Il film "noir" - Commenti Film "noir" - Comments |
Sezione 1: Introduzione Nonostante abbiamo introdotto il noir come "genere", c'è chi lo considera piuttosto un "movimento" o una "scelta stilistica/visuale". Questo perchè, come vedremo tra poco, molti degli elementi di solito associati a questo tipo di film non si ritrovano soltanto nei primi e originali "film noir" così etichettati nella storia del cinema (grosso modo, molti film americani degli anni '40 e '50 del secolo scorso), ma si ritrovano anche in film più recenti o recentissimi, magari non etichettati come film noir, ma come film "di gangster", di "fantascienza", "thriller" ... molti associerebbero l'etichetta di "noir" a film anche molto diversi tra loro come Chinatown (di Roman Polanski, USA 1974), Taxi driver (di Martin Scorsese, USA 1976), Blade Runner (di Ridley Scott, USA 1982), fino ad arrivare ai film di Quentin Tarantino (ad esempio, Pulp fiction, USA 1994) e persino ai più recenti film "di gangster" o di "mafia" di Hong Kong, Corea del Sud o Giappone. Quali sono dunque questi aspetti ricorrenti che ci permettono, oggi, di qualificare un certo film come film "noir" o per lo meno come "film ibrido" (cioè di un altro genere, ma con almeno alcune caratteristiche tipiche del noir)? E' quello che cercheremo di scoprire subito ... Torna al Laboratorio - Sezione 2 |
Section 1: Introduction Although we introduced film noir as a "genre", it is sometimes considered as a "movement" or a "stylistic/visual choice". This is because, as we shall soon see, many of the aspects which are usually associated with this kind of film are not just to be found only in the first and original "film noir" labelled in this way in the history of cinema (by and large, many American films of the '40s and '50s of last century), but are to be found also in recent or very recent films, without necessarily being labelled as "film noir", but as "gangster films", "science fiction", "thrillers" ... Many of us would define as noir many films which, on the surface, would not seem to belong to the same genre, like Chinatown (by Roman Polanski, USA 1974), Taxi driver (by Martin Scorsese, USA 1976), Blade Runner (by Ridley Scott, USA 1982), and even Quentin Tarantino's films (for example, Pulp fiction, USA 1994) and even recent "gangster" or "mafia" movies from Hong Kong, South Corea or Japan. What are, then, these recurrent aspects which allow us, today, to qualify a certain film as a film noir or, at the very least, as a "hybrid" film (i.e. a film of a different genre, but including some of the typical features of film noir)? It's what we are going to consider next ... Back to the Workshop - Section 2 |
Sezioni 2/3: Gli elementi "tipici" del noir
Il mistero del falco, considerato da molti il primo vero film noir, è allo stesso tempo uno dei più compiuti ed efficaci esempi di questo genere, con molti dei motivi tipici in esso ricorrenti. Il protagonista è un investigatore privato, Sam Spade (qui incarnato da un'icona del noir, Humphrey Bogart), una persona di mezza età, che lavora in modo indipendente ma in un ufficio non certo sontuoso, che si ritrova al centro di un complicatissimo intrigo (la ricerca di una statuetta d'oro), e che lo fa incrociare vari tipi umani, a partire da una donna ambigua (la cosiddetta femme fatale, di cui parleremo tra poco) e da altri personaggi spesso violenti, cinici, spietati, corrotti e corruttori. La prima scena qui presentata si svolge di notte, come spesso accade, in cui ombre, misteri e sospetti sembrano trovare il loro contesto ideale. Nella seconda scena, l'ambiguità delle situazione trova il suo culmine: pur amandola, Sam consegna la donna, effettivamente colpevole, alla polizia, con un misto di amarezza e cinismo ... e, in uno dei finali più famosi di sempre, sottolinea la vacuità di tante situazioni e azioni che sembrano destinate al fallimento: a chi gli chiede, "Di che materiale è (la statuetta)?", Sam risponde: "Beh, è la materia di cui sono fatti i sogni". Damico (Damico J. 1978. "Film noir: a modest proposal", Film Reader, 3; citato in Cook P. (ed.) 2007. The cinema book, British Film Institute, London), ha proposto una sintesi molto efficace della struttura narrativa del noir, che qui riproduciamo: "O perchè è destinato ad agire così per i casi della vita, o perchè è stato assunto per un lavoro strettamente associato a lei, un uomo, la cui esperienza di vita lo ha lasciato ingenuamente fiducioso ma spesso amaro, incontra una donna "non tanto innocente", di temperamento simile, da cui è sessualmente e fatalmente attratto. Attraverso questa attrazione, o perchè la donna lo induce a farlo o perchè si tratta del risultato naturale della loro relazione, l'uomo finisce per imbrogliare, tentare di uccidere, o effettivamente uccidere, un altro uomo al quale la donna è infelicemente o involontariamente legata (generalmente il marito o l'amante) - un'azione che spesso porta al tradimento del protagonista da parte della donna, ma che in ogni caso porta alla distruzione, a volte metaforica ma di solito letterale, della donna stessa, dell'uomo a cui è legata, e spesso dello stesso protagonista".
