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Un cinema "di classe": Insegnanti e studenti nei film

Nota: E' disponibile una versione pdf di questo Dossier.




1. Amarcord (di Federico Fellini, Italia/Francia 1973)

Partiamo con una nota leggera e divertente: la scuola degli anni '30 del secolo scorso, rievocata con ironia e una vena di malinconia da Fellini. L'intento del regista non è certamente critico ma di affettuoso umorismo; eppure, questa scuola apparentemente così lontana, popolata da insegnanti (e studenti) resi in modo caricaturale e grottesco, come ricordi affettuosamente deformati dal tempo, è in grado di fornirci una visione reale (pur nella sua totale ricostruzione filmica) di un sistema e di un mondo. E' la scuola tradizionale, autoritaria, trasmissiva che per tanto tempo ancora si sarebbe perpetuata in Italia (e con echi che risuonano nel presente ...): insegnanti centrati su se stessi e sulla "spiegazione" (e perfino sulla declamazione!) della propria disciplina e sulla sua pura e meccanica trasmissione, insensibili e incuranti delle reazioni (buffe, ma quanto rivelatrici!) dei propri studenti, spesso impegnati a fare tutt'altro (a dormire, a fare scherzi, a burlarsi dei professori dietro e persino davanti a loro ...).


2. Half Nelson (di Ryan Fleck, USA 2006)

Il professore di storia Dan Dunne entra in classe e cerca di stabilire subito un rapporto informale con gli studenti: usa l'ironia, fa qualche semplice battuta, sta in piedi davanti alla cattedra. Poi, invece di entrare in argomento, inizia con una domanda semplice e complessa allo stesso tempo, "Che cosa è la storia?". Inizia così un dialogo serrato con la classe, non privo di digressioni e ilarità, ma introducendo una nuova richiesta:
 "Mi aspetto delle risposte da voi. Non voglio solo date e fatti, voglio sapere perché, voglio le conseguenze, voglio conoscere il significato".
Nella successiva sequenza, Dan ristabilisce l'atmosfera di cordialità ("Oggi mi sento una meraviglia. Sono l'unico forse?"), poi passa a dimostrare in concreto il concetto di "forze opposte", chiamando un volontario a "giocare" con lui a "braccio di ferro" - sottolineando però il significato simbolico di questo gioco ...



3. Vivere in fuga (di Sidney Lumet, USA 1988)

All'interno di un film che affronta tematiche diverse, mettiamo a fuoco l'inizio di una lezione di musica. Vediamo all'inizio un ragazzo, Mansfield, che per la prima volta frequenta questo corso. L'insegnante, senza nessuna premessa, fa ascoltare un brano di musica pop, e, battendo le mani con gli studenti, accetta che questi si mettano anche a ballare - nello sconcerto del nuovo studente arrivato (che, tra l'altro, ha ambizioni musicali). Ripristinato l'"ordine", l'insegnante fa ora ascoltare un brano di musica classica, mimando con humour i gesti di un direttore d'orchestra, e suscitando il sorriso degli studenti.
A questa fase "introduttiva", che non è stata accompagnata da alcun commento, segue una fase di riflessione e discussione: "Qualcuno sa dirmi la differenza tra questi due brani?". L'insegnante accetta un paio di risposte piuttosto generiche, poi interpella il nuovo arrivato, Mansfield, che risponde: "Beh ... Non si può ballare Beethoven", suscitando l'approvazione e l'ammirazione dei compagni. "Sa dirmi perchè, signor Mansfield?", e al silenzio imbarazzato del ragazzo, l'insegnante passa ad una spiegazione diretta: "Perchè nel brano di Beethoven non avvertiamo la presenza di ritmo o di un tempo costante ..." A questo inizio di spiegazione gli studenti reagiscono con attenzione, cominciano a prendere appunti ...


