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La Hollywood classica: il cinema della continuità

 (Seconda parte)
Classical Hollywood: the cinema of continuity (Part 2)

N.B. E' disponibile una versione pdf di questo Dossier.

4. Le fonti dell'"invisibilità"

"Poichè i film sono, per definizione, destinati a mercati di massa, i cineasti sono propensi a favorire degli elementi di design che possano rendere le loro narrazioni accessibili a vasti pubblici. Cioè, idealmente, i film utilizzano strutture che li rendono suscettibili di essere rapidamente compresi da parte di pubblici non necessariamente preparati" (Carroll N. 1996. Theorizing the moving image, Cambridge University Press, New York, p. 133).

In questa seconda parte, volta a rispondere alla domanda "come viene realizzata la continuità invisibile?", cercheremo di esaminare i dispositivi di cui il cinema dispone per assicurare quella fluidità di visione e quella trasparenza di discorso che abbiamo chiamato continuità, e, nello stesso tempo, cercheremo di capire come questi dispositivi rimangano quasi sempre invisibili allo spettatore, che è lasciato così libero di concentrarsi sui diversi aspetti delle narrazione.

Questa "invisibilità" implica in primo luogo che il film non si dimostri consapevole di se stesso e non sia dunque "autoreferenziale", cioè non "rompa" quella barriera cristallina ma potente che lo nasconde allo spettatore. Ad esempio, i personaggi raramente si rivolgono alla macchina da presa, cioè al pubblico. L'istanza narrante non attira l'attenzione, in modo tale che lo spettatore possa identificarsi con i personaggi e dimenticare il processo di costruzione narrativa sottostante.

Tuttavia, cenni  di "consapevolezza", cioè momenti in cui lo spettatore si rende  relativamente conto di essere di fronte alla messa-in-scena di uno "spettacolo", non sono assenti, e si possono notare in diverse occasioni: innanzitutto, in alcuni generi, come il musical, in cui improvvisamente i personaggi si mettono a cantare e/o a ballare, rompendo così il realismo del mondo rappresentato; oppure nel melodramma, in cui i sentimenti sono portati all'estremo e le passioni "infiammano" lo schermo.  Inoltre, in momenti cruciali della storia, come l'inizio, la conclusione, o in certi passaggi particolarmente pregnanti e coinvolgenti, la narrazione può dimostrarsi più "aperta" ed esplicita: le scene iniziali possono prevedere inquadrature ampie, che disegnano chiaramente i contesti e le situazioni, per poi progressivamente restringersi; la macchina da presa può focalizzarsi in modo molto evidente su oggetti o persone altamente significativi in determinati passaggi; e la conclusione può mostrarci personaggi che si rivolgono alla macchina da presa, come per dire "questo è quanto - siamo alla fine", oppure il motivo musicale ricorrente può ritornare con una sottolineaturra più forte, o ci si distanzia dai personaggi con un campo lungo; e così via.

Tuttavia, pur con queste eccezioni, il cinema classico hollywodiano sembra basarsi su un "osservatore invisibile" (cf. Bordwell, citato nella prima parte di questo Dossier), che vede e sente tutto per noi spettatori, di modo che il mondo del film ci appare non tanto come una narrazione esplicita da parte di qualcuno, quanto come una rappresentazione che ha luogo quasi "di per sé", o come se la storia fosse stata costruita prima della sua effettiva rappresentazione, ed abbia una sua intrinseca qualità di "indipendenza". In questo modo, lo spettatore si concentra solo sul seguire (o piuttosto, sul ri-costruire) la storia, e non sul chiedersi come mai certe cose vengono mostrate in quel determinato modo.