In Detour, narrato quasi tutto in flashback, troviamo il protagonista, un musicista spiantato e disilluso, che cerca di fare l'autostop (rivolgendosi nel contempo a noi: "Avete mai fatto l'autostop? Mm ... non è molto divertente, credetemi ... Non si sa mai cosa ci attende quando si avverte il rumore dei freni ..."). Nel corso di questa che lui definisce "una terribile avventura" e che sappiamo dunque sin dall'inizio che avrà un esito tragico, incontra una donna (ancora una femme fatale) che cerca di coinvolgerlo in una truffa: un vero serpente velenoso, che lui involontariamente ucciderà, ma per il cui assassinio lui sa che prima o poi dovrà pagare. Il film, che si svolge quasi del tutto in auto, spesso di notte, in squallidi bar e alberghetti, è all'insegna del pessimismo più cupo e disperato riguardo a se stessi e alle situazioni che ci si trova a vivere. Narrato dal protagonista e dunque dal suo punto di vista, esemplifica la visione di un mondo dove il caso (o il caos?) regna sovrano, e l'individuo, pur avendo magari motivazioni personali, è spesso vittima delle circostanze e quasi predestinato al fallimento.
La sequenza iniziale di Due ore ancora, scandita da un motivo musicale cupo e drammatico, si svolge ancora di notte, e vede un uomo camminare, prima in strada, poi all'interno di un tetro edificio pubblico, fino ad arrivare alla porta della "Divisione Omicidi": vuole denunciare un omicidio ... l'omicidio di se stesso! E' la storia di un impiegato che scopre di essere stato avvelenato ed ha 48 ore di tempo per scoprire le ragioni e il colpevole. Ancora una volta, le circostanze sembrano incastrare il protagonista, che deve ritrovare il significato di una realtà che sembra sfuggirgli di mano. (Curiosamente, il titolo originale, D.O.A., tradotto in italiano come l'acronimo di Due ore ancora, è in realtà un termine medico (Dead On Arrival, ossia morto all'arrivo in ospedale).