4. Angeli ribelli (di Aisling Walsch, Irlanda / Danimarca / GB / Spagna 2003)

Il film è ambientato nel 1939 in un riformatorio cattolico irlandese (un tipo di istituzione fortemente repressiva, soppressa solo negli anni '80): qui arriva, reduce dalla guerra civile spagnola, il democratico Professor Franklin. Sin dalla prime battute, si capisce che Franklin desidera instaurare, innanzitutto, un rapporto aperto, di rispetto reciproco e di chiarezza delle rispettive posizioni: "Qualche domanda?" Uno studente alza la mano, presentandosi come "458 Peters" - in questo ambiente, i ragazzi vengono identificati con un numero e non con il loro nome - ma Franklin gli risponde: "In piedi, Signor Peters". Questo primo scambio di battute indica che gli studenti si sono immediatamente resi conto di poter fare domande e pretendere risposte - una prima, elementare forma di partecipazione democratica.
Franklin non pretende ciò che sa essere impossibile, ma parte dalla situazione iniziale dei ragazzi e su questa comincia a costruire il suo insegnamento:  riparte così da zero, dal "saper leggere e scrivere", affida
ndo anche a chi già lo sa fare il compito di collaborare con lui, ed assistendo anche i singoli studenti nelle loro difficoltà.


5. I quattrocento colpi (di François Truffaut, Francia 1959)

Anche questa sequenza ci porta in un ambiente scolastico molto vicino a quello di 
Amarcord, pur nella diversità dei tempi e dei luoghi (siano qui nella Francia degli anni '50), e nella diversità di trattamento filmico (niente ironia o caricatura qui, ma crudo realismo). Siamo subito introdotti nel momento della valutazione: il professore decide, quasi sadicamente, di riconsegnare i temi corretti dei ragazzi partendo dal voto più basso. E' uno zero, il voto meritato da Antoine, che, spiega il professore, ha plagiato nientemeno che Balzac! Nell'assoluto silenzio dell'aula, con gli studenti a braccia conserte sui banchi, Antoine nega di aver copiato (anche se noi sappiamo che sta mentendo: Antoine ha già cominciato a sviluppare delle strategie di difesa). Il professore lo apostrofa come "ignobile plagiario" e lo spedisce dall'autorità superiore (il direttore). Mentre Antoine, accompagnato da un compagno, esce dall'aula, il suo compagno di banco tenta di difenderlo di fronte al professore, che non tollera interventi e minaccia l'espulsione. Ma il ragazzo si ribella ("mica mi dispiacerebbe [essere espulso] e "non è legale!") e il professore, bollandolo di "pezzo di villano", passa alle maniere forti, spingendolo violentemente fuori dall'aula e ricordando a tutti "ti insegno io chi fa la legge qua!", per poi gettare fuori dalla porta anche i fogli del tema.



Nella seconda sequenza tratta dallo stesso film, il tono si fa ironico e divertito: il professore di Educazione Fisica conduce i suoi studenti a fare una corsa per la città ... senza accorgersi che, dietro di lui, i ragazzi man man prendono strade diverse e se la svignano ...

6. Freedom writers (di Richard Lagravenese, USA 2006)

Basato su una storia vera, il film racconta il primo anno di insegnamento della Professoressa Erin Gruwell in una scuola della periferia di Los Angeles, in una classe etnicamente molto mista (afro-americani, latino-americani, cambogiani, cinesi e un solo ragazzo bianco), con tensioni razziali alle stelle, pronte ad esplodere dentro e fuori la scuola tra gang agguerrite e violente. L'insegnante capisce subito che non è possibile iniziare alcuna attività didattica se non si prende in considerazione questa situazione altamente esplosiva. Con l'attività mostrata da questa sequenza, cerca così di porsi dalla parte dei suoi studenti, di far emergere i loro vissuti emotivi, fatti di violenza ma anche di enormi disagi e sofferenze, e di cominciare in questo modo a renderli consapevoli della loro identità e a farli avvicinare - anche fisicamente - gli uni agli altri.



7. La classe (di Laurent Cantet, Francia 2008)

Passiamo ora alla quarta classe di una scuola media di una banlieue parigina (in Francia il collège o scuola media dura quattro anni), con un alto tasso di immigrati e di disagio e degrado sociale. Il Professor Bégaudeau (nel ruolo di se stesso, autore anche del libro da cui è stato tratto il film) affronta di petto una realtà di classe plurietnica, dove si mischiano non solo lingue e culture diverse, ma anche disuguaglianze sociali ed economiche che spesso si aggravano piuttosto che risolversi. Il professore è ben consapevole di questa situazione e di fronte ad una classe turbolenta, in cui provocazioni anche violente, indifferenza, disinteresse, demotivazione sono il pane quotidiano, si lancia nella sfida immane di insegnare la lingua come primo passo verso una formazione culturale: lo troviamo mentre cerca disperatamente di insegnare il "congiuntivo" - quasi un simbolo di una lingua estranea e ostica per i suoi studenti.
Con una forte dose di umorismo e ironia, a cui la classe sembra reagire apprezzando questa informalità, si trova subito davanti ad una domanda-chiave: "Ma a che serve il congiuntivo?". Ed anche il professore si troverà a gestire e a giustificare le proprie scelte di fronte alla "vita vera" che gli si para dinnanzi.