Il criterio generale rimane quello di assicurare una narrazione chiara, eliminando ogni possibile ambiguità. Questo si ottiene, tra l'altro, grazie alla ridondanza con cui procede la narrazione: i fatti più importanti, le caratteristiche particolari di un personaggio, la forza di certe motivazioni o di certe cause vengono ripetuti più volte, ovviamente con modalità diverse: facendo esprimere a più personaggi gli stessi fatti tramite commenti o reazioni, reiterando motivi causali sotto forme diverse, e persino affidando alla colonna sonora il compito di sottolineare, magari con la stessa melodia, passaggi significativi. Questo vale anche per alcuni generi cinematografici, come i film polizieschi o thriller, in cui alcuni fatti, specialmente causali, vengono deliberatamente nascosti allo spettatore: la linea di demarcazione tra soggettivo ed oggettivo rimane comunque chiara. Un punto di vista più ristretto (ad esempio, relativo ad un personaggio) è funzionale allo scopo della narrazione, che può prevedere sorpresa, ambiguità, suspense (comunque risolti entro la fine della storia).

Abbiamo già citato anche la presenza di flashback, in cui un personaggio generalmente ricorda determinati fatti, che abbiamo o non abbiamo visto in precedenza, aggiornando dunque la narrazione. Anche se i flashback potrebbero sembrare a prima vista sempre soggettivi, in realtà sono sempre ancorati alla realtà oggettiva della storia nel suo complesso (una famosa eccezione è quella del "falso" flashback in Paura in palcoscenico (di Alfred Hitckcock, USA 1950)). La stessa cosa accade per gli sguardi (il punto di vista) apparentemente soggettivi, che sono comunque legati a quanto mostrato nelle inquadrature precedenti o seguenti.

5. Il linguaggio filmico della continuità

Come sono utilizzati gli elementi del linguaggio cinematografico per assicurare, oltre all'"invisibilità", anche la continuità, cioè la percezione di una narrazione fluida e senza ambiguità da parte dello spettatore?

Scala dei campi  Abbiamo già visto che a una scena introduttiva in campo lungo seguono scene in cui gradualmente personaggi ed oggetti si avvicinano, fino ad arrivare a "mezze figure" (semi close-up) quando i personaggi si mettono a dialogare tra loro, e fino ad arrivare ai primi piani per passaggi particolarmente significativi del dialogo. Nel complesso, comunque, si evitano gli estremi, sia riguardo alla scala dei campi sia riguardo agli angoli di ripresa. A maggior ragione, sono rare le riprese  dall'alto (plongée) oppure dal basso (contre-plongée). Le vedute dall'alto molto estese ("a volo d'uccello") sono ancora più rare, e devono essere giustificate da chiare motivazioni (ad esempio, una veduta da un aereo, un numero musicale che deve enfatizzare una coreografia). All'estremo opposto, i primi o primissimi piani enfatizzano gli effetti di una scena, avvvicinando i personaggi allo spettatore ed aumentando il coinvolgimento emotivo di quest'ultimo. In altre parole, la diversa posizione di personaggi e oggetti sulla linea di profondità, dallo sfondo al primo piano, è usata per creare una gerarchia di importanza dei significati.

Campo e fuori campo sono correlati in modo da creare una precisa continuità spaziale, fluida e senza possibilità di confusione da parte dello spettatore. Il montaggio si assume, tra l'altro, il compito preciso di permettere allo spettatore di farsi un'idea dello spazo scenico (il campo), ma nello stesso tempo di crearsi aspettative realistiche sul fuori campo, un'idea di spazio mentale complessivo entro cui lo spettatore stesso viene indotto a situarsi, o meglio ad immergersi. 

Messa-in-scena e Movimenti della macchina da presa La disposizione degli elementi della messa in scena, come le scenografie, obbedisce a criteri di massimo ordine e massima chiarezza espositiva: i personaggi principali (o almeno, quelli che in ogni scena rivestono il ruolo principale) occupano spesso il centro dell'inquadratura, i cui spazi sono però anche calcolati in modo tale che altri personaggi possano entrare in scena senza difficoltà e con sufficiente "spazio fisico" a loro disposizione. A questo scopo contribuiscono anche i movimenti della mdp, che devono creare e mantenere uno spazio non ambiguo e funzionale ai movimenti dei personaggi e al succedersi degli eventi. (A margine, ricordiamo che il formato della pellicola è stato per lungo tempo quello "standard" (1.33 o 4:3), ma a partire dagli anni '60 si sono affermati nuovi formati panoramici come il Cinemascope, che permette(va) l'inclusione nell'inquadratura di un numero molto maggiore di informazioni.)

