funeral, which only women attend: it is the funeral of Bertrand Morane, and the women are all those whom he has seduced and loved throughout his life. The narrative voice of a woman, who observes and comments on the scene, belongs, we can assume, to the ranks of these lovers who have come to pay their last respects to Bertrand. Soon this narrative voice is replaced by that of Bertrand himself, who introduces us into his world: an engineer, a bachelor, a loner, he has this irrepressible passion, a real infatuation, for women: all women, each of which strikes him immediately due to the peculiarity of her physical appearance, her bearing, and the mystery she represents. Bertrand needs to immediately seduce every woman on whom he rests his gaze: he is not looking for a simple sexual approach, but not even for a sentimental story or a stable relationship. He observes, listens, does not have an active nor dominant role. His life is marked only by the passage of women whom he manages to seduce (in apparently simple ways but in reality the result of complex strategies) and who give meaning to his existence for a night, a week or, at most, a few months. Bertrand isn't particularly handsome, but he exerts an almost immediate fascination on the women he "hooks" in the simplest and most imaginative ways. A chance encounter, a glance at a pair of legs, the rustling of silk stockings, even just a voice (like that of the answering machine that wakes him up every morning) are enough to set in motion his irrepressible desire. Yet Bertrand is certainly not a sexual maniac, he neither commits himself nor subjugates his "conquests", whom he leaves free to come and go, to see him again or to leave him: he loves them all with an almost childish simplicity and freedom, perhaps because, as one of them tells him when she leaves him for good, "he doesn't know how to love, nor let himself be loved ... he is only in love with the idea of love". And Bertrand's off-screen voice, who takes us by the hand in this uproar of gallant stories, is, together with the images constructed like so many flashbacks, the theme of the film, or even, we could say, its profound meaning and the pleasure it brings to the viewer. But, at a certain point, Bertrand feels the urgent desire to narrate his adventures in writing, and begins to write not a simple list, nor a structured story, but a carousel of episodes united by the thin but very strong thread of his irrepressible infatuation (see Video 1 below). Not therefore memoirs "à la Casanova" or "à la Don Giovanni", but rather the punctual, detailed, cold and precise account of the rituals that Bertrand gradually puts in place to "approach" his women. In this "roundup" of women and relationships, relived in many flashbacks, there are also childhood memories (filmed in black and white), such as his sexual initiation by a very young prostitute, but also, and above all, the memories of a mother loved and hated at the same time: a mother who, surprising him by chance while talking to a schoolmate, pretends not to see him ... as if to ignore him, he says bitterly. And also a mother who imposes strict reading sessions on him, but who allows him to read what and how much he wants as long as he doesn't make any noise as he turns the pages, while she circles around him half-naked - certainly not to seduce him, but to underline once again the her emotional distance ... to the point of treating him as a messenger of secret tickets for her many lovers. The autobiographical component, always present in Truffaut, is evident here, with the figure of this coveted mother, by whom he is fascinated, but never a dispenser of affection, and for this reason, perhaps, at the origin of Bertrand's irrepressible desire to possess not "a" woman, but "the" woman, that is all women, with their charm and their impenetrable mystery, but all treated with an emotional detachment that is a mirror of the maternal one. Thus Bertrand writes his book, which ends up being accepted by a publishing house. However, the title chosen by him ("The Stud") is changed to a more appropriate one: "The man who loved women". And it is at this point that the book is identified with the film, and Bertrand, the narrator who has accompanied us as spectators throughout the film, becomes the author of a story that we are invited (or rather we are almost seduced) to follow. Truffaut's love for books, which from the passionate reading cultivated since childhood was then soon translated into writing, first of reviews, then of criticisms, then again of screenplays up to his true vocation, directorial writing, finds in this film, as in many others, a clear evocation. While trying to chase his editor, Betrand is hit by a car. And in the hospital he will end up dying from the effort of touching a nurse's legs ... And so the film ends where it began, at his funeral (see Video 3), where we understand that the woman who commented the scene at the beginning, and who even now continues to describe it with her narrating voice, is indeed Bertrand's editor ... one of his many women, of course, but also the one who knew everything about him: "Bertrand chased an impossible happiness in quantity, in multitude, because we need to look for in so many people what our education expects us to find in only one". And the film ends with the end credits rolling over images of walking women's legs, themselves against the background of many copies of Bertrand's book. "The film communicates with the viewer on an intimate level, eschewing any shouted declaration or affirmation and proposing itself as a model for a cinema that dispenses with the sign of the times and moves through strongly individual coordinates, according to which nothing can be said except what is produced in the most intimate recesses of the soul." (Note 3) |