La fiamma del peccato è raccontato quasi integralmente in flashback da Neff, un assicuratore che, morente, all'alba di una cupa mattinata, registra la sua confessione su un dittafono. Si rivolge al suo capo, che sin dall'inizio aveva subodorato un omicidio dietro la trama orchestrata da Neff, innamoratosi di una donna, divenuta poi sua complice nell'assassinio del marito per riscuoterne l'assicurazione sulla vita. "L'ho ucciso io ... l'ho ucciso per denaro ... e per una donna .. E non ho preso il denaro ... e non ho preso la donna ... Bell'affare!". E ancora: "L'uomo era sposato a una donna che non amava .. e che io volevo a ogni costo". La donna in realtà si rivela un'abile manipolatrice, e in una drammatica scena finale i due amanti si sparano a vicenda. Anche I gangsters, tratto da un racconto di Ernest Hemigway, è la storia di un uomo che, come dice il trailer, si è giocato tutto - la sua fortuna, il suo amore, la sua vita per la perfidia (e il tradimento) delle labbra di una ragazza ... Impossibile sfuggire a questo tipo di amore! ... Impossibile sfuggire a questo tipo di pericolo!" Il film inizia con il protagonista che, in uno squallido albergo di provincia, attende che dei sicari arrivino ad ammazzarlo. Anche in questo caso, il film è la storia, a ritroso, di tutta la vicenda, che ha ancora una volta al centro il rapporto con una donna fatale. Aleggia anche qui un'atmosfera cupa, un mondo violento e cinico in cui cause ed effetti non sono linearmente onnessi, e le motivazioni dei personaggi si scontrano con la realtà di una fatalità sempre incombente. In conclusione, i film noir sono caratterizzati da trame complesse, non lineari, a volte decisamente poco comprensibili, involute e piene di colpi di scena a volte spiazzanti, in cui le vittime diventano colpevoli o viceversa, gli amici si rivelano nemici, e tutti (o quasi) i protagonisti sono o possono essere corrotti o corruttori. Scopi e motivazioni cambiano spesso repentinamente, il che non permette allo spettatore di anticipare le svolte della trama, che d'altronde, come si è visto, è imprevedibile anche perchè spesso non si svolge in modo strettamente cronologico. Le stesse narrazioni, che spesso prediligono molteplici punti di vista soggettivi, possono essere inaffidabili, anche se un senso di determinismo e di fatalità sembra spesso presiedere allo sviluppo e, soprattutto, alla conclusione delle storie. Sono mondi dove mancano gli schematismi drammatici tipici del melodramma, ma dove anche sentimentalismo e moralità sono messi al bando. Torna al Laboratorio - Sezione 4 Sezione 5: Lo stile visivo del noir Si è già detto che il film noir predilige le ambientazioni cittadine e notturne: strade poco illuminate, vicoli chiusi, scali ferroviari, periferie abbandonate ... ambienti che, visivamente, richiamano atmosfere di decadenza, corruzione, ambiguità. Anche gli interni sono spesso scarsamente illuminati, specialmente nelle scene dove prevale la violenza e il confronto/scontro tra personaggi e, in particolare, tra i protagonista e la femme fatale. Introdotto sin dai primi noir e successivamene ampiamente ripreso, è rimasto tipico l'uso di veneziane semi-aperte, che spargono una luce frammentata sull'ambiente, o attraverso le quali i personaggi osservano una scena. L'impressione è che l'illuminazione riveli altrettanti dettagli di quelli che lascia in ombra, se non addirittura meno. L'uso della luce, in particolare, è cruciale in tutti questi contesti. Spesso si ricorre all'utilizzo di luci fortemente contrastate, che creano ombre più marcate (low key illumination) e contrasti molto netti. L'uso di luci dal basso distorce i lineamenti delle figure. Questo uso della luce viene frequentemente fatto risalire alla tradizione espressionista, tipica dei film tedeschi degli anni '20, che, nell'intento di sottolineare le psicologie contorte dei personaggi e la loro instabilità psichica, privilegiavano, anche nella messa-in-scena, figure contorte, fondali obliqui, angolazioni insolite ed elementi scenici prospettati in diagonale. Gli stessi corpi attoriali sono spesso frammentati dalla luce: i volti appaiono illuminati solo in parte, spesso con un profilo che rimane oscurato, nell'intento di esprimere la natura ambigua dei personaggi stessi. Anche l'uso della profondità di campo, che lascia intravvedere una serie di livelli variamente illuminati, contribuisce a creare una "tensione compositiva" che ben esprime l'atmosfera di instabilità e turbamento in cui si svolgono i fatti. L'uso dei flashback, molto spesso associato ad una voce fuori campo che li introduce, li narra o li commenta, contribuisce a frammentare la narrazione, ad introdurre punti di vista e di ascolto ambigui, e, in generale, insieme alle ellissi temporali, che provocano "salti" nel tempo e scarti cronologici, a privare lo