La luce è utilizzata secondo codici prestabiliti, ed è al servizio della massima trasparenza del racconto. In particolare, le figure dei personaggi devono stagliarsi con chiarezza rispetto allo sfondo. L'uso di luci più o meno contrastate (low- o high-key lighting) e del sistema a tre punti (three-point lighting) fanno parte di questi codici, utilizzati in modo costante ma flessibile a seconda dei contesti.

Il suono è parimenti funzionale. Si presta la massima attenzione alla chiarezza espositiva, in modo che i dialoghi, in particolare, siano sempre chiari e ben comprensibili. Suoni non diegetici (come la colonna sonora musicale) sottolineano momenti cruciali dal punto di vista emotivo-drammatico.

Il montaggio privilegia la continuità spazio-temporale e il flusso costante del racconto, senza strappi o stacchi violenti: ogni scena o sequenza si collega in modo logico e senza equivoci a quella precedente e a quella successiva. In particolare, ogni scena tende a concludersi con qualche motivo "di sospensione" (un'espressione facciale, un oggetto particolare, un'uscita di scena da parte di un personaggio ...) che preannuncia e introduce la scena successiva. In tal modo si creano legami molto stretti tra le scene, e la linea narrativa ne esce fortemente rafforzata.

6. Esempi

                 

La convergenza degli sguardi (eyeline match) è uno dei dispositivi che assicurano la continuità visiva dello spazio: lo spettatore è in grado di situare e mantenere nello spazio la posizione di due personaggi che rivolgono lo sguardo l'uno verso l'altro. In questo breve video vengono mostrati alcuni esempi di convergenza di sguardi: si tratta

(1) e (5) di due persone che si guardano in due inquadrature diverse (shot/reverse shot);

(2) di due persone che si guardano sedute alle due estremità di un tavolo

(3) di un uomo che parla - stacco - a cui una ragazza reagisce voltandosi e rivolgendo il suo sguardo verso di lui;

(4) delle stesse persone che si guardano durante un dialogo (con stacchi di montaggio). Si noti che a un certo punto la ragazza rivolge lo sguardo verso il basso - stacco - vediamo un oggetto, e subito dopo la mano della ragazza che copre l'oggetto mentre sentiamo una sua esclamazione: "Oh".

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In questa sequenza da Jerry Maguire (di Cameron Crowe, USA 1996), abbiamo altri classici esempi di convergenza di sguardi:

- dapprima (al minuto 0:12) Jerry e Dorothy dialogano e vediamo alternativamente, con una sequenza di stacchi, lei che parla, con in primo piano la sagoma di Jerry e viceversa (over the shoulder shot); stesso dispositivo più avanti (al minuto 1:23);

- il dialogo tra Jerry e Dorothy continua brevemente (al minuto 0:42), con stacchi che ora inquadrano solo, alternativamente, la testa della persona che parla (shot/reverse shot); la stessa cosa accade poco dopo (al minuto 0:55) tra Dorothy e il bambino, e ancora (al minuto 1:30) nuovamente tra Jerry e Dorothy.