Video 1 - Italiano Video 2 - French version with English subtitles |
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Video 3 - Italiano Video 4 - French version with English subtitles L'uomo che amava le donne/L'homme qui aimait les femmes/The man who loved women (1977) |
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6. Il cinema secondo Truffaut |
6. Cinema according to Truffaut |
"I always deal with the question that has tormented me for more than
thirty years: is cinema more important than life? To ask that question
is about as intelligent as asking: “Do you do you prefer your father or
your mother?” But I think of the cinema for so many hours every day, and
have done so for so many years, that I am not able to prevent myself
from making life competes with films, and from reproaching life for not
having been as well-constructed, as interesting, as dense, as intense as
the images that we organise.” (Nota 4) |
"I always deal with
the question that has tormented me for more than thirty years: is cinema more important than life? To ask that question is about as intelligent as asking: “Do you prefer your father or your mother?” But I think of the cinema for so many hours each day, and have done so for so many years, that I am not able to prevent myself from making life compete with films, and from reproaching life for not having been as well-constructed, as interesting, as dense, as intense as the images that we organize.” (Note 4) |
6.1. Il primato dell'emozione Come abbiamo detto all'inizio di questo Dossier, il cinema di Truffaut viene spesso considerato "elegante, "dolce", "leggero", pieno di humour", "spontaneo", ed anche, da un punto di vista più ideologico, "piccolo borghese", "compromissorio", "consolatorio". Si tratta di affermazioni non propriamente false ma che tendono ad essere superficiali, e rischiano di mettere in ombra il valore e l'essenza stessa della sua opera, specialmente se consideriamo l'idea di "cinema" che ne sta alla base. Certamente le domande che solitamente ci si pone di fronte all'opera di un regista, come "Che cosa ha voluto dire con i suoi film?" o "Qual è il loro significato", non sono applicabili, specialmente nella loro forma più diretta e semplicistica, nel caso di Truffaut. Lui stesso è, almeno in parte, responsabile dei malintesi sui suoi film, a partire dalla sua convinzione che i film fossero oggetti meravigliosi che si possono guardare e persino toccare, ma non rompere - come fragilissime "uova di avorio". Questa era una metafora per trasmettere un'idea fondamentale, e cioè che si potesse godere dei suoi film ma che non si potessero "capire" (e a questo proposito diventa chiarissima la differenza rispetto al suo amico e "sodale" Jean-Luc Godard, per il quale "godere" dei film era quasi proibito, in quanto impediva di "decostruirli", ossia di analizzarli per capirne i significati profondi). "Ho sempre pensato che se qualcuno ha qualcosa da dire, allora dovrebbe dirlo o scriverlo, ma non fare un film. Un film non dice niente, un film trasmette informazioni emotive troppo sconvolgenti, troppo sensuali, troppo disturbanti per essere in grado di sfociare in un messaggio a sangue freddo." (Nota 5) Due sono i cardini di questa idea di cinema: la prima, che un film non si propone di trasmettere un messaggio, un significato preciso, delle convinzioni o delle idee del regista o di chiunque altro; la seconda, che un film si basa essenzialmente sull'emozione. Come ebbe a dire Truffaut stesso: "Un film non ha niente da dire", e "Ho dovuto fare i conti con il fatto che il dominio affettivo è l'unica cosa a cui tengo, e l'unica cosa che mi interessa" (Nota 6). Il fattore autobiografico ha ancora una volta la sua importanza: da ragazzo, la sua precoce cinefilia non era una questione intellettuale, ma, come abbiamo visto, una fonte di emozioni, che plasmavano la sua sensibilità di uomo prima ancora che di artista. Solo in un secondo momento queste emozioni sono state fatte oggetto di studio, poi di critica cinematografica, poi ancora di esame delle tecniche che i suoi registi più amati avevano sviluppato per creare emozioni, e infine per sviluppare lui stesso le strategie filmiche alla base della sua opera. Truffaut, come sappiamo, era un autodidatta incallito, non aveva frequentato scuole, tanto meno di cinema, non aveva neppure "fatto la gavetta" come assistente alla regia, e non aveva un approccio "intellettuale" o "impegnato" (cosa che gli fu anche rimproverata). Dunque è fuorviante, oltre che inutile, accostarsi all'opera di Truffaut chiedendosi "che cosa intendeva dire con i suoi film". Grande