spettatore di un flusso narrativo coerente e prevedibile. Torna al Laboratorio (Sezione 6) Sezione 6: Origini e fonti del noir Ogni genere cinematografico intrattiene rapporti stretti con i periodi storici e le situazioni sociali in cui si è sviluppato: in un certo senso, i film riflettono le problematiche, le ansie, le questioni aperte che gli spettatori riconoscono, in modo più o meno cosciente, anche nei film che scelgono di andare a vedere (e che l'industria cinematografica è pronta ad assecondare, favorendo la produzione di certi generi di film). Ben prima che il film noir si affermasse come fondamentale (se non principale) genere negli anni '40 e '50, già negli anni '30 del secolo scorso si possono rintracciare nella società americana i "segni" di quel malessere sociale e psicologico cui i noir avrebbero dato voce: i traumi conseguenti alla fine della Prima Guerra Mondiale, il proibizionismo, la Grande Depressione del '29 e degli anni seguenti tendevano a favorire una rappresentazione del mondo non più tanto allegra e spensierata (nonostante la produzione di commedie e musical continuasse a fiorire), ma anche più realistica e cupa, dunque più consona ai contesti di vita concreti. Il film noir, da questo punto di vista, e come tutti i generi cinematografici, non nasce dal nulla, ma ha i suoi antecedenti nei film "di gangster", polizieschi, thriller già molto diffusi e popolari negli anni '30. L'avvento della Seconda Guerra Mondiale, e soprattutto il dopoguerra, costituì tuttavia il punto di svolta verso la definitiva affermazione del film noir hollywodiano "classico". La partenza degli uomini per il fronte, e la loro sostituzione nei posti di lavoro da parte delle donne, innescò una rivoluzione sociale senza precedenti; e quando i reduci tornarono, trovarono un mondo cambiato, in cui il ruolo della famiglia, e al suo interno delle donne, sembrava aver perso stabilità e certezza. La relativa indipendenza conquistata dalle donne metteva in ulteriore crisi il ruolo dell'uomo e, più in generale, il concetto stesso di "mascolinità". "Mi sento morto dentro. Sono incastrato in un angolo buio e non so chi mi stia assalendo", dice un personaggio di Il grattacielo tragico (di Henry Hathaway, USA 1946). Gli anni successivi alla guerra, caratterizzati da nuove e perfino più inquietanti minacce, come la paura paranoica del comunismo e le iniziative per combatterlo, la contrapposizione con il capitalismo, la conseguente guerra fredda con i suoi incubi "atomici", contribuirono a sottolineare ancora di più questo diffuso sentimento di insicurezza, di instabilità, di sospetto generalizzato, di perdita di valori e certezze nel "sogno americano" e nella stessa identità della nazione. In un certo senso, molti film noir (al pari di numerosi film di fantascienza dello stesso periodo, spesso centrati sull'invasione di alieni) testimoniano dei bisogni pressanti e repressi della società americana, soprattutto del bisogno di riaffermare i valori tradizionali della continuità della famiglia, del ruolo della donna, e dell'identità nazionale percepita come gravemente in pericolo. Torna al Laboratorio (Sezione 6 - Le fonti del noir) Sezione 7: La persistenza di un genere: il neo-noir Fin dalla fine degli anni '60, anche in coincidenza con il lavoro dei registi della cosiddetta "New Hollywood", il film noir è stato d'ispirazione a moltissimi film, anche di generi diversi. Facendo omaggio alla tradizione del noir, ricordiamo ad esempio film come Una squillo per l'ispettore Klute (di Alan Pakula, USA 1971), La conversazione (di Francis Ford Coppola, USA 1974), Il lungo addio (di Robert Altman, USA 1973), fino ad arrivare a Chinatown (di Roman Polanski, USA 1974) e a Taxi Driver (di Martin Scorsese, USA 1976). Successivamente, molti film hanno ibridato la tradizione del noir, pur conservando aspetti che vi si rifanno più o meno direttamente: Brivido caldo (di Lawrence Kasdan, USA 1981), la quarta trasposizione del romanzo di James Cain Il postino suona sempre due volte (di Bob Rafelson, USA 1981), Blade runner (di Ridley Scott, USA 1982), fino a Pulp fiction (di Quentin Tarantino, USA 1994), Fargo (di Joel e Ethan Coen, USA 1996), Lost highway (di David Lynch, USA 1997), Memento (di Christopher Nolan, USA 2000), Drive (di Nicolas Winding Refn, USA 2011), e persino la serie di Batman (di Christopher Nolan). La fenmme fatale è rimasta una delle icone più rappresentative del noir, anche in film recenti: ricordiamo almeno Velluto blu (di David Lynch, USA 1986), Attrazione fatale (di Adrian Lyne, USA 1987), Basic instinct (di Paul Verhoeven, USA 1992) e Femme fatale (di Brian De Palma, USA 2002). L'influenza del noir si è fatta sentire in molte altre cinematografie oltre a quella americana: dal cinema britannico (Il terzo uomo, di Carol Reed, GB/USA 1949) alla Nouvelle Vague francese (Il bandito delle undici, di Jean-Luc Godard, Francia 1965), dal cosiddetto Nuovo Cinema Tedesco (L'amico americano, di Wim Wenders, USA/Francia/Republica Federale Tedesca 1977), alle diverse "generazioni" di film orientali (Hong Kong, Corea del Sud, Giappone). Torna al Laboratorio (Sezione 8 - Conclusione) |