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Nella scena da Casablanca (di Michael Curtiz, USA 1942), che comincia in questo video al minuto 3:36, le figure di Rick e di Ilse sono inquadrate in campo medio, tra un primo piano del capitano Renault (di spalle), a ricordarci il pericoloso contesto bellico in cui ci troviamo, e l'aereo sullo sfondo, che ci riporta alla decisione che i personaggi stanno per prendere. La macchina da presa si avvicina poi rapidamente a Rick ed Ilse, ora in primo piano: la tensione si intensifica, e subito dopo inizia una sequenza di riprese alternate dei due personaggi, ora in primissimo piano, in cui il personaggio che parla è ripreso da dietro le spalle o la testa del personaggio che ascolta (over the shoulder shot), che in tal modo delimita l'inquadratura. Al culmine della tensione, la mdp inquadra soltanto il volto di Ilse, ora ancora più ravvicinato, mentre Rick continua a parlare fuori campo. In pochi secondi il montaggio serrato avvicina sempre di più i volti dei personaggi allo spettatore, intensificando così la tensione drammatica.

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Le sequenze iniziali di Il tesoro dell'Africa (di John Huston, GB/Italia/USA 1954) costituiscono un esempio tipico di come la tradizione classica hollywodiana permetta allo spettatore di introdursi nel mondo rappresentato in modo rapido ed efficace. Vediamo con quali dispositivi. Il film si apre con un piano lungo di una banda al centro di una piazza. Il maestro dice: "Ragazzi, uno, due, tre!" e la banda inizia a suonare. I crediti iniziali cominciano a scorrere, sovrapposti a vedute di paesaggi marini, di un paese sul mare, di un porto, di una nave ancorata (elementi che poi saranno importanti nella storia) e di strade del paese dove avanza la banda: si tratta di piani lunghissimi. Una rapidissima dissolvenza incrociata ci porta in campo lungo sulla piazza del paese dove, da un balcone, vediamo la banda; possiamo appena scorgere un gruppetto di persone affiancate da gendarmi, che camminano sulla destra, in uscita dall'inquadratura. Uno stacco ci porta ora ad un piano americano (semi close-up) del gruppetto appena intravisto: la macchina da presa arretra mentre loro avanzano nel corteo. A questo punto, però, interviene una voce fuori campo (leggermente ironica): "Questi sono quattro brillanti criminali, all'apice della loro discutibile carriera". Dissolvenza in nero in uscita, seguita subito da una dissolvenza in entrata: siamo di fronte ad un'ellissi temporale, che ha eliminato alcuni minuti della camminata dei quattro come informazione superflua. Infatti li ritroviamo mentre scendono da una scalinata, parlando: ma alla loro conversazione si sovrappone la voce fuori campo: "Questo eterogeneo gruppo cominciò ad operare sei mesi fa ... erano tutti su una nave diretta in Africa, associati con me nella ricerca di uranio". Quel "con me" ci fa capire che la voce narrante è un narratore omodiegetico, cioè che è partecipe della storia narrata (si veda il Dossier I narratori). Mentre i quattro svoltano in un vicolo e camminano uscendo sullo sfondo, incrociano una coppia. La donna si volta verso il gruppetto e chiede all'uomo: "Chi sono? Voglio dire, chi pensi che siano?", dando inizio ad una conversazione. Sono passati 2 minuti e 8 secondi dall'inizio del film, e abbiamo già un'idea abbastanza chiara del tipo di storia che ci aspetta. Ma è stato necessario inserire una voce narrante, in quanto le immagini non bastavano a fornire tutte le informazioni che si volevano trasmettere in un breve lasso temporale. Tramite una serie di dispositivi usati in modo pressochè "invisibile" (un montaggio che assembla sequenze di piani diversi, stacchi, dissolvenze, voce narrante ...) lo spettatore è stato messo in grado di farsi una prima idea generale del contesto e della storia, in modo chiaro e lineare.

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7. Conclusione

Da circa un secolo il cinema classico hollywoodiano ha costruito, perfezionato e portato alla loro massima efficienza le convenzioni che lo caratterizzano come "cinema della continuità". Come si è detto all'inizio della prima parte di questo Dossier, queste convenzioni sono chiaramente all'opera in (quasi) tutti i film prodotti fino alla fine degli anni '50, ed anche più tardi, e fino ai nostri giorni, hanno continuato a costituire la base fondante di questo cinema. Certamente nella seconda metà del secolo scorso, e in questi primi due decenni del nuovo, molte diverse influenze hanno apportato novità, sia nelle tecniche di produzione, sia nei temi trattati, sia nei modi di dare espressione filmica a questi temi.