conoscitore della letteratura, lui stesso critico e scrittore fertilissimo, amante della "parola", soprattutto scritta, aveva ben chiaro però il limite della parola stessa, che trasmette significati, che fornisce informazioni dirette, che invita alla riflessione e alla discussione: tutte cose che non possono appartenere al dominio del cinema, che non è certamente prosa ma caso mai poesia, cioè fonte di allusioni, metafore, sensazioni che attivano non la mente conscia ma l'emozione subliminale, inconscia, che sta alla base della nostra vita più intima e più profonda. Questi contenuti emotivi possono essere portati alla consapevolezza, per esempio attraverso le immagini e i suoni del cinema, ma non per essere "compresi", quanto per essere "(ri)vissuti" emotivamente, in prima persona. Truffaut dichiarò che lui stesso non aveva capito il rapporto tra la sua vita e certi suoi film se non molto tempo dopo la loro realizzazione. 6.2. Il rapporto con lo spettatore Questo primato dell'immaginazione al servizio dell'emozione aveva una conseguenza importante: il processo che il regista seguiva in questo suo atto di creazione doveva rimanere, per lo spettatore, nascosto, dissimulato, mascherato, segreto. Lo spettatore doveva cioè poter accedere all'emozione del film senza rendersi conto, e nemmeno percepire, quali meccanismi sottostanti rendevano possibile questa creazione. Il film doveva scorrere in un flusso ininterrotto che lo spettatore, una volta "lasciatosi andare", avrebbe seguito senza quasi rendersi conto di come veniva trascinato via. E, come abbiamo appena detto, dato che persino il regista poteva non essere in grado di "spiegare" il suo stesso film, non poteva certo chiedere o, meno che mai, sollecitare o raccomandare, questa cosa al suo pubblico. Tutto ciò serviva a conservare e a proteggere il primato dell'emozione sul pensiero razionale. Si capisce allora l'entusiasmo, o, nel puro stile di Truffaut, l'amore per Hitchcock, un altro regista che, per ragioni in parte diverse, aveva sempre puntato sull'"irretire" lo spettatore, creando situazioni, gestendo personaggi, ma soprattutto strutturando una messa in scena che deliberatamente mostrava allo spettatore solo ciò che il regista aveva deciso di rendere manifesto - nulla di più (ma neanche nulla di meno). Il meccanismo della suspense, che associamo direttamente al nome di Hitchcock, consiste proprio nel nascondere l'impianto sotterraneo che muove il film, in modo che l'attenzione dello spettatore sia indirizzata ai dettagli e alle immagini individuate dal regista, quelle, e quelle soltanto, che sono in grado di stimolare il flusso emotivo che il film deve trasmettere - non un significato o un'idea ma un'emozione. Ciò non significa che il regista dovesse ignorare il suo pubblico, o, peggio, trascurarlo. Non a caso Truffaut viene spesso citato come uno dei pochi cineasti che sono riusciti a coniugare il "cinema d'autore" con il cinema più propriamente "commerciale". Questo non sminuisce il valore della sua opera, ma invita piuttosto a riflettere su come una regia così attenta e raffinata possa, nonostante quello che abbiamo appena detto (o forse proprio per quello), non solo coinvolgere e attirare, ma soprattutto soddisfare, le esigenze di un pubblico ampio e certamente non fatto solo di cinefili o di amanti dell'avanguardia e della sperimentazione. 6.3. Tra tradizione e innovazione Truffaut di fatto non si considerava un "innovatore" (nonostante abbia fatto parte di movimenti dirompenti come la nouvelle vague francese): "Non sono certamente un innovatore, dato che faccio parte dell'ultimo drappello che crede alle nozioni di personaggio, di situazione, di progressione, di peripezia, di falsa pista, in una parola della rappresentazione": una posizione, personale e "privata" prima che teorica e "pubblica", che lo distingueva sia dalle avanguardie sia dal cinema classico più consolidato. Questo spiega anche perchè Truffaut, in un'epoca che, sull'onda della contestazione e dell'innovazione, proclamava e inseguiva un programma di cinéma-vérité, dicesse, scherzando ma non troppo, di essere invece per un cinéma-mensonge, cioè per un cinema "fatto di bugie", quelle "false piste" (di cui parla nella citazione appena fatta) che sole potevano garantire il primato dell'immaginazione e dell'emozione. Tutto ciò ha complicato il giudizio sull'opera di Truffaut, che si è prestata facilmente a malintesi, specialmente considerando i decenni cruciali in cui si è trovato a vivere e a lavorare. Fu accusato di non avere niente da dire, e di non avere, in particolare, posizioni politiche o culturali da difendere, ed in effetti da questo punto di vista rimase, anche rispetto ai suoi compagni cineasti, relativamente isolato nel panorama culturale francese (e non solo francese) che puntava molto sull'elaborazione critica di significati anche attraverso l'esplosione delle "scienze umane", come la sociologia, l'antropologia, la psicanalisi - in breve, sulla forza delle "idee", a cui anche le creazioni artistiche dovevano sottoporsi. Fu facile accusare Truffaut di essere borghese, reazionario e "accademico" (nel senso peggiore che questo termine può avere). In realtà, Truffaut non fu insensibile ai sommovimenti