Sections 2/3: The typical elements of film noir
The Maltese falcon, which is considered by many to be the first real film noir, is at the same time one of the most accomplished and effective examples of this film genre, incorporating many of its typical elements. The protagonist is a private investigator, Sam Spade (here played by a film noir icon, Humphrey Bogart), a middle-age man, who works freelance but in a rather dreary, drab office, who finds himself caught up in the middle of a very intricate plot (the search for a gold statuette). In the course of time he will meet several types of characters, starting with an ambiguous woman (ther so-called femme fatale - who we will turn to later), as well as other human types who are often violent, cynical, ruthless, and who are easily ready to corrupt or be corrupted. The first sequence shown here takes place at night, as often happens in film noir, where shadows, mysteries and suspicions seem to have found their ideal context. In the second sequence, the ambiguity of the situation reaches its climax. Although he loves her, Sam hands her over to the police (she is actually guilty), with a mixture of bitterness and cynicism ... and, in one of the most famous film endings of all time, he stresses the emptiness of so many situations and actions which are doomed to failure from the start: when he is asked, "What's (the statuette) made of?", Sam answers, "Well, it's the material dreams are made of". Damico (Damico J. 1978. "Film noir: a modest proposal", Film Reader, 3; quoted in Cook P. (ed.) 2007. The cinema book, British Film Institute, London)has suggested a very thorough synthesis of the narrative structure of film noir:"Either because he is fated to do so by chance, or because he has been hired for a job especially associated with her, a man whose experience of life has left him sanguine and often bitter meets a not-so-innocent woman of similar outlook to whom he is sexually and fatally attracted. Through this attraction, either because the woman induces him to it or because it is a natural result of their relationship, the man comes to cheat, attempt to murder, or actually murder a second man to whom the woman is unhappily or unwillingly attached (generally he is her husband or lover), an act which often leads to the woman's betrayal of the protagonist, but which in any event brings about the sometimes metaphoric, but usually literal, destruction of the woman, the man she is attached, and frequently the protagonist himself." In Detour, which is narrated almost exclusively in flashback, the protagonist, a penniless and disillusioned musician, tries to hitch-hike (while addressing us, the audience: "Have you ever hitch-hiked? Mm ... it's not very amusing, believe me ... We never know what's waiting for us when we hear a car braking to a halt ..."). In the course of what he defines as "a terrible adventure", thus letting us know right from the start that it will end in tragedy, he meets a woman (another femme fatale) who tries to involve him in a cheat: a real venomous snake, whom he will eventually, but unvoluntarily kill, and for whose murder he knows that sooner or later he will have to pay. The film, which takes place for the most part in cars, often by night, in bleak bars and cheap road motels, is imbued with the darkest and most desperate pessimism towards oneself and the situations which we happen to be involved in. Narrated by the protagonist and thus from his own point of view, ii shows a vision of the world where fate (or chaos?) is paramount and the single individual, although having personal motivations to act, is often the victim of circumstances and destined to failure. The initial sequence of D.O.A. (Dead on arrival), accompanied by a sombre and dramatic musical score, takes places, once again, at night, and shows a man walking in the street and then within a bleak public building, until he reaches the door of the "Homicide Squad": he wants to report a murder ... the murder of himself! It is the story of a man who finds out that he has been poisoned and has only 48 hours to discover why and who did this. Once again, circumstances seem to corner the portagonist, who is forced to find the meaning of facts which seem to escape logical comprehension. (Curiously, the original title, which was translated into Italian with the acronynm D.O.A. (Due ore ancora (= Two hours left), is actually a medical term, meaning "Dead On Arrival", i.e. dead when the patient reached the hospital).