Allo stesso modo, anche nel periodo che abbiamo sin qui considerato (fine anni '10 - fine anni '50 del secolo scorso) ci sono stati registi, direttori della fotografia, montatori, compositori, che hanno lasciato il proprio inconfondibile "segno" sui loro film. Questo si spiega col fatto che le convenzioni del cinema classico non sono mai state "regole" ferree a cui aderire, ed hanno anzi lasciato spazio all'espressione di personalità diverse, senza per questo mettere in discussione le basi fondamentali dello "stile classico" di cui ci siamo occupati.

Infine, il fatto che i dispositivi del cinema classico siano "invisibili" agli spettatori, permettendo loro di compiere un'esperienza di "immersione" agevole, fluida e priva di ambiguità, non implica che gli spettatori stessi siano entità passive, "teste" vuote in cui i significati vengono riversati. Al contrario, lo spettatore ha continuato ad essere sempre un attivo formulatore di ipotesi, un costruttore di significati e quindi un agente attivo, in continua interazione con il "testo" mostrato sullo schermo. Il fatto che gli spettatori arrivino alla visione di un film con tutta una serie di conoscenze ed esperienze (sia rispetto ai "mondi" rappresentati, sia rispetto alle convenzioni cui sono stati abituati dalle loro precedenti visioni di film) implica che essi intrattengono con il film stesso un dialogo mentale serrato, divenendo così partecipi della costruzione dei significati. Questa concezione della fruizione di un film, che si basa proprio sul rapporto tra i "segni" veicolati dal film e la loro attiva interpretazione da parte degli spettatori, è l'argomento approfondito nel Laboratorio interattivo Aspettative, atteggiamenti e strategie: un ponte tra schermo e spettatore.

 

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Dossier collegati:

- La narrazione cinematografica

- Il punto di vista

- I narratori


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4. The sources of "invisibility"

"Since movies are, by definition, aimed at mass markets, movie makers are apt to favor design elements that will render their narratives accessible to large audiences. That is, ideally, movies will exploit structures that make them susceptible to fast pick-ups by untutored audiences" (Carroll N. 1996. Theorizing the moving image, Cambridge University Press, New York, p. 133).

In this second part, aimed at answering the question "
how is invisible continuity achieved?", we will try to explore the devices which cinema uses to ensure that fluidity of vision and that transparency of discourse which we called continuity, and, at the same time, we will try to understand how these devices remain in most cases invisible to viewers, who are in this way left free to concentrate their attention on the different aspects of narration.

This "invisibility" implies, in the first place, that the film should not show its own awareness and should therefore not be "self-referential", i.e. that it should not break that crystal-clear but powerful barrier that hides itself from viewers. For example, characters rarely address the camera, i.e. the audience. The narrative stance does not draw attention to itself, so that viewers can identify with characters and forget the underlying process of narrative construction.

However, hints of "awareness". i.e. times at which viewers become relatively aware of being in front of a staged "show", are sometimes present, and can be noticed under several curcumstances: firstly, in some film genres, like musicals, when characters suddenly start singing and/or dancing, thus breaking the reality of the staged world; or in melodrama, when emotions are brought to their extreme and passions set the screen on fire. Besides, at crucial times in the story, such as the beginning, the conclusion, or at certain particularly dramatic points, narration can be made to appear more "open" and explicit: initial sequences can include very wide shots, which clearly show contexts and situations, after which shots tend to gradually narrow; the camera can focus in a very explicit way on objects or people which are highly significant at certain points in the story; and the conclusion can show characters addressing the camera, as if to say, "that's all - this is the end", or the recurring musical motif can be played back with a stronger emphasis, or the distance between viewers and characters can be increased through the use of a long or a very long shot; and so on.