politici e culturali di quegli anni (ad esempio, firmò il "Manifesto dei 121" sulla guerra in Algeria, e prese parte alla difesa ad oltranza della Cinemathèque diretta da Henri Langlois). Il punto è un altro: Truffaut filtrava i suoi giudizi morali, e anche politici, attraverso il solo filtro che gli era congeniale, quello del cinema, e non era interessato a confronti politici diretti - il suo "impegno", in altre parole, passava attraverso ciò che dava senso alla sua vita e al suo lavoro: "Mi sarebbe assolutamente impossibile [fare un film "impegnato"] perchè sono il disimpegno personificato, perchè ho uno spirito di contraddizione molto spiccato" (Nota 7) "Non mi sento coinvolto, probabilmente perchè partecipo poco alla vita ... in generale. La denominazione di "borghese" è l'attacco a un modo di vivere. Io non ho un modo di vivere (io non vivo al di fuori del cinema), non ho l'impressione che ciò mi riguardi e, se si tratta di un malinteso, non sono impaziente di dissiparlo." (Nota 8) Da un certo punto di vista, i suoi film sono, superficialmente, tradizionali: prendono in prestito diversi "generi", come le commedie, i melodrammi, i film polizieschi o thriller, ma li "usano" ai propri fini. Proprio come Hitchcock: "Conservando perfettamente le apparenze di una narrazione tradizionale, Hitchcock mette completamente da parte le necessità della sceneggiatura (equilibrio drammaturgico, distribuzione razionale dei picchi patetici, linearità dei rapporti causa-effetto ecc.) e costruisce con la sua macchina da presa una tessitura di sola forma che "scavalca" la drammaturgia e agisce direttamente sui nervi dello spettatore." (Nota 9) Dunque lo spettatore è davvero al centro di questo tipo di narrazione "intrigante", che deve affascinarlo, incantarlo, colpirlo: se da un lato l'attenzione dello spettatore è sollecitata dalla struttura superficiale della storia, con tutti i misteri e gli sviluppi del caso, dall'altro un meccanismo più profondo, al contempo fisico e psicologico, fatto di assonanze, allusioni, ripetizioni, parallelismi, permette allo spettatore di impegnarsi, "anima e corpo" come abbiamo appena detto, in un processo che gli permette di generare, a livello inconscio, un'esperienza di piacere - cioè l'emozione: un'esperienza umana universale che "aggira" il pensiero razionale per stimolare i recessi più profondi della mente. In fondo, questa è la funzione e il valore delle "storie" che da sempre gli esseri umani si raccontano, in varie forme: la "finzione" (fiction) è necessaria alla mente umana quanto il cibo al corpo. Ma mentre molti narratori aggiungono a questo "sistema affettivo" elementi o messaggi logici e razionali (siano essi di tipo sociale, politco, filosofico, ecc.), che possono oscurare o persino nascondere questo sistema emozionale, in Truffaut le "idee" vengono eliminate a favore di una rappresentazione sempre più semplificata che stimola l'immaginazione "pura". "Il mio sogno è la persuasione occulta. Vorrei che la gente vedesse certe inquadrature che non ci sono, ripensasse al proprio passato, facesse un tuffo nel passato. Vorrei provocare associazioni di idee, far nascere combinazioni, favorire incontri più o meno studiati." (Nota 10) 6.4. Il linguaggio filmico di Truffaut Una caratteristica che colpisce subito lo spettatore di un film di Truffaut è la naturalezza, l'immediatezza delle situazioni e dei personaggi che mette in scena. Ci sembra di conoscerli, questi personaggi, di averli già incontrati. Truffaut lascia emergere "i corpi, gli sguardi, le voci, le traiettorie esistenziali di personaggi che agli occhi del pubblico acquistano l'evidenza di persone conosciute, con il quale il confronto diretto è aperto" (Nota 11). Sono questi corpi che, muovendosi in uno spazio definito, interagendo con esso e tra di loro, fanno emergere una storia. E la storia che essi incarnano diventa una nostra storia, qualcosa che affiora dalla nostra memoria, innesca il meccanismo di identificazione, attiva il nostro bagaglio di sentimenti, sensazioni, emozioni che forse abbiamo già vissuto: corpi di personaggi/attori che parlano ai corpi degli spettatori. E anche in questo caso, come abbiamo detto riguardo ai generi cinematografici affrontati, Truffaut non è un "innovatore", quanto un "rielaboratore" del cinema classico - e in questo sta la sua modernità: "[Truffaut] si colloca in un’ottica di riscoperta e riproposizione dei congegni narrativi classici, ponendo al centro della sua narrazione non il racconto in quanto tale, bensì il personaggio che, svuotato delle sue funzioni classiche, può assumere così caratteristiche psicologico-affettive di certo meno stabili e prevedibili, ma senz’altro più adatte a mettere in scena l’uomo moderno, con le sue contraddizioni e debolezze." (Nota 12) Il tempo che Truffaut concede ai suoi personaggi non è quello "classico", in cui essi fanno qualcosa o fanno succedere qualcosa: il tempo che passa, e la durata entro la quale i personaggi sono inseriti, non forniscono informazioni "logiche" che facciano necessariamente progredire la trama. E' lasciato allo spettatore "vivere" questi tempi in modo diretto, ricavandone sensazioni ed emozioni. In La calda amante (si veda il video qui sotto a