Double indemnity is told almost exclusively in flashback by Neff, a dying insurance agent that, at the dawn of a bleak morning, records his confession on a Dictaphone. He addresses his boss, who since the beginning of the story had smelled a murder behind the plot conceived by Neff, who had fallen in love with a woman, his accomplice in the murder of her husband with a view to cashing in on the latter's life insurance."I killed him ... I killed for money .. and for a woman ... And I didn't get the money ..,. and I didn't get the woman ... What a good deal!". And Jeff continues: "The man was married to a woman he didn't love ... and that I wanted at all costs". The woman actually turns out to be a skilled manipulator, and in a dramatic final sequence the two lovers shoot each other. The killers, from a story by Ernest Hemingway, is also the story of a man who, as the trailer says, "gambled his luck, his love, his life for the treachery of a girl's lips ... No escape from this kind of love! ... No retreat from this kind of danger!". The film starts in a drab hotel room, with the protagonist waiting for two killers to come and kill him. In this case, too, the films tells its story in a flashback, and at its centre there is, once again, the relationship with a femme fatale. There is a sense of bleakness in the air, a violent, cynical world in which cause and effect are not connected in a linear way, and the characters' motivations clash with the reality of an impending fate. In summary, film noir is characterized by complex, non-linear plots, which are sometimes even difficult to follow, since they are often intricate and full of shocking turns of events, in which victims become culprits or viceversa, friends turn out to be foes, and all (or almost all) the characters are or can be corrupted or corruptors. Aims and motivations often change quite suddenly, which does not allow the viewers to anticipate the turns of the story, which, as we have just said, is unpredictable since it does not often follow a strict chronological order. The narrative, which often privileges several subjective points of view, can be unreliable, even though a sense of inevitable fate seems to dominate the development and, above all, the closure of the story. These are worlds where the dramatic, fixed patters of melodrama are missing, where emotions and morality are banished. Back to the Workshop - Section 4 Section 5: The visual style of film noir We have already remarked the fact that film noir often chooses urban night settings: scarcely lit streets, blind alleys, railway yards, dreary suburbs ... all settings that visually convey a sense of decadence, corruption and ambiguity. Even rooms are often scarcely lit, especially in scenes where violence breaks out and characters clash into each other - with particular reference to the protagonist and his femme fatale. Since the very first film noir and then widely used in a variety of this kind of film, the use of half-open venetian blinds has been a typical motif: they spread fragments of light onto the settings, and characters often watch a scene through them. This gives the impression that light reveals as many details as those that are left in the shade - if not fewer. The use of light is actually crucial in all these contexts. Highly contrasted lights create more marked shadows as well as stark contrasts (low key lighting). Also, the use of light from below the subject (underlighting) turn face features into masks. This use of light is often traced back to the expressionist tradition, typical of German films of the '20s, which, with the aim to stressing the characters' convoluted psychology and their psychic instability, often gave priority, in the mise-en-scene, to twisted figures, oblique backdrops, unusual angles and scenic elements shown in diagonal perspectives. The same actors' bodies are often fragmented by light: faces are only partially lit, often showing a half-lighted profile, thus conveying the ambiguous nature of the characters themselves. The use of field depth, too, which allows to see a series of variously lit levels of depth, cooperates to create a "compositional tension" which well conveys the atmosphere of instability and anxiety in which the story takes place. The use of flashbacks, very often associated with a voice-over introducing, narrating or commenting on them, helps to fragment narration, to introduce ambiguous points of view and "points of listening", and, in general, together with temporal ellipses causing time "jumps" and chronological disorders, does not enable the viewers to follow a coherent and predictable narrative path. Back to the Workshop (Section 6) Section 6: The origins and sources of film noir Every