However, despite these exceptions, classical Hollywood cinema seems to be based on an "invisible observer" (cr. Bordwell, mentioned in the first part of this
Dossier), who sees and hears everything on behalf of viewers, so that the world staged by the film does not appear as somebody's explicit narration, but rather as the staging of a show which takes place almost "by its own accord", as if the story had all been built before its actual performance, and thus had its own intrinsic quality of "independence". In this way, viewers concentrate only on following (or rather, re-constructing) the story, and not on wondering why certain things have been portrayed in the particular way.

The general principle remains to ensure a clear narrative, by avoiding any source of ambiguity. This is obtained, among other things, through the
redundancy inherent in the story flow: the most important facts, the peculiarities of a character, the power of certain motivations or causes are repeated several times, albeit in different ways: by having several characters narrate the same events through comments or reactions, by replicating causal motives under different forms, and even by relying on the musical score to stress, through the same melody or motif, significant moments in the storyline. This also applies to film genres, like gangster films or thrillers, in which some events, especially causal ones, are deliberately hidden from viewers: however, the dividing line between subjective and objective remains clear. A more restricted point of view (for example, a character's viepoint) is functional to the purpose of narration, which can include surprise, ambiguity, suspense (all of which are resolved before the end of the story).

We have also already mentioned the role of
flashbacks, when a character generally remembers certain facts, which we may or may not have witnessed, thus updating the status of narration. Although flashbacks might seem at first sight always objective, in practice they are always tightly connected with the objective reality of the overall story (a famous exception being the false flashback in Stage fright (by Alfred Hitchcock, USA 1950)). The same can be said of characters looking or gazing at something in what seems to be a subjective way, but which is nevertheless linked to what was shown in the preceding or following shot(s).

5. The filmic language of continuity

How are elements of
film language used to ensure, in addition to "invisibility", continuity, i.e. the viewers' perception of a flowing, unambiguous narrative?

The shot scale We have already mentioned that a long shot of an introductory scene is followed by scenes where characters and objects seem to approach the audience, reaching a semi close-up when characters start talking, and ending in close-ups for particularly significant parts of the dialogue. All in all, however, extremes are avoided, with respect both to shot scale and shooting angles. In the same vein, plongée or contre-plongée shots are rare, and "bird's eye views" are even rarer, and must be justified by clear motivations (for example, a view from an airplane, a musical number that should give emphasis to a choreography). At the opposite end, close-ups or big close-ups underline the effects of a scene, moving the characters closer to the viewers and thus increasing the viewers' emotional involvement. In other words, the different position of characters and objects in depth field, from the background to the foreground, is used to create a hierarchy of meanings.

On- and off-screen are related so as to create a clear and fluid spatial continuity, avoiding viewers' possible confusion. Editing is employed to allow the audience to form a picture of the on-screen space, while at the same time allowing the creation of realistic expectations about the off-screen space - an idea of the overall mental space within which viewers are led to place themselves, or rather, to immerse themselves.

Mise-en-scene and Camera movements The arrangements of elements of the mise-en-scene, as well as set design, convey a sense of order and clarity: the main characters (or, at least, those characters which play a major role in each scene) are often arranged centre-stage in the shot, whose spaces are also designed so that other characters can easily come on screen, having sufficient "physical space" at their disposal. The same aim is achieved through camera movements: these must create and maintain an unambiguous space, which is functional to characters' movement and unfolding events. (To this end, we should not forget that aspect ratio was for a long time the "standard" 1.33 or 4:3, until, starting from the '60s, other wide screen formats like Cinemascope were introduced, allowing much more information to be included in the shot.)

Lighting is used according to pre-defined codes, and is at the service of the maximum transparency of staged events. In particular, characters must stand out clearly from the background. The use of low- or high-key lighting and of the three-point lighting system are part of these codes, and they are used in constant yet flexible ways according to the contexts.