sinistra), ad esempio, lo scambio amoroso tra due personaggi è descritto nel tempo dilatato di una salita/discesa in ascensore, in cui il "tempo" reale non conta più, e i moti interiori dei personaggi sono trasmessi con movimenti calibrati, e senza bisogno di dialoghi: il primato dell'immagine sulla parola rimanda anche al "segreto" e alla "magia" del cinema muto, che per Truffaut rimane sempre un punto di riferimento importante. Anche la scena, tratta da Antoine e Colette (si veda il video qui sotto a destra), in cui Antoine si innamora della ragazza durante un concerto, è una sequenza (lunga più di due minuti) senza dialoghi, fatta solo di sguardi, espressioni del volto, movimenti delle mani, mutamenti fisici quasi impercettibili, in cui è la forza delle immagini a innescare nello spettatore l'emozione del sentimento che nasce e l'intensità crescente del rapporto che comincia a formarsi tra i due personaggi. Naturalmente, questa gestione "non realistica" del tempo ha conseguenze sulle relazioni logiche di causa-effetto e sulle spiegazioni razionali che ne possono conseguire. Eppure, lo spettatore non si accorge nemmeno di questi "strappi" o "ellissi" temporali, e non avverte nemmeno un senso di mancanza di chiarezza espositiva. Il linguaggio filmico di Truffaut, fatto di una messa in scena di inquadrature, di movimenti della macchina da presa e di stacchi di montaggio quasi impercettibili, a livello consapevole, da parte dello spettatore, ha la capacità di coinvolgere quest'ultimo ad un livello fisico-sensoriale ed emotivo globale. |
6.1. The primacy of emotion As we said at the beginning of this Dossier, Truffaut's cinema is often considered "elegant", "sweet", "light", full of humour, "spontaneous", and even, from a more ideological point of view, "small bourgeois", "compromissory", "consoling". These are statements that are not exactly false but which tend to be superficial, and risk overshadowing the value and very essence of his work, especially if we consider the idea of "cinema" that underlies it. Certainly the questions that usually arise when faced with the work of a director, such as "What did he mean with his films?", are not applicable, especially in their most direct and simplistic form, in Truffaut's case. He himself is, at least in part, responsible for the misunderstandings about his films, starting with his belief that films were wonderful objects that can be looked at and even touched, but not broken - like very fragile "ivory eggs". This was a metaphor to convey a fundamental idea, namely that one could enjoy his films but that one could not "understand" them (and in this regard the difference from his friend and "companion" Jean-Luc Godard becomes very clear - for Godard "enjoying" the films was almost forbidden, as it prevented "deconstructing" them, i.e. analyzing them to understand their deep meanings. "I have always thought that if one has something to say, then one should either say it or write it, but not make a film. A film does not say anything, a film conveys emotional information that is too shattering, too sensual, too dislocating for it to be capable of embodying a cold-blooded message." (Note 5) There are two cornerstones of this idea of cinema: the first, that a film does not set out to convey a message, a precise meaning, the convictions or ideas of the director or anyone else; the second, that a film is essentially based on emotion. As Truffaut himself said: "A film has nothing to say", and "I’ve had to come to terms with the fact that the affective domain is the only thing I care about, and the only thing that interests me." (Note 6). The autobiographical factor has once again tits importance: as a boy, his precocious cinephilia was not an intellectual question, but, as we have seen, a source of emotions, which shaped his sensitivity as a man even before being an artist. Only later were these emotions made the object of study, then of film criticism, then again of an examination of the techniques that the most beloved directors had developed to create emotions, leading him eventually to develop the film strategies at the basis of his work. Truffaut, as we know, was an inveterate autodidact, he hadn't attended school, even less a cinema school, he hadn't even "worked out" as an assistant director, and he didn't have an "intellectual" or "committed" approach (for which he was also reprimanded). So it is misleading, as well as useless, to approach Truffaut's work by asking "what did he mean with his films?". A great connoisseur of literature, himself a very fertile critic and writer, a lover of the "word", above all written, he was however very clear about the limit of the word itself, which transmits meanings, which provides direct information, which invites reflection and discussion: all things which cannot belong to the domain of cinema, which is certainly not prose but if anything poetry, that is, a source of allusions, metaphors, sensations that activate not the conscious mind but the subliminal, unconscious emotion that underlies our most intimate, deeper life. These emotional contents can be brought to awareness, for example through the images and sounds of cinema, but not to be "understood", but