8. Mona Lisa smile (di Mike Newell, USA 2003)

Questo film è ambientato nel 1953, in un prestigioso e molto conservatore collegio femminile, dove la Professoressa Katherine Watson si ritrova ad insegnare storia dell'arte. Sin dalla prima lezione, Katherine capisce che le sue studentesse sono abituate ad un apprendimento mnemonico e nozionistico (sanno identificare subito autore, titolo e data di un dipinto), ma non sono capaci di esprimere idee personali o un discorso critico motivato. Katherine si ripromette, attraverso un approccio didattico basato sull'espressione critica personale, di scardinare, per quanto possibile, questa cultura tradizionale e di avviare le sue allieve verso una maggiore indipendenza, nello studio e nella vita. Attraverso questa dialettica Katherine pone le basi del suo programma: "Cos'è l'arte? Cosa la rende buona o non buona, e chi lo decide?", mettendo così a fuoco la domanda cruciale, 
Cos'è l'arte? (si ricordi il Prof. Dunne che, in Half Nelson, chiedeva all'inizio ai suoi studenti: Cos'è la storia?).
 

9. Gli anni in tasca (di François Truffaut, Francia 1976)

Questa sequenza si avvicina a quella di Amarcord, pur nella diversità del trattamento filmico, nel mostrare un esempio di insegnamento puramente nozionistico: mentre  in Amarcord l'insegnante di storia menzionava un fatto storico e lo studente doveva ricordarne la data precisa, qui è il contrario: l'insegnante cita una data e chiama, a turno, un alunno a dire a che avvenimento si riferisce. Naturalmente, anche i ragazzi hanno le loro strategie - l'ultimo alunno chiamato guarda, fuori dalla finestra, l'orologio che sta per segnare le quattro e mezza, l'ora di fine della lezione, e, esitando a rispondere, riesce a farla franca: la campanella suona, e la libertà viene recuperata ...


10. Mery per sempre (di Marco Risi, Italia 1989)

Un insegnante di liceo si ritrova ad insegnare (ad un livello di quarta elementare) nel carcere minorile Malaspina di Palermo. La classe è composta da pochi ragazzi, indifferenti, violenti, sempre pronti all'aggressione anche fisica nei suoi confronti. In questa sequenza, l'insegnante ha uno scontro violentissimo con il figlio di un mafioso, che lo provoca tracciando con un pennarello delle linee sulle sue mani, sulle sue braccia, e infine sul suo volto ... mentre lui, imperterrito, continua nella sua "lezione". E' quasi un martirio, quello che l'insegnante soffre, ma sceglie di tollerare la provocazione senza reagire, per contrapporre alla pura violenza un atteggiamento comunque di dialogo serrato e senza compromessi, di testimonianza di un altro modo di pensare e di rapportarsi agli altri.


11. L'attimo fuggente (di Peter Weir, USA 1989)

Siamo così giunti ad un film che è diventato presto di culto, e che ha fatto desiderare a moltissimi spettatori il suo protagonista, il Professor Keating, come l'insegnante ideale che tutti vorrebbero (avuto) avere.
Keating possiede indubbiamente un forte carisma personale, con cui affronta di petto i suoi studenti, con un eloquio da oratore, frequenti battute di spirito, e domande fittizie, di cui spesso non attende la risposta. 
Qual è, dunque, questo "metodo Keating" così alternativo? "E ora, miei adorati, imparerete di nuovo a pensare con la vostra testa, imparerete ad assaporare parole e linguaggio". "Ho un segreto da confessarvi, avvicinatevi ... avvicinatevi": Keating  chiama attorno a sè gli studenti, finchè non formano un cerchio ristretto, con lui al centro, ed inizia una difesa appassionata della poesia, intervallata da versi di Walt Whitman. Gli studenti lo guardano e lo ascoltano estasiati, quasi rapiti dall'incantesimo. 
E' ovvio che Keating mette il suo carisma al servizio di un'ammaliante seduzione di adolescenti, nei cui cuori sa come accendere, senza restrizioni di sorta, passioni, desideri, sogni. Ma fin a che punto passioni, desideri, sogni possono costituire la sola bussola di riferimento, il solo criterio di giudizio e di scelta?



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