Sound is used in a functional way too. Clear sound expression is given priority, so that dialogues, in particular, should always be clear and easily comprehensible. Non-diegetic sounds (like the musical score) underline crucial moments from an emotional-dramatic standpoint.

Editing gives priority to spatial-temporal continuity and the constant narrative flow, avoiding any "fits and starts", jumps or sudden cuts: each scene or sequence is linked in a logical, unequivocal way to the preceding and following ones. Each scene tends to end leaving an action "pending", so to say, through, e.g. a facial expression, the focus on a particular object, a character going off screen, which creates an expectation for the introduction of the following scene. In this way, links between scenes are reinforced, and the narrative thread is correspondingly strenghtened.

6. Examples

Eyeline match is one of the devices which ensure visual continuity in space: viewers can thus situate and maintain the spatial position of two characters who look at each other. This short video clip  shows a few examples of eyeline matches. These refer to

(1) and (5) two people looking at each other in two different shots
(shot/reverse shot);

(2) two people looking at each other, while sitting at the ends of a table;

(3) a man talking -
cut - to a girl who reacts turning and addressing her gaze to him;

(4) the same two people looking at each other during a dialogue (with editing
cuts). Notice that at a certain point the girl looks downwards - cut - we see an object, and immediately after that the girl's hand covering the object while we hear her saying: "Oh".

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This sequence from
Jerry Maguire (by Cameron Crowe, USA 1996) shows other classical examples of eyeline matches:

- first (0:12) Jerry and Dorothy talk to each other and we see, alternatively, with a sequence of
cuts, Dorothy speaking, with Jerry's shoulder in the foreground, and viceversa (over the shoulder shot); the same happens later (1:23);

- the dialogue between Jerry and Dorothy briefly continues (0:42), with cuts which now show only, alternatively, the head of the person speaking
(shot/reverse shot); the same happens later (0:55) between Dorothy and the child, and once again (1:30) between Jerry and Dorothy.

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In the sequence from Casablanca (by Michael Curtiz, USA 1942), which starts at 3:36, Rick and Ilse are framed in a medium shot, between a close-up of Captain Renault's shoulder in the foreground, to remind us of the dangerous war context, and the airplane in the background, which reminds us of the decision that the two characters are about to make. The camera then quickly gets closer to Rick and Ilse, who are now shot in close-up: tension increases, and immediately afterwards we watch a sequence of alternative takes of the two characters, now in big close-up, in which the speaking person is shot from behind the shoulder or the head of the listening person (over the shoulder shot), who thus frames the shot. At the climax of the tension, the camera frames only Ilses's face, even closer than before, while Rick continues to speak off screen. In a few seconds the tight editing moves the characters' faces closer and closer to the audience, thus intensifying the dramatic tension.