to be "(re)experienced" emotionally, in the first person. Truffaut stated that he himself did not understand the relationship between his life and some of his films until long after they were made. 6.2. The relationship with the viewer This primacy of the imagination in the service of emotion had an important consequence: the process that the director followed in his act of creation had to remain hidden, disguised, secret for the spectator. In other words, the viewer had to be able to access the emotion of the film without realizing, or even perceiving, which underlying mechanisms made this creation possible. The film had to run in an uninterrupted flow that the spectator, once he "had let himself go", would follow almost without realizing how he was carried away. And, as we have just said, given that even the director might not be able to "explain" his own film, he certainly could not ask or, least of all, solicit or recommend this thing to his audience. All of this served to preserve and protect the primacy of emotion over rational thought. One then understands the enthusiasm, or, in pure Truffaut style, the love for Hitchcock, another director who, for partly different reasons, had always aimed at "enthralling" the spectator, creating situations, managing characters, but above all structuring a staging that deliberately showed the spectator only what the director had decided to make manifest - nothing more (but nothing less either). The mechanism of suspense, which we associate directly with Hitchcock's name, consists precisely in hiding the underground system that drives the film, so that the viewer's attention is directed to the details and images identified by the director, those, and those only, which are able to stimulate the emotional flow that the film must convey - not a meaning or an idea but an emotion. This does not mean that the director should ignore his audience, or worse, neglect them. It is no coincidence that Truffaut is often cited as one of the few filmmakers who have managed to combine "auteur cinema" with more properly "commercial" cinema. This does not diminish the value of his work, but rather invites us to reflect on how such a careful and refined direction can, despite what we have just said (or perhaps precisely because of it), not only involve and attract, but above all satisfy, the needs of a wide audience, certainly not made up only of cinephiles or lovers of the avant-garde and experimentation. 6.3. Between tradition and innovation Truffaut did not actually consider himself an "innovator" (although he was part of disruptive movements such as the French nouvelle vague): "I am certainly not an innovator, given that I am part of the last group that believes in the notions of character, of situation, of progression, of vicissitudes, of red herring, in a word of representation": a position, personal and "private" rather than theoretical and "public", which distinguished him both from the avant-gardes and from the more consolidated classic cinema. This also explains why Truffaut, in an era which, on the wave of protest and innovation, proclaimed and pursued a program of cinéma-vérité, said, half-jokingly, that he was instead for a cinéma-mensonge, i.e. for a cinema "made up of lies", those "red herrings" (of which he speaks in the quote just made) which alone could guarantee the primacy of imagination and emotion. All this has complicated the judgment of Truffaut's work, which has easily lent itself to misunderstandings, especially considering the crucial decades in which he found himself living and working. He was accused of having nothing to say, and of not having, in particular, political or cultural positions to defend, and indeed from this point of view he remained, even compared to his fellow filmmakers, relatively isolated in the French (and not only French) cultural panorama which focused heavily on the critical elaboration of meanings also through the explosion of "human sciences", such as sociology, anthropology, psychoanalysis - in short, on the strength of "ideas", to which even artistic creations had to submit. It was easy to accuse Truffaut of being bourgeois, reactionary and "academic" (in the worst sense that term can have). In reality, Truffaut was not insensitive to the political and cultural upheavals of those years (for example, he signed the "Manifesto of 121" on the war in Algeria, and took part in the passionate defense of the Cinemathèque directed by Henri Langlois). The point is another: Truffaut filtered his moral, and also political, judgments through the only filter that was congenial to him, that of cinema, and he was not interested in direct political confrontation - his "commitment", in other words, was sifted through what gave meaning to his life and his work: "It would be absolutely impossible for me [to make a "committed" film] because I am disengagement personified, because I have a very marked spirit of contradiction" (Note 7) "I don't feel involved, probably because I participate little in life ... in general. The denomination of "bourgeois" is the attack on a way of life. I don't have a way of life (I don't live outside cinema), I don't feel this concerns me, and if it's