film genre is closely linked with the historical periods and the social situations during which it developed: in a certain way, films reflect the problems, anxieties and open questions that viewers recognize, more or less consciously, in the films that they choose to watch (and that the cinema industry is obviously ready to promote, by favouring the production of certain film genres). Well before film noir became the basic (if not main) genre in the '40s and '50s, we can trace back to the '30s the "marks" of that social and psychological uneasiness film noir would then give voice to: the shock following the end of the First World War, prohibitionism, the Great Depression starting in 1929 and continuing in the following years tended to favour a world view not longer so cheerful and light-hearted (despite a large number of comedies and musicals continued to be produced), but also more realistic and bleaker, and as such much closer to the actual contexts of real life. From this point of view, film noir, like all other film genres, was not born out of nothing but was anticipated by the "gangster", detective, thriller films which were already in wide circulation in the '30s. The Second World War, and even more the years immediately following it, however, became the real "turning point" towards the eventual success of the classical Hollywood film noir. Men's conscription, and their substitution by women in workplaces, started a radical social revolution; and when the veterans came back home, they found a new world, where the role of family, and within it of women, seemed to have lost all stability and certainty. The relative independence conquered by women started a crisis in men's role and, more generally, in the very concept of "masculinity". "I feel dead inside. I am trapped in a dark corner and don't know who's attacking me", says a character in The dark corner (by Henry Hathaway, USA 1946). The years following WWII were characterized by new and even more disquieting threats. The paranoic fear of communism and the initiatives which were taken to fight it, the clash with capitalism, the Cold War and its atomic nightmares, all this helped to put even more stress on this widespread feeling of insecurity, instability, generalized suspicion, loss of values and belief in the "American dream" and in the very identity of the nation. In a certain sense, many film noir (as weel as several science fiction films of the same period, often centred on the invasion of aliens from outer worlds), testify the pressing and repressed needs of American society, and above all the need to reaffirm the traditional values of continuity through the family institution, the role of women, and the natioranl identity perceived as under serious attack. Back to the Workshop (Section 6 - The sources of noir) Section 7: The persistence of a genre: the neo-noir Since the end of the '60s, when also a new generation of directors started to work (the so-called "New Hollywood"), film noir has inspired a plethora of films, of quite different genres too. Paying homage to the tradition of the classical film noir, just think of Klute (by Alan Pakula, USA 1971), The conversation (by Francis Ford Coppola, USA 1974), The long goodbye (by Robert Altman, USA 1973), up to Chinatown (by Roman Polanski, USA 1974) and Taxi Driver (by Martin Scorsese, USA 1976). Later, several films have "contaminated" the noir tradition, despite keeping aspects that refer to it more or less explicitly: Body heat (by Lawrence Kasdan, USA 1981), the fourth transposition of James Cain's novel The postman always rings twice (by Bob Rafelson, USA 1981), Blade runner (by Ridley Scott, USA 1982), up to Pulp fiction (by Quentin Tarantino, USA 1994), Fargo (by Joel and Ethan Coen, USA 1996), Lost highway (by David Lynch, USA 1997), Memento (by Christopher Nolan, USA 2000), Drive (by Nicolas Winding Refn, USA 2011), and even Batman begins (by Christopher Nolan, USA 2005). The femme fatale has remained one of the most representative icons of film noir, in recent films too: recall at least Blue velvet (by David Lynch, USA 1986), Fatal attraction (by Adrian Lyne, USA 1987), Basic instinct (by Paul Verhoeven, USA 1992) and Femme fatale (by Brian De Palma, USA 2002). The influence of film noir has spread across continents and many other "world cinemas" beyond Hollywood: from British cinema (The third man, by Carol Reed, GB/USA 1949) to the French Nouvelle Vague (Pierrot le fou, by Jean-Luc Godard, France 1965), from the so-called New German Cinema (The American friend, by Wim Wenders, USA/France/German Federal Republic 1977), to the various "generations" of Eastern movies (Hong Kong, South Korea, Japan). Back to the Workshop (Section 8 - Conclusion) |
|