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The starting sequences of Beat the devil (by John Huston, GB/Italy/USA 1954) are a typical example of the way classical Hollywood tradition allows the audience to be introduced into the staged world in ways that are both quick and efficient. Let's see what devices are used to this purpose. The film starts with a long shot of a band in the centre of a village square. We hear a voice saying, "Guys, one, two, three!" and the band starts playing. The starting credits begin to roll, superimposed to sea landscapes, a village on the sea, a port, a ship at anchor (all these elements will then be important in the story) and village streets where the band continues to play: these are all very long shots. A very quick cross-fade takes us, through a long shot, to the village square, where we can watch the band from a balcony; we can also catch a glimpse of a small group of people and a couple of policemen walking side by side towards the right of the frame, and then exiting the frame itself. A cut now introduces a semi close-up of the group, with the camera tracking backwards as they proceed with the procession. At this points we hear a (slightly ironical) voice over: "These are four brilliant criminals, at the height of their disputable career". Fade out into a black screen, followed by a fade-in: we have witnessed a temporal ellipsis, which has deleted a few moments in the group's walk as unnecessary information. Now we actually see them as they walk down a flight of steps, and we hear them talk. However, the voice over is superimposed upon their voices: "This heterogeneous group started to be active six months ago ... they were all aboard a ship bound for Africa, sharing with me the search for uranium". The fact that this voice over says "with me" clearly shows that it belongs to a homodiegetic narrator, i.e. that we are listening to someone involved in the story (see the Dossier Narrators). As the group turns into an alley, walking towards the background, they run into a couple. The woman turns towsrds the group and asks the man, "Who are they? I mean, who do you think they are?)", thus starting a conversation with him. We are 2 minutes and 8 seconds into the film, and we already have a picture of the kind of story we are going to watch. However, it was necessary to include a voice over, since the images were not sufficient to provide all the information the film was supposed to convey in such a short time. Through a series of devices used in a nearly "invisible" way (editing, which assembles sequences by having recourse to a wide shot scale; cuts, fades -in and -out, voice over ...) viewers are enabled to form a preliminary picture of the context and the story, in a way which is both clear and linear.

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7. Conclusion

During the last century classical Hollywood cinema has been building, improving and bringing to their maximum efficiency the conventions which qualify it as the "cinema of continuity". As we said at the start of the first part of this Dossier, these conventions are clearly employed in (almost) all the films produced until the end of the '50s.. Even in later years, and up to the present day, they have continued to be the basic assumptions of this cinema. Certainly in the latter part of last century, and in the first two decades of the new century, several different influences have brought innovation and change in the production techniques, the topics dealt with, and the ways of expressing such topics through film.

In the same way, in the period we have focused on so far (end of the second decade of the 20th century - end of the '50s) there have been directors, directors of photography, editors, composers, who have left their original mark on their films. This is due to the fact that the conventions of classical Hollywood cinema have never been "iron rules" to be strictly adhered to - they have actually allowed the expression of different personalities, without at the same time abandoning the main bases of the "classical style" discussed so far.

Finally, the fact that the devices of classical cinema are "invisible" to viewers, allowing them to experience an "immersion" in a narrative in a smooth, fluid and unambiguous way, does not imply that viewers themselves are passive entities, "empty vessels" into which film content is poured. On the contrary, viewers have continued to be an active hypothesis formulators, builders of meanings and thus active agents, always interacting with the "filmic text". The fact that viewers approach a movie with a whole set of knowledge and experiences (with respect to both the "world" staged by the film and the conventions they have become used to through their previous watching experiences) implies that they engage in a constant dialogue with the film, thus becoming partners in meaning construction. This conception of film consumption, which is based on the relationship between the "signs" conveyed by the film and their active interpretation by the audience, is the topic of the
Interactive workshop Expectations, attitudes and strategies: a bridge between screen and audience.

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- Film narration

- Point of view

- Narrators

 

Per saperne di più ...
* Dal sito Cinescuola.it:
   - Le regole di continuità
* Da Wikipedia:
   - Cinema narrativo classico
* Dal sito Breve storia del cinema a cura di Piergiorgio Mariniello:
   - Hollywood e il cinema classico
* Dal sito www.drammaturgia.it:
   - Che cosa è il film classico? di Sandro Bernardi
* Dal canale YouTube Storia del Cinema, a cura di Emanuele Sorrentino:
   - Hollywood e cinema classico
* Il cinema americano classico di Deborah Zennaro
Want to know more?
* From the Screen Education Edinburgh YouTube site:
   - Classical Hollywood Style

* From Wikipedia:
   - Classical Hollywoood Cinema

* From the Mediapool YouTube channel:
   - Classical Hollywood cinema style

* From David Bordwell's website on cinema:
   -
The hook: Scene transitions in classical cinema

* A Prezi presentation by Jin Sang You:
   - Classical Hollywood Cinema

* From Intro to Film Art - Berkeley City College:
   - The rise of classical Hollywood cinema


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