a misunderstanding, I'm not eager to dispel it." (Note 8) From one point of view, his films are, superficially, traditional: they borrow different "genres", such as comedies, melodramas, crime films or thrillers, but "use" them for their own ends. Just like Hitchcock: "Perfectly preserving the appearances of a traditional narration, Hitchcock completely puts aside the needs of the screenplay (dramatic balance, rational distribution of pathetic peaks, linearity of cause-effect relationships, etc.) and constructs with his camera a texture of only form that "bypasses" the dramaturgy and acts directly on the viewer's nerves." (Note 9) Therefore the spectator is really at the centre of this type of "intriguing" narration, which must fascinate him, enchant him, strike him: if on the one hand the spectator's attention is solicited by the superficial structure of the story, with all the mysteries and developments, on the other end a deeper mechanism, both physical and psychological, made up of assonances, allusions, repetitions, parallelisms, allows the viewer to engage, "body and soul" as we have just said, in a process that allows him to generate, on an unconscious level, an experience of pleasure - that is, emotion: a universal human experience that "bypasses" rational thought to stimulate the deepest recesses of the mind. After all, this is the function and value of the "stories" that human beings have always told each other, in various forms: "fiction" is as necessary to the human mind as food is to the body. But while many narrators add to this "affective system" logical and rational elements or messages (whether they are social, political, philosophical, etc.), which can obscure or even hide this emotional system, in Truffaut the "ideas" are eliminated in favour of an increasingly simplified representation that stimulates "pure" imagination. "My dream is hidden persuasion. I would like people to see certain shots that aren't there, to think back to their past, to dive into the past. I would like to provoke associations of ideas, give birth to combinations, favour more or less studied encounters." (Note 10) 6.4. Truffaut's filmic language A feature that immediately strikes the viewer of a Truffaut film is the naturalness, the immediacy of the situations and characters he stages. It seems to us that we know these characters, that we have already met them. Truffaut lets emerge "the bodies, the looks, the voices, the existential trajectories of characters who in the eyes of the public acquire the evidence of known people, with whom direct comparison is open" (Note 11). It is these bodies that, moving in a defined space, interacting with it and with each other, bring out a story. And the story they embody becomes our story, something that emerges from our memory, triggers the identification mechanism, activates our baggage of feelings, sensations, emotions that we may have already experienced: bodies of characters/actors who speak to the bodies of spectators. And even in this case, as we have said about film genres, Truffaut is not an "innovator" but rather a "reprocessor" of classic cinema - and this is where his modernity lies: "[Truffaut] places himself in a perspective of rediscovery and re-proposition of classic narrative devices, placing at the center of his narration not the story as such, but the character who, emptied of his classic functions, can thus assume psychological-affective characteristics certainly less stable and predictable, but certainly more suitable for staging modern man, with his contradictions and weaknesses." (Note 12) The time that Truffaut grants to his characters is not the "classic" time in which they do something or make something happen: the time that passes, and the duration within which the characters are inserted, do not provide "logical" information that necessarily progress the plot. It is left to the viewer to "live" these times in a direct way, obtaining sensations and emotions. In The Soft Skin (see the video below left), for example, the amorous exchange between two characters is described in the dilated time of an ascent/descent in an elevator, in which real "time" no longer counts, and the characters' intimate feelings are transmitted with calibrated movements, and without the need for dialogue: the primacy of the image over the word also refers to the "secret" and "magic" of silent cinema, which for Truffaut always remains an important point of reference. Even the scene, taken from Antoine and Colette (see the video below right), in which Antoine falls in love with the girl during a concert, is a sequence (more than two minutes long) without dialogue, made up only of looks, expressions of the face, hand movements, almost imperceptible physical changes, in which it is the strength of the images that triggers in the viewer the emotion of the feeling that arises and the growing intensity of the relationship that begins to form between the two characters. Of course, this "unrealistic" time management has consequences for logical cause-and-effect relationships and the rational explanations that can follow. Yet, the viewer does not even notice these temporal "snags" or "ellipses", nor does he feel a sense of lack of expository clarity. Truffaut's filmic language, made up of the staging of shots, camera movements and almost imperceptible editing cuts, has the ability to involve the audience on global physical - sensory and emotional - level. |
La calda amante/La peau douce/The soft skin (1964) |
Antoine e Colette (primo episodio di L'amore a vent'anni)/Antoine et Colette/Antoine and Colette (first episode of Love at twenty) (1962) |
Come vedremo analizzando i film del "ciclo" di Antoine Doinel (si veda la Terza parte), i film di Truffaut abbondano di inquadrature o elementi di un'inquadratura (come gesti, espressioni verbali, oggetti ...) che rimandano continuamente ad altre inquadrature del film o anche di altri film precedenti dell'autore. Non si tratta di pure citazionismo, e d'altronde hanno un carattere così sfuggente che sarebbero difficili da isolare o analizzare: servono invece, insieme ai fattori che abbiamo citato, per favorire quella percezione inconsapevole, subliminale, quasi ipnotica, che scavalca la percezione quotidiana, ordinaria, abituale, di persone e cose. Si tratta, ancora un a volta, di stimolare l'intera esperienza sensoriale dello spettatore, il suo sistema integrato di mente e corpo in una specie di simbiosi tra spettatore e film: "Il piacere che accompagna questa esperienza deriva dalla sua capacità di attivare a pieno regime l'intero sistema psico-corporeo. L'immaginazione in movimento non solo porta con sé le reti dell'esplicito e dell'implicito, ma trascina anche il corpo dello spettatore. Truffaut diceva che voleva far piangere il suo pubblico e impossessarsene fino al punto in cui non sapevano più dove si trovassero quando uscivano dal cinema. Quando il cinema raggiunge la sua piena potenza, il corpo del film entra in simbiosi con il corpo dello spettatore, trasportandolo." (Nota 13) |
As we shall see when analyzing the films of Antoine Doinel's "cycle" (see Part 3), Truffaut's films abound in shots or elements of a shot (such as gestures, verbal expressions, objects ...) that continually refer to other shots from the film or even from other previous films by the author. It is not a question of pure quotationism, and on the other hand they have such an elusive character that they would be difficult to isolate or analyze: instead, together with the factors we have mentioned, they serve to favour that unconscious, subliminal, almost hypnotic perception which bypasses the ordinary, habitual, daily perception of people and things. Once again, it is a question of stimulating the entire sensory experience of the viewer, his integrated system of mind and body in a kind of symbiosis between viewer and film: "The delight that accompanies this experience stems from its ability to activate at full capacity the entire psycho-corporeal system. Imagination in movement not only carries with it the networks of what is explicit and implicit; it whisks away the viewer’s body as well. Truffaut used to say he wanted to make his audience cry and to take possession of them to the point where they no longer knew where they were when they walked out of the theater. When cinema achieves its full potency, the body of the fim enters into symbiosis with the body of the viewer, transporting it." (Note 13) |
Fine della Prima parte. Vai alla Seconda parte | End of Part 1. Go to Part 2 |
Note/Notes
(1) Citato in/Quoted in Gillain A. 2013. François Truffaut. The lost secret, Indiana University Press, Bloomington & Indianapolis, p. 11.
(2) Citato in/Quoted in Malanga P. 1996. Tutto il cinema di Truffaut, Baldini & Castoldi, Milano, p. 26.
(3) Barbera A., Mosca U. 2001. François Truffaut, Il Castoro Cinema, Milano, p. 185.
(4) Citato in/Quoted in Gillain 2013, op. cit., p. 185.
(5) Citato in/Quoted in Gillain 2013, op. cit., p. 5.
(6) Citato in/Quoted in Gillain 2013, op. cit., p. XXX.
(7) Citato in/Quoted in Malanga, op. cit., p. 177.
(8) Citato in/Quoted in Gillain A. 2019. Tout Truffaut. 23 films pour comprendre l'homme et le cinéaste, Armand Colin, Malakoff, p.133.
(9) Grosoli M. "François Truffaut", Il Mulino, p. 7.
(10) Citato in/Quoted in Malanga, op. cit., p. 219.
(11) Citato in/Quoted in Malanga, op. cit., p. 221.
(12) Rizzotto G. 2013. Truffaut: raccontare l'infanzia, Saggio per il corso di Teorie e Analisi del Cinema e dell'Audiovisivo - UNIPV, p. 3.
(13) Citato in/Quoted in Gillain 2019, p. 15.
Per
saperne di più ... * Truffaut: Raccontare l'infanzia - Di Gabriele Rizzotto Video su YouTube (in francese con sottotitoli italiani) * intervista a Truffaut (1960) * omaggio di Enrico Ghezzi a Truffaut (1985) * intervista a Truffaut su L'uomo che amava le donne * Documentario François Truffaut: Une vie, une oeuvre (francese) |
Want to know more? * François Truffaut - from Senses of Cinema * François Truffaut quotes * François Truffaut quotes * Truffaut's 15 greatest films YouTube videos (in French with English subtitles) * interview with Truffaut (1977) * Truffaut on Hitchcock and Rossellini * Truffaut on Day for night * interview with Truffaut (1975) "Je ne vis que pour le cinéma" * interview with Truffaut (1965) * Documentary François Truffaut: Une vie, une oeuvre (French) |
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